La tutela dei diritti sociali nell’ordinamento europeo121 è demandata alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (e alle interpretazioni che di questa fornisce la Corte EDU), alla Carta Sociale Europea, prima, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, poi; infine, al Pilastro dei Diritti Sociali.
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K. Polanyi, The great transformation, 1957, Boston, Beacon Press, è uno dei primi fautori della necessità di una integrazione (embeddedness) tra mercato e società, con la legge che deve fungere da trait d’union, a fronte della tendenza del primo a cercare in se stesso una self regulation (Ibidem, p. 57: «Instead of economy being embedded in social relations, social relations are embedded in the economy system»). Il concetto di embeddedness, in sostanza, oltre al resto, può assumersi come la base economico/giuridico/sociale della necessità di tutela dei diritti sociali nel contesto del mercato comune europeo.
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La CEDU si limita a disciplinare le libertà negative, in apparente adesione all’impostazione concettuale del costituzionalismo liberale classico122, che identifica i diritti sociali con quelle (e fatto salvo il diritto all’istruzione, il quale entra nella Convenzione mediante un Protocollo addizionale)123.
Nella Carta Sociale sono enunciati, invece, i singoli diritti soggettivi (enumerati in 31 articoli) nella parte I; nella parte II, invece, si trova la specificazione del contenuto dei diritti, da un lato, e degli obblighi facenti capo agli Stati per la tutela dei diritti, dall’altro; infine, nella parte III viene dettagliata la natura del vincolo a cui si legano gli Stati firmatari.
A quest’ultimo riguardo, la Carta obbliga gli Stati a tutelare soltanto alcuni dei diritti enucleati, considerando la garanzia degli altri solo un obiettivo per le parti contraenti. I diritti ricompresi nella Parte II della Carta, di cui si fa invece obbligo di protezione agli Stati (il c.d. «nocciolo duro»124), sono: il diritto al lavoro; alla libertà sindacale; alla contrattazione collettiva; alla tutela per i bambini e adolescenti; alla sicurezza sociale, all’assistenza sociale e medica; alla tutela sociale ed economica della famiglia; il diritto del lavoratore migrante e della sua famiglia alla protezione e all’assistenza; il diritto di pari opportunità in materia di lavoro e professione senza discriminazioni basate sul sesso.
122 In tal senso, B. Pezzini, La decisione sui diritti sociali: indagine sulla struttura costituzionale dei diritti sociali, Milano,
Giuffrè, 2001, pp. 157-158.
123
G. Romeo, I Diritti Sociali, in Diritti e Doveri, di L. Mezzetti (a cura di), Torino, Giappichelli, 2013, p. 509, nel riflettere sulla circostanza secondo cui il Consiglio d’Europa codifica i diritti sociali separatamente dalle libertà, che, come visto, sono contenute nella CEDU, e che, pertanto, «decide di dotare [tali diritti] di meccanismi di protezione più blandi, in quanto di carattere non giurisdizionale», aggiunge che «questa “subordinazione” dei diritti sociali non ha comunque impedito alla Corte europea dei diritti dell’uomo […] di ricavare margini di tutela assai significativi in favore delle posizioni giuridiche a contenuto sociale, al punto di indurre la riflessione giuridica contemporanea a fare i conti con gli indirizzi giurisprudenziali provenienti da Strasburgo anche su un tema teoricamente estraneo all’ambito materiale della Convenzione». Al proposito, si pensi ad esempio alle pronunce relative ai casi D. c. Regno Unito, 2 maggio 1997, n. 30240 e N. c. Regno Unito (GC), 27 maggio 2008, n. 26565/05, in www.iusexplorer.it/dejure/home, in cui la Corte Edu, modella il tenore letterale dell’art. 3 della Convenzione (sul divieto di tortura e trattamenti disumani), per occuparsi, anche se solo di riflesso, del diritto alla salute. I casi concernevano la violazione della norma suddetta per l’ipotesi in cui lo Stato, nello specifico la Gran Bretagna, che ospiti uno straniero irregolare gravemente malato, sottoposto a cure salvavita, decida di espellere questi nel proprio Paese d’origine, dove avrebbe avuto molte difficoltà a ricevere le stesse cure salvavita. La Corte perviene alla conclusione secondo cui equivale alla condotta in violazione al divieto di trattamenti disumani l’espulsione, salvo che il Paese in cui venga espulso lo straniero abbia astratte possibilità di erogazione della stessa, anche se estremamente limitate, in concreto, alle fasce più benestanti di cittadini. Analogamente, i giudici di Strasburgo hanno sanzionato il divieto di sciopero, sancito dalle leggi turche, mediante il ricorso all’art. 11, in materia di diritto di fondare e partecipare ai sindacati. La considerazione che la Corte ha utilizzato in questo caso si è basata sul fatto che la Turchia non ha dimostrato l’esistenza di altri strumenti con cui il sindacato avrebbe potuto garantire i lavoratori (Karaçay c. Turchia, 27 marzo 2007, n. 6615/03).
