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Esaminati i tratti essenziali e accessori del diritto all’istruzione, occorre adesso dare conto anche del diritto allo studio100 (inteso nella particolare accezione di cui all’art. 34, comma 3, Cost.101), essendo compito della Repubblica (ai sensi dell’art. 34, comma 4, Cost.) quello di rendere «effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»102. Ciò che si traduce in una considerevole ricaduta finanziaria a carico dei bilanci di tutte le componenti pubbliche che partecipano alla realizzazione di tale diritto. Il diritto allo studio è il portato di un più generale principio di mobilità sociale103, tema, questo, sviluppato in molte branche del sapere (prima fra tutte, in sociologia, ma anche in

99 Oltretutto, giova sottolineare che l’art. 38, comma 3, Cost. si riferisce esplicitamente alle materie della “educazione

e dell’avviamento professionale”, che sono cosa ben diversa dall’istruzione. Non ci si può in questa sede dilungare sulla portata di significato della norma (per la quale si rimanda ai commentari già segnalati retro, cfr. Commentario della Costituzione, G. Branca (a cura di), cit., sub. art. 38; Commentario alla Costituzione, R. Bifulco, A. Celotti, M. Olivetti (a cura di), cit., sub, art. 38), basti qui rilevare soltanto che la norma in questione, collocata nella parte sui rapporti economici, si riferisce alla materia lato sensu della previdenza sociale e possiede la finalità di fornire protezione al disabile, visto nella sua veste di lavoratore (o aspirante lavoratore), che anela ad essere formato (educato) e, conseguentemente, avviato ad una professione.

100 M. Mazziotti di Celso, Studio (diritto allo), in Enc. Giur. Treccani, XXX, p. 4, osserva che «l’espressione “diritto allo

studio” non è codificata dalla Costituzione, né vi si trovano quelle affini di diritto all’istruzione e all’educazione. Tuttavia essa si può ritenere implicita nella formula “diritto di raggiungere i più alti gradi di studio”».

101

A tenore del quale «i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».

102 S. Frego Luppi, v. Studenti e diritto allo studio, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, vol. XV, Torino, Utet, 1999,

p. 192, con visione retrospettiva, ricorda che l’assistenza scolastica, che è un macro-contenitore delle varie forme di finanziamento pubblico all’istruzione, ebbe un significativo sviluppo con l’istituzione, dapprima facoltativa (r.d. n. 5292 del 1888), poi obbligatoria (l. n. 487 del 1911), dei Patronati Scolastici da parte dei Comuni: «I Patronati scolastici (e i consorzi provinciali dei Patronati) annoveravano tra le proprie finalità, la predisposizione della refezione scolastica, la concessione di sussidi per l’abbigliamento, la distribuzione di libri, quaderni e altri materiali per lo studio», per le scuole elementari. Invece, per quanto concerne l’istruzione secondaria, il r.d. n. 653 del 1925 esonerava dal pagamento delle tasse gli studenti meritevoli e appartenenti a famiglie non abbienti (nonché altre categorie in stato di disagio economico-sociale, come gli orfani, etc.); il r.d. n. 965 del 1924 prevedeva delle borse di studio e ammetteva i bisognosi e i meritevoli al sostegno da parte delle Casse Scolastiche (che possedevano, tuttavia, solo delle facoltà e non degli obblighi a tal fine).

103 Q. Camerlengo, Diritto all’istruzione e merito, in Costituzione e Istruzione, a cura di G. Matucci e F. Rigano, Milano,

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economia, scienze politiche e psicologia), ma mai preso direttamente in considerazione dal diritto: bensì, solo indirettamente. Infatti, gli studi condotti sul significato dell’art. 3, comma 2, Cost., e, quindi, sull’uguaglianza sostanziale, non sono altro che il risvolto giuridico del tema in questione104.

Il passaggio da una classe sociale ad un’altra, sia dal punto di vista del reddito, che da quello del “prestigio sociale” ha come «elemento eccitatore»105 il lavoro. Inoltre, statisticamente, la pre- condizione per la realizzazione della mobilità sociale attraverso il lavoro è il conseguimento del titolo di studio, ché quanto più alto sarà, tanto più ne sarà (potenzialmente) fattore acceleratore.

