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Par 3 Le autonomie scolastiche “subordinate” pubbliche, paritarie e istituite da altri Enti pubblici.

Per avere un quadro completo sulle competenze in materia di istruzione, occorre menzionare le istituzioni scolastiche, la cui “autonomia” è fatta salva dall’art. 117, 3° comma, Cost., nell’ambito della competenza concorrente tra Stato e Regioni.

In premessa, si ritiene utile osservare come il dato normativo (artt.: 21 della l. n. 59/1997; 1 della l. n. 62 del 2000 e 33, Cost.) si riferisca alla distinzione tra scuole statali e non statali, piuttosto che tra scuole pubbliche e scuole private. Ne consegue la possibilità di delineare una tripartizione tra scuole statali, private e istituite da altri Enti (come per esempio la Regione), le quali ultime necessitano di un procedimento di parificazione a molteplici effetti.

Inoltre, nell’ambito delle scuole statali, si distinguono gli istituti educativi e le scuole statali italiane all’estero (che possono anche essere private e di formazione professionale). Negli istituti educativi, il tratto caratterizzante è che, per gli alunni interni (cioè che vivono e pernottano anche all’interno dell’istituto), oltre al servizio di istruzione, viene fornito anche un servizio propriamente educativo. Nelle seconde, invece, le peculiarità sono sia organizzative (istituzione, dimensionamento, soppressione, controllo e vigilanza), sia didattiche (approvazione dei programmi didattici), in quanto non sono di competenza del Ministero dell’Istruzione e di Regioni ed Enti locali, ma del Ministero degli Affari Esteri; inoltre, pur presentando in generale una struttura ordinamentale affine alle scuole statali, divergono da queste per taluni aspetti legati all’insegnamento della Religione e all’eventuale vigenza di accordi internazionali.

Le origini delle competenze della scuola affondano negli anni Settanta del secolo scorso, quando nel sentire sociale si diffuse l’opinione per cui la scuola doveva rappresentare un collante tra tutte le componenti della società che intorno ad essa ruotavano. L’aggregazione per il suo tramite di famiglie, imprese, associazioni, organi rappresentativi delle autonomie locali era stata gradualmente realizzata con l’attribuzione di vari poteri agli organi collegiali delle scuole: in questo modo, le finalità di pluralismo culturale perseguite al suo interno trovavano naturale pendant nell’adozione di un modello di pluralismo istituzionale.

Tuttavia, tale percorso si era rivelato incompleto, essendo comunque le scuole ritenute fino agli inizi degli anni Novanta ancora promanazione, organi particellari, ramificazioni estreme del Ministero sul territorio.

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Ne è conseguita l’esigenza di configurarle come soggetti autonomi dal potere centrale e ne sono scaturite due rilevanti innovazioni normative.

La prima, ex art. 21, della l. n. 59 del 1997, è consistita nell’attribuzione della personalità giuridica alle istituzioni scolastiche, caratterizzate da determinati requisiti dimensionali (stabiliti dal d.p.r. n. 233 del 1998), considerato che si riteneva che il conseguimento dell’ottimale dimensionamento e, di conseguenza, la riorganizzazione della rete scolastica secondo criteri di efficienza ed economicità rispondesse a molteplici scopi. Tra cui, quelli di:

- «garantire l'efficace esercizio dell'autonomia prevista dall'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59, di dare stabilità nel tempo alle stesse istituzioni e di offrire alle comunità locali una pluralità di scelte, articolate sul territorio, che agevolino l'esercizio del diritto all’istruzione» (1° comma);

- conseguire gli «obiettivi didatticopedagogici programmati, mediante l'inserimento dei giovani in una comunità educativa culturalmente adeguata e idonea a stimolarne le capacità di apprendimento e di socializzazione» (2° comma);

- «assicurare alle istituzioni scolastiche la necessaria capacità di confronto, interazione e negoziazione con gli enti locali, le istituzioni, le organizzazioni sociali e le associazioni operanti nell'ambito territoriale di pertinenza»371.

Occorre sottolineare, Inoltre, che l’attribuzione di personalità giuridica alle scuole pubbliche pone queste sullo stesso piano di quelle private da un punto di vista operativo.

La seconda innovazione, portato del d.lgs. n. 59 del 1998 (la cui disciplina confluirà, in seguito, nel d.lgs. 165/2001), in attuazione dell’art. 21, 16° comma, della l. n. 59 del 1997, conferisce la qualifica di dirigenti scolastici ai capi d’istituto. Per l’effetto, il dirigente, ora, ha la rappresentanza legale dell’istituzione, assicurandone la gestione unitaria, pur nel rispetto delle competenze degli organi collegiali e delle funzioni del personale della scuola; inoltre, assume una responsabilità di risultato e una responsabilità per la gestione delle risorse finanziarie e strumentali, per le quali è sottoposto ad un giudizio di valutazione di un organo ad hoc istituito presso gli Uffici Scolastici Regionali372.

