Nel contesto delle tematiche che si è inteso affrontare nella presente trattazione, si ritiene essenziale fornire un quadro generale sui meccanismi di finanziamento all’istruzione. Da un lato, intatti, l’esercizio è utile a verificare l’esistenza di sacche di inefficienza nel meccanismo; dall’altro, esso è funzionale a comprendere, al di là dei dati formali, quali siano i reali costruttori dell’attuale quadro identitario all’istruzione.
Nell’introdurre il tema del finanziamento all’istruzione è necessario operare una doppia premessa di metodo: infatti, occorre innanzitutto inquadrare le dimensioni nelle quali si suddivide la spesa; inoltre, bisogna specificare quali siano gli indicatori di quantificazione del livello di risorse investite nell’istruzione.
Con riguardo al primo aspetto379, rileva evidenziare come la prima dimensione di spesa concerna la destinazione della stessa: infatti, essa può essere destinata alle scuole, al Ministero dell’Istruzione, alle Regioni e agli Enti Locali, a Enti terzi, collegati alle scuole o da queste del tutto scollegati (si pensi all’appalto per spese di pulizia centralizzato; oppure al servizio di trasporto affidato a privati e cofinanziato da Regioni e Province; etc.).
La seconda dimensione riguarda l’oggetto della spesa. In tale prospettiva, essa viene destinata a tre tipi di beni e servizi acquistati/finanziati. Innanzitutto, la spesa è indirizzata ai servizi di insegnamento (in cui rientrano gli stipendi del personale docente e ATA; nonché, le spese c.d. esterne, come per esempio quelle per l’acquisto dei libri di testo o di altro materiale didattico) e di apprendimento (in cui rientrano anche i contributi delle famiglie, attraverso i c.d. contributi volontari, i quali sono finalizzati ad attività di ampliamento dell’offerta formativa). Inoltre, essa
379 La classificazione è di M. Triventi, Il finanziamento, in L’Istruzione Superiore. Caratteristiche, funzionamento e
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viene rivolta ai servizi di ricerca e sviluppo (per quanto concerne, in particolare, i consorzi e le reti tra istituti Tecnici e/o professionali e gli Istituti di Istruzione Superiore), in cui confluiscono sia finanziamenti pubblici, che privati (in particolare, dalle imprese). Infine, la spesa concerne gli altri servizi accessori all’insegnamento (quali ad esempio, i servizi mensa, trasporto e residenziali – questi ultimi, in particolare, per i convitti e gli educandati).
L’ultima dimensione guarda alla fonte del finanziamento, che può essere pubblica (da Stato, Regioni e Enti Locali) o privata (da famiglie e imprese). Inoltre, una cospicua rilevanza ha assunto sempre più il finanziamento (sempre di natura pubblica) proveniente dall’Unione Europea.
Per quanto concerne gli indicatori che quantificano il livello delle risorse investite nell’istruzione, il primo di essi prende in considerazione il livello complessivo di spesa destinata a un campo (nel nostro caso, all’istruzione inferiore) in percentuale al PIL. In sostanza, tale indicatore fornisce l’idea della rilevanza attribuita da uno Stato a un determinato settore in cui esso investe e rappresenta il totale delle risorse economiche che lo Stato e i privati, che producono all’interno dei suoi confini, destinano al relativo finanziamento. Nel 2018, nell’istruzione inferiore l’Italia ha investito circa il 2,8 % del PIL, rispetto a una media Europea del 3,3%380. Agli antipodi delle forbici sulle quali è calcolata tale media si collocano il Belgio, che spende il 4,25% del PIL, e la Romania, con l’1,7% del PIL. Tra gli altri Paesi, sembra inoltre opportuno segnalare: in positivo (rispetto alla media UE) il Regno Unito (4%), la Svezia (3,75%) e la Francia (3,5%); per contro, in negativo (sempre rispetto alla stessa media) la Spagna (2,7%) e la Germania (2,65%) (tuttavia, tali dati percentuali non tengono conto del finanziamento rivolto alla scuola dell’infanzia e all’istruzione superiore e alla ricerca, che formano il macro aggregato “education” e che determinano un sovvertimento della classifica – limitata all’UE – appena descritta, essendo in generale i Paesi del nord Europa più generosi sul finanziamento destinato all’istruzione superiore – e la ricerca – rispetto a quanto lo siano gli Stati dell’Europa dell’est e meridionale).