Il diritto allo studio, inteso come “assistenza scolastica”, si identifica come il «complesso di servizi, prestazioni e strutture dirette a render[lo] effettivo»106. Le funzioni in materia sono state delegate alle Regioni con i d.p.r. n. 3 del 1972 e n. 616 del 1977.

A loro volta, ai sensi delle norme citate, le Regioni hanno delegato ai Comuni le funzioni in materia di assistenza scolastica; funzioni che vengono esercitate secondo le modalità previste con leggi regionali. Contestualmente, sono stati soppressi i patronati scolastici (e i relativi consorzi), con annesse competenze.

In questo ambito sono riconosciute talune limitate forme di intervento anche alle scuole (con deliberazione dei propri organi collegiali) (d.p.r. n. 416 del 1974, poi trasfuso nel T.U. Istruzione – D.lgs. n. 297 del 1994).

Sicché, nella materia in questione, si assiste tipicamente a una tutela multilivello del diritto. «Il diritto allo studio è il diritto all’istruzione facoltativa», equivalendo lo studio alla facoltà di istruirsi107. Se con riguardo all’istruzione del c.d. I ciclo la scuola è aperta a tutti, per il prosieguo

«stratificazione della comunità in classi o ceti. Questa classificazione riposa su criteri che considerano in particolare il reddito percepito e il “prestigio sociale”. Sicché, la mobilità sociale descrive la transizione di una persona da una classe ad un’altra. La mobilità è ascendente ovvero discendente a seconda che il soggetto interessato abbia migliorato o, rispettivamente, peggiorato la propria condizione di partenza».

104 Tuttavia, continua Q. Camerlengo, op. cit., p. 355, con riguardo al tema della (im) mobilità sociale «gli studiosi del

diritto hanno, dal canto loro, rinunciato ad occuparsi seriamente del problema. Non spetterebbe alle istituzioni giuridiche incidere su relazioni sociali, che, per le loro intrinseche caratteristiche sfuggono al dominio del diritto. Così, la lettura della costituzione si è arrestata in prossimità del confine tracciato dall’eguaglianza sostanziale declinata come eguaglianza delle opportunità. Ciò che accade nel concreto svolgimento della “gara della vita” sfugge al controllo del diritto positivo, essendo rimesso a fattori di carattere sociale, culturale, economico, politico».

105

C. Mortati, art. 1, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, cit. p. 15.

106 Così, E. Fagnani, op. cit., p. 182.

107 In tal senso, M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, in Le dimensioni costituzionali dell’istruzione. Atti del

Convegno di Roma, 23-24 gennaio 2014, cit., p. 180, che cita A. Meloncelli, Osservazioni sul cosiddetto diritto all’istruzione, in Atti del convegno internazionale di diritto scolastico, Milano, Giuffré, 1972, p. 245.

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degli studi il diritto de quo viene garantito solo ai soggetti capaci e meritevoli, qualora siano privi dei mezzi per poterselo permettere108.

La garanzia di detto diritto realizza massimamente quella funzione “riallocativa/redistributiva”, che, come visto, è uno dei tratti/funzione essenziali tipici dei diritti sociali. Ne è riprova che, come è vero che tutti partecipano, mediante la contribuzione, a finanziare tale diritto, attraverso lo Stato in veste di intermediario, tuttavia i beneficiari non saranno tutti e gli stessi che contribuiscono, bensì soltanto coloro che siano, pur privi di mezzi, capaci e meritevoli di raggiungere i più alti gradi di studio. Ne deriva l’interpretazione conseguenziale dell’art. 34, commi 1 e 3, secondo cui «la scuola, la quale ricomprende anche i gradi più alti degli studi, è aperta a tutti; tutti hanno diritto ad una scuola aperta e, dunque, anche a raggiungere i gradi più alti degli studi; quei gradi più alti degli studi, inoltre, devono poter essere raggiunti dai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi»109.