371A. Sandulli, Il sistema nazionale di istruzione, cit., p. 167, riflette argutamente sulla circostanza secondo cui

«l’entificazione delle scuole, pertanto, ha la propria ragione di fondo non nell’esigenza, per così dire, individualistica, di fuga dallo Stato […] al fine di acquisire spazi di azione svincolati dall’incidenza del potere statale, bensì in quella, si potrebbe dire, pianificatoria, implicante la circostanza che le entità minimali del sistema siano in grado di […] dare alimento […] all’interdipendenza come afflato vitale del sistema nazionale di istruzione».

372 Da tale circostanza, sempre A. Sandulli, op. ult. cit., pp. 169 e ss., inferisce la mancanza di uno degli elementi per

riconoscere la sussistenza di un’autonomia funzionale a favore delle istituzioni scolastiche: ossia, l’assenza di un organo di vertice elettivo, all’interno del sistema pluralista scuola, essendo invece il dirigente scolastico qualificato

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Infine, come detto, la riforma del Titolo V della Costituzione ha definitivamente consacrato a livello, appunto, costituzionale l’autonomia delle istituzioni scolastiche, garantendola per tale via da eventuale volontà legislativa difforme, sia statale che regionale373. Tuttavia, l’accezione di autonomia scolastica di matrice costituzionale è stata finora definita dalla Consulta soltanto in negativo, avendo tale Giudice stabilito come essa non possa «risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali istituzioni [scolastiche] siano lasciati adeguati spazi di autonomia che le leggi statali e quelle regionali, nell'esercizio della potestà legislativa concorrente, non possono pregiudicare»374.

Per quanto concerne, più nel dettaglio le competenze delle scuole, in primo luogo rileva l’attività di insegnamento, da intendersi come servizio svolto nell’interesse dell’utenza che si sostanzia nel coordinamento organico delle attività dei singoli docenti, dirette «ad impartire cognizione ai discenti nei vari rami del sapere»375.

Per il tramite della scuola, quindi, l’attività in questione diviene funzionale al soddisfacimento dell’interesse degli utenti, ma soggiace ad un doppio limite: interno ed esterno.

Il limite interno rileva con riguardo alla libertà di insegnamento del docente e ai diritti di natura giuslavoristica del corpo docente e del personale amministrativo (ne deriva, per esempio, l’impossibilità per la scuola di imporre un monte ore superiore a quello previsto dalla contrattazione collettiva, nell’esercizio della propria attività di programmazione didattica). Il limite esterno si pone in relazione al dovere della scuola di rispettare le finalità e gli obiettivi posti dalle norme generali sull’istruzione (ne consegue, per esempio, che l’istituzione scolastica non possa esercitare la propria autonomia didattica, ovvero di programmazione formativa – mediante il PTOF, Piano Triennale dell’Offerta Formativa – in violazione dei programmi e degli ordinamenti scolastici fissati dalle norme generali sull’istruzione). Tale limite si sostanzia, altresì, nel dovere che incombe sulla scuola di garantire il diritto di accesso a tutti gli aspiranti discenti, pur nei limiti delle

tale, previo superamento di un concorso, e incaricato da parte del Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale (il quale ha anche il potere di revocarne l’incarico al ricorrere di date circostanze). Di diversa opinione, invece, è altra dottrina: cfr. S. Nicodemo, op. cit., p. 166, la quale afferma che «la scuola si configura quindi non come una mera autonomia organizzativa e burocratica, ma come vera e propria autonomia funzionale, in quanto all’istituzione scolastica è riconosciuta l’autonomia proprio per assicurare il soddisfacimento degli interessi collettivi, di cui sono portatori gli individui che vi partecipano».

373 Con riguardo all’inserimento dell’autonomia scolastica nel testo costituzionale, occorre osservare come il lemma

utilizzato dal costituente, non accompagnato da ulteriori elementi definitori, sia del tutto inidoneo a identificare il tipo di autonomia costituzionalmente garantito alle scuole. Osserva S. Nicodemo, op. cit., p. 163, che «nel diritto pubblico, l’autonomia assume una portata relazionale e, chiede, per la definizione del proprio contenuto, che il sostantivo venga qualificato mediante apposito aggettivo, che ne connoti i profili di autodeterminazione».

374 C. Cost., n. 13 del 2004, cit.

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disponibilità di organico (e così, per esempio, una scuola – anche privata – non può impedire l’accesso a taluni soggetti disabili, d.s.a o con un dato curriculum scolastico, i cui voti siano deficitari rispetto a una soglia minima predeterminata, per garantire all’istituzione scolastica una selezione “dei migliori”, funzionale a pianificare una “più efficiente attività didattica”).