Un ulteriore indicatore è volto a quantificare la spesa annuale che gli Stati destinano a ogni studente. Tale indicatore viene normalmente espresso in dollari, convertiti in considerazione del potere di acquisto della moneta adottata negli Stati di riferimento. Tale «indicatore, rapportando la spesa al numero degli iscritti, indica l’ammontare di risorse virtualmente impiegate per ciascuno studente»381. Anche in questo caso, la spesa dell’Italia per quel che concerne l’istruzione inferiore
380 Fonte Eurostat, aggiornata a novembre 2018. 381 In tal senso, M. Triventi, op. cit., p. 91.
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è di poco inferiore a 9500 dollari (i dati si riferiscono al 2013 e, quindi, non tengono conto dell’incremento di spesa determinatosi a seguito dell’entrata in vigore della l. 107 del 2015 e della ingente immissione in ruolo di personale docente che ne è conseguita) e, pertanto, non si discosta particolarmente dalla media di riferimento (che nel caso specifico è la media OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), che si attesta intorno ai 9500 dollari. Discorso a parte deve condursi con riguardo alla spesa per studente nell’istruzione terziaria, rispetto alla quale l’Italia si colloca nelle ultime posizioni della classifica OCSE (ma il dato non tiene conto della maggiore partecipazione dei privati al finanziamento del settore, in cui si è assistito a incrementi anche del 20%, a seconda degli anni di riferimento, e che, d’altronde, costituisce un trend nella quasi totalità dei Paesi oggetto delle rilevazioni).
Peraltro, occorre da subito evidenziare che, per l’Italia in particolare, gli indicatori citati non forniscono un quadro chiaro del finanziamento complessivo dell’istruzione, trascurando sia l’istruzione presso istituzioni private; sia, soprattutto, quella cospicua fetta di istruzione e formazione professionale che viene gestita in autonomia dalle Regioni, seppure nel solco dei percorsi ordinamentali riconosciuti dallo Stato ai fini dell’assolvimento dell’obbligo scolastico. Infatti, la spesa in tale ambito viene finanziata: prevalentemente dalle Regioni e dall’Unione Europea, mediante i fondi strutturali; in misura inferiore dallo Stato, attraverso i ministeri competenti (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali; Ministero dello Sviluppo Economico; etc.). Peraltro, con riguardo alle Regioni e all’UE, non è mai stato completamente implementato un sistema di misurazione e monitoraggio dei costi sostenuti; mentre, con riguardo ai Ministeri, manca un sistema unico nazionale che possa fornire un feedback omogeneo dei medesimi costi sostenuti. Come si osserva da parte di alcuna dottrina382, l’impossibilità di quantificazione degli investimenti esteri che transitano dalle Regioni è da ricercare nel fatto che «le risorse passano da un livello di Governo all’altro mediante scritture contabili che non consentono al ricercatore di disaggregare le voci. Per di più quando queste risorse vengono conferite alle Regioni e/o agli Enti locali il percorso si complica ulteriormente, per via della prerogativa che ciascuna di esse ha nello strutturare la denominazione delle voci del proprio bilancio». La soluzione potrebbe essere, da un lato, quella di rilevare con sistematicità tali risorse alla fonte (Ministeri competenti per la programmazione e il conferimento delle risorse) per conoscere i dati relativi al finanziamento estero. Dall’altro lato, sarebbe necessario incrementare il percorso di classificazione sistematica
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dei bilanci Regionali (per vero già avviato oramai a partire dalla l. 196 del 2009) in maniera tale da poter comprendere quale sia lo sbocco di tali risorse.