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Par 1.2 Istruzione e istruzione e formazione professionale: una breve digressione storica e un tentativo di definizione.

Per poter comprendere funditus i rapporti tra istruzione e istruzione e formazione professionale (che, come si vedrà nel prosieguo, sono oggetto di una competenza differenziata tra Stato e Regioni), può essere utile volgere succintamente lo sguardo al passato, in particolare, al periodo in cui, in seno all’Assemblea Costituente, si dibatteva su come consacrare nella Costituzione il riparto di competenze nelle due materie291.

Dalle Relazioni dell’Assemblea si evince che «L’intervento della Repubblica in materia di istruzione non è, per così dire, “neutrale”: l’istruzione è stata infatti considerata dai Costituenti una prerogativa dello Stato posta a presidio della tutela del pluralismo dell’istruzione, in rottura con l’ordinamento fascista e con la forte presenza della Chiesa»292.

Altri autori, ancora, identificavano la scuola di Stato come il “pilastro”, che ha accompagnato il percorso di unificazione dell’Italia dall’ordinamento preunitario allo Stato unitario293.

Nei lavori dell’Assemblea Costituente emerge in prevalenza la considerazione della scuola (considerata depositaria delle funzioni in materia di istruzione e istruzione e formazione professionale a prescindere dagli schieramenti politici) come un “organismo che garantisce l’unità nazionale” (Concetto Marchesi) e un’entità con finalità di “ricostruzione spirituale del paese” (Aldo Moro). Quindi, anche in seno a correnti diametralmente opposte, le posizioni convergevano sulla visione della scuola come “scuola di Stato”294. Certo non era mancato chi, con visione decentralizzata, ricordava a quali nefaste conseguenze avesse portato la politica burocratizzante e gerarchizzante che il regime fascista adottò nelle politiche sull’istruzione, accentrandone le funzioni (Luigi Einaudi); nonché, chi non vedeva particolari rischi nell’attribuire competenze alle Regioni, considerata la garanzia per il sistema che scaturiva dai principi generali posti dallo Stato

291 Con riguardo al periodo antecedente al 1948, cfr. cap. I. par. 3.1. 292

V. De Santis, L’istruzione tra Stato e Regioni, in Le dimensioni costituzionali dell’istruzione, cit., p. 226.

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Tra gli altri, cfr. S. Cassese - A. Mura, art. 33-34, in Commentario della Costituzione, cit., pp. 210 e ss.

294 Come nota V. De Santis, op. cit., p. 227, «Del resto, ancora oggi, la valenza unificante dell’istruzione appare

persistente, tanto che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 200/2009, ha attribuito agli artt. 33 e 34 Cost. una “valenza necessariamente generale e unitaria” e, soprattutto, ha riconosciuto le norme generali sull’istruzione come “funzionali” ad assicurare “l’identità culturale del Paese”».

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(Tristano Codignola). Ad ogni modo, prevalse l’idea di rimettere alle Regioni a statuto ordinario solo una competenza concorrente sull’istruzione artigiana e professionale e sull’assistenza scolastica, sia per ragioni legate alla carenza dei mezzi a disposizione delle Regioni (Leonardo Miccolis), sia per garantire l’unità del sistema scolastico, affidandolo interamente allo Stato (Ferdinando Bernini)295.

La via seguita dai Padri Costituenti, dunque, ha trovato sintesi nell’art. 33, Cost., dove, come visto, si affidano alla Repubblica le competenze (e gli obblighi) per attuare il diritto all’istruzione: laddove, per Repubblica, negli anni di emanazione della Carta Fondamentale, si intendeva soltanto lo Stato.

Tuttavia, il concetto di Repubblica nei decenni successivi all’entrata in vigore della Costituzione ha subito una notevole dilatazione. E a conclusione di questo processo di espansione, a seguito delle modifiche intervenute sul titolo V della Costituzione, con la nota riforma di cui alla l. cost. n. 3 del 2001, anche per attuare quanto disposto dall’art. 5, Cost., il legislatore costituzionale ha incrementato le funzioni attribuite alle entità territoriali, avendo cura di precisare, all’art. 114, che per Repubblica debbano intendersi Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato296. Incremento, questo, frutto anche delle pressioni esercitate dalle Regioni, che hanno “conquistato” nel tempo vari ambiti di materie, in parte estendendo la latitudine di quelle già attribuite alla propria competenza concorrente (come, per esempio, il diritto allo studio297); in parte, andando a colmare gli spazi di contiguità tra diversi ambiti ad esse

295 Gli atti dell’Assemblea Costituente possono essere consultati sul sito www.archivio.camera.it.

296 C. Mortati, Art. 1, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Soc. Editrice del

Foro italiano, 1975, p. 3, ben prima della riforma suddetta argomentava come «l’identificazione dell’Italia con la Repubblica ha quindi voluto affermare il momento unitario che raccoglie in sé le molteplici articolazioni di cui l’ordinamento si compone». Sul rapporto che si è andato nuovamente delineando, a seguito della nota riforma sul Titolo V della Costituzione, M.G. Rodomonte, I Regolamenti Regionali, Milano, Giuffrè, 2006, p. 13 osserva che si è assistito a un «passaggio da una strutturazione gerarchica ad una paritaria tra i vari livelli di Governo». Da tale presupposto, peraltro, l’Autrice inferisce, sempre ivi, che «il nuovo pluralismo in esso [art. 114 della Cost.] assunto non si traduca in mera disarticolazione e separatezza delle “parti” che compongono l’ordinamento, ma in articolazione dinamica, gravitante attorno ad un solo centro», il quale ultimo, nell’opinione dell’Autrice, deve «essere rappresentato da quei valori attorno a cui si strutturano le scelte fondamentali all’interno del testo costituzionale».