Inoltre, la scuola ha competenze (autonomie) didattiche e organizzative.

L’autonomia didattica, che viene esercitata formalmente con l’elaborazione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), consente all’istituzione di declinare gli obiettivi nazionali, concretizzando quelli in percorsi formativi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni, riconoscendo e valorizzando le diversità, promuovendo le potenzialità di ciascuno, adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo (art. 4, d.p.r. 8 marzo del 1999, n. 275). In questa prospettiva, l’autonomia didattica consente altresì di predisporre dei piani di insegnamento individualizzato, per fronteggiare specifiche situazioni di difficoltà degli alunni; di scegliere (entro certe soglie percentuali) una particolare modulazione dell’organico del personale docente o del programma da privilegiare all’interno di un corso di studi; etc.

Allo stesso tempo, per rendere operativamente attuabili queste scelte all’interno della scuola, questa detiene anche un’autonomia organizzativa, che le consente di godere di maggiore flessibilità e di diversificare le scelte in ordine all’uso delle proprie risorse (sia umane, che materiali), realizzando anche accordi di rete con altre scuole, istituzioni pubbliche o enti privati. A tal fine, l’art. 4, 2° comma, d.p.r. 8 marzo del 1999, n. 275, prevede che «le istituzioni scolastiche possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune e tra l'altro: a) l’articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività; b) la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l'unità oraria della lezione e l'utilizzazione, nell’ambito del curricolo obbligatorio di cui all'articolo 8, degli spazi orari residui; c) l’attivazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale dell'integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione agli alunni in situazione di handicap secondo quanto previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104; d) l’articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso; e) l’aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari».

Inoltre, le scuole sono competenti sulla gestione del personale titolare o in servizio presso esse (escluse le questioni il cui esercizio sia legato ad un ambito territoriale più ampio di quello di

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competenza della singola istituzione376, ovvero richieda garanzie particolari in relazione alla tutela della libertà di insegnamento377) e di stipulare reti tra scuole funzionali alla gestione di questioni comuni relative alle risorse umane e materiali, all’approvvigionamento di beni e servizi e alla partecipazione a progetti locali, nazionali e europei.

Ancora, la scuola è dotata di autonomia finanziaria e contabile, essendo peraltro tenuta al rispetto delle stringenti regole imposte dal Decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 129 del 2018. Ciascuna scuola riceve dallo Stato una dotazione finanziaria essenziale per il funzionamento amministrativo e didattico. Ai sensi dell’art. 21, comma 5°, della l. n. 59 del 1997, tale dotazione è vincolata ad una generica destinazione prioritaria delle risorse allo svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento proprie di ciascuna tipologia e di ciascun indirizzo di scuola.

Inoltre, alle scuole è data facoltà di reperire risorse ulteriori, sia mediante finanziamenti da altri enti (Regioni, autonomie locali, fondi europei), che da privati (contributi dei genitori degli alunni, eredità, legati, donazioni). La capacità negoziale delle istituzioni scolastiche, inoltre, consente a queste di ricavare entrate anche dalla cessione di beni o servizi; dallo sfruttamento delle opere di ingegno realizzate nel corso dello svolgimento delle attività formative; con attività di sponsorizzazione e di partenariato pubblico/privato.

Infine, alla scuola compete la certificazione di conclusione del corso di studi, mediante la valutazione della preparazione del discente e l’attribuzione del titolo utile ad accedere al grado di istruzione superiore o all’ambito lavorativo.

All’apparenza le competenze delle scuole sembrano essere in numero elevato e tali da poter essere considerate adeguate allo svolgimento di una compiuta autonomia lato sensu intesa. Tuttavia, il sistema scolastico attuale non può ritenersi soddisfacente rispetto alle necessità di

governance, che dovrebbero già caratterizzarlo.

In questa prospettiva è fortemente carente l’autonomia delle scuole in materia di curricula e offerta dei corsi di studio. Come detto, infatti, la quota di autonomia di cui le istituzioni scolastiche dispongono ha delle forti limitazioni: essendo contenuta entro un tetto del 20 per cento del monte ore dell’offerta didattica totale. Peraltro, in concreto molte scuole non fanno ricorso neanche a quella percentuale di autonomia, sia per le soggettive incapacità di comprensione della complicata

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Come per la formazione delle graduatorie ad esaurimento (o quantomeno di quel che ne rimane, vista la procedura straordinaria di assunzioni avviata dalla L. 107 del 2015) o del reclutamento, posto che questa procedura è di competenza legislativa statale, essendo il personale docente e ATA da considerarsi dipendente pubblico.

