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In premessa, occorre rilevare che la globalizzazione e i meccanismi di mercato a essa sottesi hanno determinato l’effetto per cui «l’elaborazione delle politiche si è parzialmente allontanata dagli stati-nazione per transitare in seno a soggetti sopranazionali, così determinando il passaggio dalla sovranità nazionale alla sovranità condivisa»148.

Peraltro, le norme prodotte in tale contesto dalle autorità sovranazionali mancano dei caratteri tipici delle fonti tradizionali, assumendo piuttosto la veste di atti di soft law. Tuttavia, si assiste al diffondersi di processi di convergenza spontanea verso le determinazioni sovranazionali, sulla base di alcuni strumenti di governance: ossia, mediante il lesson drawing, l’applicazione di politiche pubbliche rivelatesi efficaci in altro Stato; la policy emulation, che, analogamente al precedente strumento, consiste nell’applicazione di strategie dimostratesi efficaci in altri Paesi, tuttavia finalizzata a rafforzare la legittimazione politica degli organi di Governo, in situazioni di instabilità; il transnational problem solving, usato per tradurre in azioni politiche le teorie elaborate da studi internazionali su problemi comuni; l’international policy promotion, consistente nell’applicazione di soluzioni suggerite dalle organizzazioni internazionali o da Paesi che svolgono il ruolo di mediatori149.

Il ricorso a questi strumenti normalmente produce l’effetto di instaurare una competizione tra i Paesi che si confrontano sui vari ambiti materiali, finalizzata a perfezionare le best practices, per scalare le classifiche internazionali sul livello dei servizi erogati dagli Stati.

Seguendo la logica alla base del processo di integrazione europea, edificata sull’unificazione dei mercati europei, il Trattato di Roma non conteneva alcuna disposizione sull’istruzione. Tuttavia, già nel corso degli anni Settanta, l’Unione Europea guardava a essa in una prospettiva di cooperazione degli Stati membri, finalizzata a garantire all’interno della Comunità un’uguaglianza

148 G. Coinu, Per un diritto costituzionale all’istruzione adeguata, Bologna, il Mulino, 2012, p. 166. Al riguardo, S.

Cassese, Il mondo nuovo del diritto. Un giurista e il suo tempo, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 30-31, ritiene come tale metamorfosi sia ancora in itinere ed essa è stata avviata allorché le norme fondamentali nazionali hanno aperto le porte alla penetrazione del diritto «superiore» in quello domestico. Per tale via, la tradizionale gerarchia delle fonti non è stata alterata, ma piuttosto è stata creata una “rete di poteri transnazionali” caratterizzata da una pluralità di sistemi particellari, eppure tra loro connessi, in particolare attraverso «l’opera di cucitura» svolta dai tribunali, «che portano dall’uno all’altro regime regolatorio principi e regole, oppure riconoscono l’esistenza di principi e regole comuni, perché più diffusi o perché parte di un ormai sviluppato patrimonio giuridico globale» (attraverso quella modalità che viene definita di “circolarità delle soluzioni giuridiche” o cross fertilization giurisprudenziale).

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nell’accesso al relativo servizio, per migliorarne il livello qualitativo e favorire, così, i processi di adattamento dei sistemi produttivi Statali all’ingresso nel mercato comune150.

Soltanto nel 1976 venne formalizzata per la prima volta in ambito europeo, dopo varie sedute, una risoluzione con cui gli Stati adottarono un programma congiunto, con il fine di avviare una cooperazione in materia. Tale Programma di azione confluì nella Risoluzione dei Ministri della Pubblica Istruzione del 6 febbraio 1976, in cui venivano individuati 6 ambiti prioritari di intervento: la formazione culturale e professionale dei cittadini degli Stati membri; un miglioramento nella corrispondenza dei sistemi educativi; lo sviluppo di un approccio statistico-documentale sull’analisi dei sistemi di istruzione nazionali; una cooperazione sull’istruzione superiore; il potenziamento dell’insegnamento delle lingue straniere; lo sviluppo dell’uguaglianza con riguardo alle opportunità di studio151.