In altri termini, sia il I ciclo (i primi 8 anni a partire dal 1° anno di scuola primaria fino al 3° della scuola secondaria di I grado), che il II ciclo di istruzione sono aperti a tutti (siano questi capaci e meritevoli che non); solo il I ciclo è garantito a tutti ed è quindi gratuito (sia per i ricchi, che per i poveri; sia per i capaci e i meritevoli, sia per i non capaci e i non meritevoli); il II ciclo non è garantito a tutti e quindi non è gratuito; il II ciclo deve essere garantito solo ai poveri, che siano al tempo stesso capaci e meritevoli.

I requisiti che in concreto devono sussistere per poter accedere al beneficio implicano un’attività esegetica da parte dell’interprete.

Innanzitutto, gli elementi della capacità e della meritevolezza pagano il prezzo di una scarsa attitudine descrittiva in concreto110, essendo dubbio se essi vadano intesi su un piano didattico o se, in sostanza, possano ritenersi tautologici. In altri termini, leggendo l’art. 34, comma 3, in combinato disposto con l’art. 33, comma 5111, secondo alcuna dottrina il superamento degli esami previsti per la transizione da un grado inferiore ad uno superiore degli studi sarebbe di per sé sufficiente ad acclarare capacità e meritevolezza dell’alunno che aspiri al sussidio112. Da questo

108 M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, cit., p. 180, osserva a riguardo che «l’esplicazione di tale categoria

soggettiva appare determinante nella lettura complessiva dell’enunciato, perché fa emergere con nettezza il carattere sociale dei diritti che vi si trovano indicati».

109 Così, M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, cit., p. 181. 110

M. Mazziotti di Celso, Studio (diritto allo), cit., p. 5, definisce: la capacità come «idoneità ad affrontare gli studi corrispondenti a un certo “grado”»; la meritevolezza, come «la dimostrata volontà di affrontar [e gli studi]».

111 A norma del quale, si ricorda, «È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per

la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale».

112 M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, cit., p. 183; conformemente, cfr. U. Pototschnig, Istruzione (diritto

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punto di vista, occorre valorizzare il solo requisito economico ai fini dell’ammissibilità alle provvidenze pubbliche, per consentire quindi alle famiglie non abbienti di garantire ai propri figli la prosecuzione negli studi113.

Tuttavia, se pure pare mirabile l’intento di allargare in maniera quanto più possibile la platea dei potenziali beneficiari delle provvidenze dette, in presenza di capacità e meritevolezza nei limiti dell’appena sufficiente, che si guadagna con il solo superamento dell’esame per il passaggio al grado successivo di scuola, occorre bilanciare tale finalità con le esigenze di rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Non si può, pertanto, in presenza di una norma costituzionale che, in aggiunta al requisito del bisogno economico, pone letteralmente un altro requisito, quello meritorio, ignorarlo

tamquam non esset e considerarlo alla stregua di una mera tautologia. Infatti, se i termini del

binomio capacità e meritevolezza venissero intesi come acclarati dal “superamento degli esami di maturità”, verrebbero svuotati di significato, visto che il mancato superamento dell’esame comporta l’impossibilità di accesso agli studi superiori. Ed è noto il principio ermeneutico secondo cui ubi lex dixit, ibi voluit. Né si ritiene possa tacciarsi una norma costituzionale di attitudine discriminatoria, come è implicito nell’osservazione secondo cui i poveri sarebbero discriminati rispetto ai ricchi, qualora, oltre il requisito economico, venisse richiesto anche un requisito didattico per l’accesso ai benefici in materia di diritto di studio.

Nel solco di queste riflessioni, e prima di giungere ad altre proposte di soluzione del dubbio interpretativo, occorre guardare anche alle considerazioni mosse dalla Consulta sul tema delle provvidenze per merito e bisogno economico, con riguardo ai soggetti invalidi e disabili, al fine di avere una visione d’insieme della problematica. A favore di queste categorie, la Corte