377 Per esempio, in caso di autorizzazioni per utilizzazioni ed esoneri per i quali sia previsto un contingente nazionale; o

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materia degli “organici”; sia per ragioni di “politica scolastica”, ossia per non “scontentare” i docenti già titolari in organico presso una specifica istituzione scolastica. Infatti, qualora per effetto dell’esercizio dell’autonomia da parte del Dirigente Scolastico, una classe di concorso si veda sottrarre un monte ore a favore di altra classe di concorso, i docenti titolari nella scuola sulla prima classe di concorso rischierebbero di vedersi diminuire le ore complessive della cattedra (che sono 18), al punto da rischiare di diventare “personale in esubero” in quella sede e dover essere costretti a presentare domanda di mobilità presso altra istituzione scolastica.

Per ciò che concerne, invece, gli aspetti di gestione delle risorse, occorre sottolineare come nella prospettiva delle best practicies, gli Stati con le migliori performances sono quelli in cui si è privilegiato un modello con maggiore flessibilità di spesa, rispetto a quelli, come il nostro, in cui il finanziamento è legato a requisiti dimensionali e numero di studenti. Analogo discorso può condursi anche con riguardo agli Stati dove si riscontra maggiore flessibilità nella gestione del personale, sia in relazione alle politiche di assunzione, che di quelle di remunerazione e incentivazione378.

In proposito, occorre prendere in considerazione il dato secondo cui la l. 107 del 2015, nell’ottica di conferire maggiore incisività al processo di autonomizzazione delle istituzioni scolastiche, ha previsto un potenziamento dei poteri manageriali del dirigente scolastico. In tal senso depongono i commi da 78 a 83, dell’art. 3, l. cit., con cui, in verità entro limiti estremamente ristretti, è consentito al Dirigente Scolastico di scegliere sia una parte del proprio staff (all’interno del solo corpo docente), sulla base di una procedura di scelta dei curricula che certe categorie di docenti interessati gli possono presentare (a certe condizioni) nel periodo estivo, quindi in maniera funzionale all’avvio dell’anno scolastico; sia, all’interno del proprio staff, di valorizzare (nel tetto massimo del 10 per cento) una componente del corpo docente (ma del solo organico c.d. dell’autonomia), attribuendo incarichi di supporto organizzativo e didattico da svolgere all’interno della scuola. Peraltro, il meccanismo appena descritto, al momento è già stato sospeso, con la prospettiva di eliminarlo del tutto nel breve periodo.

Per concludere, allo stato attuale, con riguardo alla natura della nostra società, si parla di un sistema post-fordista, di cui la complessità, l’informazione, la rete e l’auto-organizzazione sono elementi essenziali. L’aumento esponenziale della quantità di informazioni legate all’estrema

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Tali considerazioni sull’utilizzo flessibile delle risorse finanziarie sono svolte da G. Coinu, L’organizzazione del sistema scolastico, in Le dimensioni costituzionali dell’istruzione, cit. p. 290. L’Autore, ibidem, p. 290, precisa che il dato riportato «associato al fatto che i Paesi che hanno ridotto il differenziale di apprendimento tra i top performer e i low performer, dovrebbe suggerire di varare politiche promozionali di riequilibrio selettivo, per incentivare, ad esempio, i migliori insegnanti ad insegnare nelle scuole che raggiungono risultati più modesti».

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complessità sociale raggiunta comporta, paradossalmente, che il processo di elaborazione di quelle informazioni e le attività decisionali conseguenti generino, a loro volta, ulteriore complessità, in una progressiva spirale autoalimentantesi. Questo fenomeno è tipico della c.d. “società dell’informazione”, che è già qualità della nostra attuale.

Le strutture macrodimensionate, tra le quali occorre far rientrare anche un ministero (con le relative tendenze accentratrici), risultano inefficaci e inefficienti a fronteggiare gli svantaggi e a cogliere i vantaggi, che da una società complessa siffatta derivano, a causa di vari problemi, legati essenzialmente alla lentezza decisionale, alla anelasticità delle attività, alla specializzazione e uniformità delle competenze.

Al contrario, strutture microdimensionate, quali possono essere le scuole, hanno le caratteristiche di flessibilità, rapidità decisionale, capacità di adattamento e, per cogliere alcuni dei vantaggi propri delle strutture di grandi dimensioni, possibilità di integrazione in rete, come se fossero un’unica organizzazione, pur preservando le proprie individualità all’interno di questa.

E pare sia proprio questa la strada verso cui uno Stato che voglia perseguire propositi di efficacia ed efficienza dovrebbe seriamente spronare le scuole a dirigersi, eliminando (o riducendo) quell’elefantiaca macchina ministeriale, che tanto costosa appare e tanto lenta al tempo stesso.

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CAPITOLO QUINTO.

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