Inoltre, in parallelo allo sviluppo delle politiche europee sull’istruzione in particolare, più in generale le Istituzioni europee (e, in primis, la Corte di Giustizia UE) riuscivano comunque ad apprestare delle embrionali forme di tutela dei diritti sociali, mediante l’uso trasversale degli obiettivi oggetto di competenza esclusiva dell’UE. E così, entravano a far parte dello strumentario a disposizione dei lavoratori europei (e delle loro famiglie) l’accesso senza discriminazione di nazionalità ai corsi di insegnamento dei diversi Stati membri e la fruizione di borse di studio per fronteggiare il peso economico che quei corsi di studio determinavano sul bilancio familiare152. In aggiunta, il Giudice comunitario offriva un’interpretazione molto estensiva della nozione di lavoratore in senso comunitario, ai sensi dell’art. 39 Trattato Ce153.

Pertanto, la libertà di circolazione dei lavoratori e la conseguente facilitazione della loro “promozione sociale” (artt. da 48 a 51 Trattato Ce), letta in combinato con il principio di non

150 A tal fine, cfr. Direttiva del Consiglio del 25 luglio 1977, finalizzata a tutelare la parità di condizioni nell’accesso

all’istruzione, per favorire la scolarizzazione dei figli dei migranti.

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In particolare, per quello che concerne le posizioni dell’Italia, S. Paoli, Il sogno di Erasmo: la questione educativa nel processo di integrazione europea, Milano, Angeli, 2010, pp. 122-123, nel premettere che la delegazione italiana fu fortemente critica nei riguardi della stesura della Risoluzione, afferma che «gli obiettivi più controversi, come il mutuo riconoscimento dei diplomi e dei periodi di studio e la corrispondenza dei sistemi educativi, venivano sostanzialmente taciuti o, al limite, rimandati a una generica attività di studio e scambio di informazioni […]. Con il chiaro intento di dare una minima soddisfazione alle richieste italiane, inoltre, veniva assunto l’impegno di realizzare un certo numero di azioni pilota per favorire la conoscenza delle reciproche esperienze nel campo della formazione dei lavoratori migranti e dei loro figli. Infine, ancora su insistenza italiana, e con un grado di priorità apparentemente assoluto, si auspicava il varo di una serie di misure per preparare i giovani al mercato del lavoro, per rendere più agevole il passaggio dalla scuola alla vita professionale e per ridurre il tasso di disoccupazione giovanile»

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Tra le prime pronunce rilevanti a tal fine si segnalano C. Giust. Ce, del 3 luglio 1974, causa 9/74, Casagrande c. Laundeshauptstadt Munchen, e 4 aprile 1974, causa 167/73, Commission/France.

153 Per esempio, considerando tale chi aveva intrapreso nello Stato ospitante gli studi universitari dopo aver svolto

un’attività lavorativa, finalizzata a un successivo inserimento professionale: cfr. C. Giust. Ce, 21 giugno 1988, Lair, causa 39/86.

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discriminazione in base alla nazionalità (di cui all’art. 12, Trattato Ce), forniva una base giuridica con effetti diretti sulle legislazioni statali (e, di riflesso, sulle relative politiche di bilancio attuative), per garantire la fruizione, fra gli altri, del diritto all’istruzione a favore dei lavoratori migranti e dei rispettivi nuclei familiari.

Nasceva per tale via un concetto lato di cittadinanza europea, al quale l’ordinamento europeo collegava una serie di garanzie a tutela dei lavoratori migranti, in funzione di promozione dell’integrazione sociale di questi.

Tuttavia, l’istruzione restava fuori dalle competenze della Comunità.

Discorso in parte diverso, invece, occorre portare avanti con riguardo all’istruzione e la formazione professionale, la quale, proprio in quanto funzionalmente e più strettamente collegata al lavoro, era oggetto di competenza della Comunità e veniva, quindi, trattata con maggiore sistematicità da questa. Infatti, l’art. 128, Trattato Ce, concerneva una «politica comune di formazione professionale». Invero, essa veniva letta nella consueta logica mercantilistica comunitaria, in quanto pensata per «contribuire allo sviluppo armonioso sia delle economie nazionali, sia del mercato comune». Tuttavia, la Corte di Giustizia, a partire dalla sentenza Gravier154, ricostruisce la competenza in materia non come strettamente collegata alla predetta logica, ma come diretta alla tutela mediata dei diritti del cittadino comunitario, funzionali innanzitutto alla sua promozione sociale, anche se immediatamente diretta ad aumentarne le possibilità di successo lavorativo.