febbraio 1963 n. 80 sul cosiddetto assegno di studio universitario, in Rivista giuridica della scuola, 1965, pp. 96-97, dove si legge che «capaci e meritevoli devono ritenersi coloro che sarebbero in grado di proseguire normalmente negli studi, se ne avessero la possibilità materiale, secondo i criteri fissati dallo Stato per poter conseguire la promozione da un grado scolastico all’altro; cioè gli studenti che raggiungano ad ogni passaggio la sufficienza nella votazione. Fissare infatti due distinti livelli di sufficienza, una didattica ed una assistenziale, significa non realizzare quella situazione di parità cui tendono l’art. 3 e l’art. 34 della Costituzione, in quanto lo studente privo di mezzi dovrebbe costantemente conseguire risultati scolastici superiori a quelli degli studenti agiati, per vedersi realmente posto in condizioni di parità con essi». Come conseguenza, in caso di graduatorie stilate per l’assegnazione di una provvidenza, secondo quest’opinione occorrerebbe attribuire un punteggio basato sul solo bisogno economico, essendo gli altri requisiti provati con il mero accesso al livello superiore di studi.

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Al riguardo, la Corte Costituzionale, salvo che nella sent. n. 215 del 1987, cit. (dove la Corte, nell’affrontare il tema con riguardo ai soggetti disabili, afferma che il Costituente fosse ben consapevole che è principalmente negli ostacoli di ordine economico che «che trova radice la disuguaglianza delle posizioni di partenza») tende a escludere che ci si possa accontentare del solo riscontro di un bisogno economico. Invero, Il Giudice delle Leggi presuppone che ci sia anche un riscontro della capacità e meritevolezza degli studenti sul piano didattico (al proposito, si segnalano varie pronunce: n. 274 del 1993; n. 359 del 1995; n. 278 del 1998 e n. 2 del 2013). La Corte, infatti, nel valutare la legittimità costituzionale delle varie norme che stabiliscono provvidenze a favore dei discenti, è solita premette l’insufficienza della mera iscrizione a scuola o all’università, utilizzando locuzioni quali: «effettività della frequenza e profitto»; «merito»; «idoneità [dello studente] a concludere il ciclo degli studi nei tempi fissati»; «meritevolezza».

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Costituzionale è giunta oramai da tempo a concludere che anche tali soggetti abbiano la possibilità di accedere alle scuole superiori e alle università, godendo dei sussidi di cui all’art. 34, 4° comma, Cost., il Giudice postulando una relativizzazione, una personalizzazione, dei criteri di meritevolezza e capacità114.

Ne deriva che, così come per il solo ricorrere di una disabilità, non può inferirsi la mancata meritevolezza, a danno dell’alunno disabile economicamente bisognoso; altrettanto, non può inferirsi dal solo superamento dell’esame di stato la meritevolezza dell’alunno normodotato, pur economicamente bisognoso.

A questo proposito resta però il dubbio di come individuare la linea di confine tra il discente capace e meritevole e quello che non lo sia115, potendosi intanto e in primo luogo utilizzare a tal fine il parametro di cui si rinviene spesso riferimento nelle pronunce della Consulta: cioè, quello del rispetto del tempo fisiologico previsto dalle norme per superare i vari ordini e gradi di studio (ossia, in negativo, non si possono considerare meritevoli, per il mero superamento dell’esame di stato, i ripetenti, per il secondo grado, e i “fuori corso” per le università).

In secondo luogo, sarebbe auspicabile la predisposizione di un tavolo di lavoro funzionale a individuare con una disciplina unitaria, a livello nazionale (norme generali), i criteri a cui le Regioni devono attenersi per stabilire la ricorrenza dei requisiti di capacità e meritevolezza e, per conseguenza, la spettanza del diritto allo studio. Tavolo a cui dovrebbero partecipare non solo e non tanto i tecnici del MIUR (per le ovvie competenze amministrative che richiederebbe la preparazione di un testo normativo di tal fatta), ma anche dei pedagogisti (per la valutazione delle competenze, dal punto di vista del merito) e degli psicologi. Quest’ultima categoria sarebbe, infatti, essenziale per individuare quegli elementi di relativizzazione del merito, che sarebbe opportuno categorizzare sia per le varie ipotesi di disabilità, sia per le diverse situazioni riconducibili ai Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA)

Per quanto concerne la concreta attribuzione di borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, l’art. 34, comma 4°, cit., ha cura di precisare come queste debbano essere attribuite per concorso, ciò che risponde ad una logica di contemperamento con le esigenze di equilibrio di

114

Sent. n. 215 del 1987, cit.