297 Con riguardo alle competenze regionali ante riforma 2001, V. De Santis, L’istruzione tra Stato e Regioni, in Le

dimensioni costituzionali dell’istruzione, cit., p. 260, osserva come «già a partire dai primi anni settanta del XX secolo – la legislazione regionale abbia proposto un’interpretazione ampia delle proprie competenze in materia di assistenza scolastica. Ciò ha consentito di approdare all’elaborazione di un concetto autonomo di diritto allo studio, che si distacca dalla sola azione assistenzialistica, per elaborare tutta una serie di interventi vòlti a facilitare, complessivamente, l’accesso all’istruzione e, in ultima analisi, la formazione della persona». In questa prospettiva, si deduce che le intenzioni del legislatore regionale avessero già prodotto in diversa misura un’estensione degli ambiti di competenza attribuiti dalla Costituzione alle Regioni, che si traducevano, in sostanza, in «interventi a destinazione collettiva». Tuttavia, l’Autrice ha cura di precisare che l’azione assistenzialista, mediante contributi ad personam per i servizi di trasporto e mensa, «non è stata abbandonata, ma è cambiata la prospettiva, perché essa è stata inserita

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assegnati (come, per esempio, è avvenuto nella politica di raccordo tra le competenze in materia di sicurezza e tutela del lavoro e la formazione professionale continuativa – c.d. lifelong learning).

Ancora, prima di procedere alla ripartizione attuale delle competenze tra Stato e Regioni (ed Enti Locali) e scuole nelle due materie in commento, occorre fornire qualche elemento chiarificatore su cosa debba intendersi per istruzione, da un lato, e per istruzione e formazione professionale, dall’altro. La differenza può essere utile anche per comprendere su quale dei due ambiti possieda maggiore incisività l’azione dell’Unione Europea, come detto più influente sulla seconda, sebbene il divieto di armonizzazione delle legislazioni nazionali le accomuni.

Tuttavia, occorre tenere presente che i segmenti dell’istruzione, in generale, e dell’istruzione professionale, in particolare, devono necessariamente essere disciplinati uniformemente (quantomeno con riguardo ai tratti generali), dovendosi considerare oramai una conquista acquisita quella della “osmosi” tra i due percorsi, ai fini dell’accesso alle qualifiche superiori298. In altri termini, si intende la possibilità, per lo studente, sia di poter transitare “in corsa” da un percorso di studi ad un altro (da liceo, a tecnico, a professionale e in ipotesi – statisticamente meno frequente – viceversa), sia di poter accedere agli studi superiori pensati per un percorso, pur provenendo da un altro299.

Al riguardo, una prima definizione normativa si può ricavare dal d.p.r. 616 del 1977, in cui veniva delineata una nozione dell’istruzione e formazione professionale dalla quale si potevano a

contrario ricavare anche gli elementi caratterizzanti dell’istruzione in generale. Infatti, la prima

veniva considerata «destinata alla qualificazione, perfezionamento, riqualificazione e orientamento professionale dei lavoratori subordinati, purché» (ecco quindi la parte della norma dalla quale si potevano dedurre a contrario gli elementi dell’istruzione in generale) «non diretta al conseguimento di un titolo di studio o diploma di istruzione secondaria superiore, universitaria o post universitaria», essendo a queste finalità diretta, appunto, l’istruzione in generale.

all’interno di un intervento legislativo vòlto a rimuovere complessivamente gli ostacoli, di natura non solo economica, ma anche sociale e culturale che impediscono l’accesso e la prosecuzione degli studi».

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Infatti, la prima forma di “ghettizzazione” sociale, fino al superamento della riforma fascista degli anni ’30 del secolo scorso, passava attraverso l’impermeabilità reciproca dei due percorsi formativi, essendo riservato quello dell’istruzione (c.d. classica) alle classi d’elite; quello dell’istruzione (tecnico-) professionale ai ceti medio-bassi. La scelta di non voler integrare i due segmenti di istruzione portava inevitabilmente a frenare la mobilità sociale, mediante una selezione alla fonte di coloro che potevano aspirare a conseguire le qualifiche superiori.

299 Anche A. Poggi, L’autonomia scolastica nel sistema delle autonomie regionali, in Ist. Fed., 2004, p. 255, è

dell’opinione che, data la conformazione dell’offerta formativa come “sistema”, appare «difficilmente separabile e scindibile sia dal punto di vista epistemologico e pedagogico, sia sotto il profilo dei contenuti e dei relativi percorsi l’istruzione, la formazione professionale e la formazione permanente».