Peraltro, la Corte fornì una lettura particolarmente estensiva della nozione comunitaria di formazione professionale, tale da ricondurvi «qualsiasi forma di insegnamento che prepari ad una qualificazione per una determinata professione, un determinato mestiere, una determinata attività […] o che conferisca la particolare idoneità ad esercitare tale professione, tale mestiere o tale attività». Tale ultimo inciso, idoneo a recidere il legame diretto tra la preparazione e l’attività lavorativa, ha fornito la base utilizzata dalla Corte stessa per ricondurre all’area di tutela della disposizione in materia di formazione professionale anche i corsi di istruzione in generale e quelli universitari, per tale via dilatando considerevolmente il perimetro di competenza comunitaria in questo ambito (cfr. sentenze Barra e Baizot155).

Sicché, nel solco di tale percorso, nel corso degli anni Novanta, la Comunità si dotava di un ventaglio di “Programmi”, con l’intento di agevolare la realizzazione degli obiettivi di cui al cit. art.

154 Sentenza del 13 febbraio 1985, causa 293/83. 155 Rispettivamente, cause 309/85 e 24/86.

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128. Ne scaturirono i Programmi Petra (per la formazione professionale dei giovani); Lingua (per promuovere l’apprendimento di lingue straniere); Erasmus (per agevolare la mobilità degli studenti); Eurotecnet (per promuovere l’innovazione nel settore della formazione professionale); Tempus (per agevolare la mobilità transeuropea per studi universitari); Leonardo da Vinci (per realizzare una politica comune di formazione professionale)156.

La ratio di tali programmi per lo più era diretta a consentire agli studenti di conoscere e confrontarsi con le identità socio-culturali degli altri Paesi membri, piuttosto che a formare lavoratori per le esigenze del Paese di destinazione, così distaccandosi dalla concezione originaria della formazione professionale in ambito europeo. In altri termini, sembra che inizi a cambiare il punto di vista con cui l’Unione guarda all’istruzione: non più come un ambito “strumentale” a quello del lavoro; ma come un ambito i cui diritti rilevano di per sé (o comunque strumentalmente a principi generali e libertà fondamentali e non ad altri ambiti materiali pari ordinati: l’istruzione diviene sempre più uno degli strumenti di realizzazione della cittadinanza europea).

Iniziavano peraltro a vedere la luce iniziative legislative comunitarie in materia di formazione professionale dai contorni sfumati, in quanto più genericamente riferite all’istruzione in generale, ed esercitate sulla base dell’art. 235 del Trattato (ora art. 308), che, come si vedrà quando si affronterà il tema delle competenze UE, consente alla Comunità di ampliare i propri poteri d’azione, se funzionali al conseguimento degli obiettivi comunitari. La garanzia insita nel diritto di veto, esercitabile da qualunque Stato con riguardo all’utilizzo di questi strumenti, e il mancato esercizio in concreto da parte degli Stati di tale potere, rispetto alle iniziative promosse dalle Istituzioni europee negli ambiti materiali dell’istruzione, hanno indotto la Corte di Giustizia a operare un significativo salto di qualità sul finire degli anni Ottanta, «con l’individuazione di una specifica competenza comunitaria sull’istruzione e sulla formazione rispetto alla prima fase dell’integrazione, immediatamente successiva al periodo istitutivo»157.

Con il Trattato di Maastricht, istruzione in generale e istruzione e formazione professionale vengono espressamente disciplinate, rispettivamente, agli artt. 165 e 166, e ricondotte all’area delle competenze (complementari) dell’Unione Europea.