115

Si condivide al riguardo l’impostazione concettuale adottata da Q. Camerlengo, op. cit., p. 364, secondo cui «è “capace e meritevole” colui che ha conseguito un profitto decisamente superiore alla media, dimostrando la volontà ferma e costante di applicarsi negli studi con spirito di sacrificio, intelligenza, rigore metodologico, passione e curiosità». Tuttavia, anche questa riflessione non fornisce appigli concreti a cui appoggiarsi per giustificare il riconoscimento del diritto.

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bilancio e, soprattutto, garantisce l’accesso al beneficio a chi, in termini comparativi, appare il più “capace e meritevole”.

Tuttavia, come si può notare, soggetti attivi delle misure stabilite dall’art. 34, comma 4°, sono sia gli studenti, che le famiglie116. E non si vede come queste ultime possano partecipare ad un concorso, salvo a voler considerare “concorso” anche le graduatorie117.

Per contro, soggetto passivo è la Repubblica, intendendosi con tale formula il complesso dei poteri pubblici e non soltanto lo Stato.

Per quanto concerne, infine, l’oggetto della disposizione in commento, in esso è ricompreso uno strumentario piuttosto eterogeneo, che va dalla erogazione di denaro per il sostentamento dell’interessato durante il periodo di studio (borse di studio), alle esenzioni fiscali e le detrazioni per le spese che la famiglia sostiene, agli alloggi in convitti o studentati, etc. Di interesse è la notazione di alcuna dottrina118, secondo cui l’utilizzo del femminile nel participio passato “attribuite”, per la regola grammaticale della concordanza119, induce a riferire questo alle provvidenze (che quindi devono sottostare alla regola del concorso), restandone invece escluse le borse di studio e gli assegni familiari. Diversamente opinando, infatti, sarebbe revocabile in dubbio la qualità di diritti soggettivi dei benefici di cui alla norma in commento. Per conseguenza, una volta che si appuri che il potenziale avente diritto alle borse o agli assegni sia al di sotto della soglia alla quale le singole disposizioni di legge collegano il sorgere del diritto al beneficio, questo sarà dovuto, essendo sospetta di illegittimità costituzionale la norma che, nel riconoscere tali benefici, subordini l’accesso ad essi “nei limiti delle risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero a legislazione vigente”120.

116 M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, cit., p. 190, condivisibilmente osserva in merito che: «Il riferimento

testuale a “questo diritto”, contenuto nell’art. 34, co. 4, Cost. e riferito all’art. 34, co. 3, Cost., proietta il soggetto “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, su tutto l’oggetto determinato da “borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze” e non, come pure è stato ritenuto, solamente su ciò da cui “non possono trarre vantaggio, in modo diretto, famiglia e familiari». Sicché, consegue l’eccessività di previsioni (come quella di cui all’art. 200, comma 5, T.U. Istruzione, cit.), secondo cui vengono dispensati dal pagamento delle tasse universitarie tutti gli studenti che abbiano ottenuto una certa votazione, senza che si tenga in considerazione il bisogno economico.

117 Ciò che si tende ad escludere, perlomeno con riguardo alle graduatorie per soli titoli, posto che la Consulta, anche

se in materia generale di pubblici concorsi, di cui all’art. 97, Cost., ha qualificato questi come un «meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito».

118 M. Benvenuti, L’istruzione come diritto sociale, cit., p. 192.

119 Si legge sulla Treccani on-line, alla voce “Concordanza”, che «1. Quando, in una frase, un aggettivo qualifica due o

più nomi di genere diverso (legati da una o più congiunzioni o anche per ➔ asindeto), si seguono due semplici regole; - Se i nomi sono tutti maschili o tutti femminili, l’aggettivo mantiene il loro genere e si declina al plurale, per evitare che la caratteristica espressa dall’aggettivo venga attribuita solo all’ultimo dei nomi (Ho uno zaino e un portapenne rossi) (Ho uno zaino e un portapenne rosso farebbe pensare che solo il portapenne sia rosso). - Se i nomi sono di genere diverso, l’aggettivo si declina al maschile plurale (Ho conosciuto un ragazzo e una ragazza spagnoli)»

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CAPITOLO SECONDO.

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