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In sostanza, la distinzione si poneva tra formazione culturale e formazione professionale: «la prima prodotta sostanzialmente nei licei (e poi all’università) la seconda negli istituti tecnici e, nella prospettiva di un rapido inserimento nel mondo del lavoro di personale idoneo all’esercizio di attività esecutive o di prestazione d’opera qualificata, negli istituti professionali»300.

Tuttavia, la distinzione di cui al d.p.r. n. 616, cit., è stata superata dal decreto delegato n. 112 del 1998, emanato sulla base della legge delega n. 59 del 1997 (la c.d. Legge Bassanini). Il decreto del 1998 chiarisce che per «istruzione artigiana e professionale» si deve intendere la «formazione professionale», ossia «il complesso degli interventi volti al primo inserimento, compresa la formazione tecnico-professionale superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e all’orientamento professionale, ossia con una valenza prevalentemente operativa, per qualsiasi attività di lavoro e per qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita dagli istituti professionali, nel cui ambito non funzionano corsi di durata quinquennale per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, la formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attività produttive».

In altri termini, anche in questo caso si deduce ciò che “non” deve considerarsi istruzione e formazione professionale, il cui limite è quello di non avere durata quinquennale con la conseguenza dell’inidoneità di questa a fornire un titolo (diploma di maturità), essenziale per l’accesso ai percorsi di istruzione tecnica superiore e universitaria.

Per tale via, la differenza tra le nozioni di istruzione (genericamente intesa) e quella di istruzione e formazione professionale viene avocata alla determinazione del legislatore statale, la cui competenza, come si vedrà, resta quasi onnicomprensiva su tutta l’istruzione, anche a dispetto di quanto disposto dalla sopravvenuta riforma della Costituzione. Infatti, e solo per fornire un’anticipazione di quanto verrà esaminato nel prosieguo, la previsione costituzionale di una competenza esclusiva regionale in materia di istruzione e formazione professionale è stata ampiamente vanificata, mediante il mantenimento in vigore di un sistema di competenze già delineato dal legislatore ordinario (in particolare, con D. lgs. n. 112 del 1998), prima della riforma

300 L. Calcerano, G. Martinez Y Cabrera, v. “Scuola”, in Enc. Del Dir., vol. XVI, Milano, Giuffrè, 1989, p. 898, che richiama

una distinzione riportata in A. Fadiga Zanatta, Il sistema scolastico italiano, Bologna, Il Mulino, 1976, p. 33. Gli autori proseguono fornendo una tripartizione dei raggruppamenti in cui “catalogare” gli istituti scolastici di II grado e i rispettivi ordinamenti: «α) l’istruzione liceale, intesa come proposta formativa meramente preparatoria a studi successivi di livello superiore: licei classici, licei scientifici, licei linguistici, licei artistici; β) l’istruzione tecnica, storicamente intesa come formazione professionale dei quadri tecnici intermedi: istituti tecnici; istituti magistrali; γ) l’istruzione professionale, tradizionalmente tesa alla formazione professionale dei tecnici di primo livello: istituti professionali, istituti d’arte, scuole magistrali».

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costituzionale, e che, evidentemente, pertanto è dotato di una capacità conformativa dell’interpretazione da fornire alla norma costituzionale sopravvenuta (sic!).

Per completare il quadro delle definizioni normative dell’istruzione (professionale, tecnica e liceale), è opportuno citare i d.p.r. nn. 87, 88 e 89 del 2010 (di riordino, rispettivamente, degli istituti professionali, tecnici e liceali), i cui artt. 2 hanno cura di definire le diverse “identità” in cui essa viene impartita. Gli istituti professionali si caratterizzano «per una solida base di istruzione generale e tecnico-professionale, che consente agli studenti di sviluppare, in una dimensione operativa, saperi e competenze necessari per rispondere alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento, considerato nella sua dimensione sistemica per un rapido inserimento nel mondo del lavoro». Gli istituti tecnici, dal canto loro, si distinguono «per una solida base culturale di carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell’Unione europea, costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l'applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico ed è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l'obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all'esercizio di professioni tecniche, saperi e competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro». Infine, i licei «forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti con le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro». Peraltro, i regolamenti per il riordino degli istituti professionali e tecnici hanno cura di precisare che l’identità degli stessi è finalizzata anche «all’accesso all’università e all’istruzione e formazione tecnica superiore» e che «si concludono con il conseguimento dei diplomi di istruzione superiore», pertanto superando le residue differenze che ancora caratterizzavano l’istruzione professionale del tessuto normativo della l. 112 del 1998.

Si può concludere, allora, che, se una differenza permane tra le due macroaree (istruzione e istruzione e formazione professionale), essa riguarda soltanto la differenza tra l’istruzione nazionale e quella regionale, che viene indicata con la sigla “IeFP”, ma che in certa misura fa parte di quella nazione e si collega a essa, con dei meccanismi di cui si accennerà nel prosieguo.

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