All’istruzione e alla formazione professionale viene dedicato un capo autonomo che disciplina l’azione dell’Unione in materia. Il capo titola «Istruzione, formazione professionale e gioventù» e,

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M. Cocconi, Il diritto europeo dell’istruzione, Oltre l’integrazione dei mercati, Giuffrè, Milano, 2006, p. 47, osserva che «con questi programmi comunitari, la Comunità si dotava da un lato di nuovi strumenti operativi per promuovere lo scambio e l’innalzamento qualitativo dei sistemi nazionali d’istruzione, dall’altro offriva un contributo alla costruzione di un’autentica identità europea».

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per la prima, viene previsto che l’azione sia diretta allo «sviluppo di un’istruzione di qualità» e, per entrambe, che essa sia diretta a incentivare la cooperazione tra gli Stati membri. Si prevede inoltre che l’Unione possa sostenere e integrare l’azione degli Stati membri, pur rispettandone la responsabilità sul contenuto dell’insegnamento, dell’organizzazione del sistema nazionale di istruzione, delle varie diversità culturali e linguistiche, nonché del contenuto e dell’organizzazione della formazione professionale.

Ai sensi dell’art. 165, cit., gli obiettivi dell’azione dell’Unione sono molteplici: sviluppare una dimensione europea dell’istruzione, mediante l’apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri; favorire la mobilità di studenti e insegnanti, anche mediante il riconoscimento accademico di diplomi e periodi di studio; promuovere la cooperazione tra gli istituti di insegnamento; favorire lo sviluppo degli scambi di informazioni e di esperienze tra gli Stati su problematiche comuni dei relativi sistemi di istruzione; favorire lo scambio di giovani e di attività socioeducative e incoraggiare la partecipazione dei giovani alla vita democratica europea; incoraggiare lo sviluppo dell’istruzione a distanza; sviluppare una dimensione europea dello sport. Ai sensi dell’art. 166, cit., gli obiettivi dell’azione dell’Unione sono: la facilitazione dell’adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale; il miglioramento della formazione professionale iniziale e della formazione permanente, per agevolare l’inserimento e il reinserimento professionale sul mercato del lavoro; la facilitazione dell’accesso alla formazione professionale ed il favor per la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani; lo stimolo alla cooperazione in materia di formazione tra istituti di insegnamento o di formazione professionale e imprese; lo sviluppo dello scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di formazione degli Stati membri.

Come si vedrà meglio nel prosieguo, è fatto divieto all’Unione Europea di ricorrere a strumenti di armonizzazione delle legislazioni nazionali sull’istruzione e sulla formazione professionale, a tutela delle diversità culturali, linguistiche e di sistema proprie degli Stati, per come trasfuse nei relativi sistemi nazionali.

Successivamente, con la Decisione n. 819/1995/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 1995, di adozione del Programma Socrate, vennero riassunte le esperienze maturate nel ventennio precedente e si posero le basi per quello che sarebbe stato l’obiettivo/competenza principale dell’Unione Europea negli anni immediatamente a seguire, in materia di istruzione e

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formazione professionale: la mobilità transfrontaliera degli studenti e dei lavoratori del mondo della scuola, da un lato, e lo scambio di informazioni ed esperienze, dall’altro158.

Ancora, sempre negli anni Novanta, vennero diffusi due documenti programmatici rilevanti ai nostri fini. Il primo era il Libro Bianco della Commissione “Crescita, competitività, occupazione: le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo” (Commissione, 1994), in cui venivano sottolineati, oltre al resto, il ruolo dell’istruzione per la crescita, la competitività e l’occupazione, e la necessità di un rinnovamento dei sistemi di istruzione per fare fronte alle sfide economico/sociali della società. Il secondo era il Libro Bianco della Commissione sull’istruzione e la formazione professionale “Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva” (Commissione, 1995), in cui venivano fissati 5 obiettivi che l’UE avrebbe dovuto perseguire nelle politiche sull’istruzione (incoraggiare l'acquisizione di nuove conoscenze; avvicinare la scuola all'impresa; lottare contro l'esclusione; promuovere la conoscenza di tre lingue europee; porre su un piano di parità gli investimenti materiali e gli investimenti nella formazione) e veniva messo in risalto il collegamento tra istruzione e politiche sociali, con particolare riguardo al lavoro.

Nel 1997, poi, il Consiglio europeo si riunì a Lussemburgo dove venne formulata la Strategia Europea per l’Occupazione, nella quale trovò le proprie premesse la successiva Strategia di Lisbona, il cui obiettivo principe e più ambizioso era quello di basare l’unione europea sulla “più competitiva e dinamica economia della conoscenza del mondo”, con il fine di conseguire una crescita economica sostenibile, grazie a nuovi e migliori impieghi, e una maggiore coesione sociale. In sostanza, le azioni sull’istruzione e la formazione professionale assurgono a componente di una strategia più ampia di politica industriale. Questa consente all’Unione Europea di portare avanti un disegno unitario che abbraccia, tra gli altri ambiti, l’occupazione, la formazione e la ricerca, che vengono coordinati e teleologicamente finalizzati a promuovere la competitività europea nel mercato globale. In questa prospettiva, l’istruzione e la formazione professionale vengono considerati fattori di accelerazione per consentire alle imprese di adattarsi strutturalmente all’apertura del mercato europeo.

Ne è conseguita la tendenza della strategia europea a favorire misure di solidarietà attive e preventive, rispetto a quelle passive e successive e che spesso hanno prodotto fenomeni di

dumping sociale. In questa prospettiva, si è preferito fornire in primis agli studenti e, al tempo

158 Peraltro, in parallelo a queste tappe del percorso con cui si sono andate delineando le competenze europee in

materia di istruzione e formazione professionale, negli Anni Novanta del secolo scorso si sviluppava in generale un’incrementale politica di tutela dei diritti sociali e, più in generale, un sentire diffuso in ordine alla necessità di un’integrazione delle politiche di coesione sociale nel tessuto ordinamentale europeo.

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stesso, ai lavoratori gli strumenti per, rispettivamente, conoscere e riconvertirsi continuamente alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro. A tal fine si è coordinata a livello europeo sia la disciplina in materia di Europass (che consiste in una serie di documenti che consentono di presentare le proprie competenze e qualifiche in un formato standard valido in tutta Europa, tale da consentire ai datori di lavoro di comprendere meglio le skills dei candidati di altri paesi e ai lavoratori di trovare più agevolmente un impiego all'estero); sia quella sul quadro europeo delle qualifiche (che consente di confrontare con parametri predeterminati i vari percorsi di studio frequentati nei diversi Paesi membri).

È bene precisare che l’Unione Europea induce gli Stati europei a trattare la politica scolastica mediante azioni di sistema, ossia con interventi coerenti e convergenti con gli obiettivi sovranazionali, la cui realizzazione poi la Commissione europea monitora e i cui risultati valuta. Ciò che accade nonostante l’Unione non abbia poteri “impositivi” sul contenuto dell’istruzione e sulle modalità di intervento.

Tuttavia, l’Europa ha la competenza a monitorare e valutare l’output in termini di “qualità” delle azioni che gli Stati membri intraprendono in materia di politica scolastica. In altri termini, essa misura e giudica quell’azione secondo criteri posti dall’esterno agli Stati membri e che rispondono a obiettivi di sistema, non governabili dal singolo Paese. Inoltre, la verifica condotta dalle Istituzioni europee sul raggiungimento di tali obiettivi condiziona sia lo svolgimento della conseguente azione di supporto all’istruzione, sia l’attività di miglioramento dell’azione politica nell’istruzione al fine di raggiungere con maggiore efficacia gli obiettivi di sistema. L’ancoraggio della valutazione operata dalla Commissione al raggiungimento di target esterni al sistema istruzione viene disvelato dall’art. 165 del Trattato, nella parte in cui, al comma 2, vengono fissati gli obiettivi dell’azione europea sull’istruzione (come, ad esempio, quello di favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti), in relazione ai quali si misura l’adeguatezza e la qualità del contenuto interno del medesimo sistema, questo sì, rimesso alla competenza dello Stato.

Il medesimo meccanismo di condizionamento ab externo vale per l’istruzione e la formazione professionale.

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Par. 3.1. L’efficacia in concreto delle azioni europee in materia di istruzione: il caso

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