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B. Pezzini, op. cit., p. 159. In sostanza, il meccanismo vincolante è che gli Stati si devono obbligare alla tutela di almeno 6 dei 9 articoli di questo nucleo duro, avendo per contro la sola facoltà di vincolarsi al rispetto degli altri articoli, con il solo limite di un numero minimo (16 articoli e 63 paragrafi) e con la possibilità di graduale impegno per gli Stati verso la tutela di altri diritti, seguendo una particolare procedura di comunicazione alle Istituzioni europee (cfr. art. A, Parte III, della Carta).
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La struttura della Carta, che enuclea i singoli diritti e la relativa titolarità della prestazione, da un lato, e gli obblighi in capo allo Stato e le relative azioni e condotte cui è tenuto, dall’altro, rispetta la conformazione tipica dei diritti sociali, quali diritti “condizionati” all’intervento dei poteri pubblici. Così, ad esempio, l’art. 17, da un lato, pone al centro della propria tutela il bisogno dei bambini e degli adolescenti, sancendone il diritto a «crescere in un ambiente favorevole allo sviluppo della loro personalità e delle loro attitudini fisiche e mentali»; dall’altro, per quanto concerne l’istruzione, specifica al comma 2, quale sia l’impegno per gli Stati contraenti: «assicurare ai bambini ed agli adolescenti un insegnamento primario e secondario gratuito, favorendo una regolare frequentazione scolastica».
La timidezza della Carta sociale europea e la scarsa tutela dei diritti sociali nel sistema complessivo dell’Unione Europea appare il frutto di un compromesso svoltosi a monte, sui rapporti tra costituzione economica e costituzione economica sociale, che già trapela dai Trattati. Infatti, se da un lato, è solo con i trattati di Maastricht e Amsterdam che si inizia a delineare sullo sfondo delle politiche europee uno sfocato panorama dedicato ai diritti sociali125, essendo in essi frequenti i richiami alla coesione126; dall’altro, per contro, sovrasta la vis della costituzione economica, che nella dogmatica del diritto dell’Unione Europea resta pur sempre l’obiettivo prioritario alle cui esigenze (sintetizzate nella formulazione di cui all’art. 151 TFUE127) la tutela dei diritti sociali deve essere asservita.
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Per esempio: nel Preambolo al Trattato UE gli Stati confermano il «proprio attaccamento ai diritti sociali fondamentali»; l’art. 2 del Trattato sull’UE, di cui all’attuale art. 3 della sua versione consolidata, pone tra gli obiettivi dell’Unione quello di promuovere la coesione sociale, oltre che economica, a cui sarebbero funzionali la promozione del progresso economico e sociale e un elevato livello di occupazione.
126 G. Romeo, op. cit., p. 511, precisa come «essa si presenta come pre-requisito delle politiche pubbliche, più che
come obiettivo di queste ultime». Nell’opinione di A. Lucarelli, Diritti sociali e principi «costituzionali» europei, in Democrazia e diritto, 2003, fasc. 3, p. 191, «Il paradigma della coesione economico-sociale non può essere costituito unicamente dal binomio libertà-solidarietà, ma va implementato con i valori contenuti nel principio di eguaglianza sostanziale. Secondo tale interpretazione i principi contenuti nell’art. 16 Tue, ed espressamente richiamati dall’art. 36 della Carta europea dei diritti fondamentali, si porrebbero l’obiettivo di bilanciare la dimensione sociale comunitaria, intesa nella sua più ampia accezione di eguale soddisfacimento dei diritti sociali, con la regola della concorrenza e del mercato».
127 In esso, al primo comma, si pongono gli obiettivi con enfasi altisonante, che sono: «la promozione dell'occupazione,
il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione». Ma a ben vedere, la norma inizia specificando che «L'Unione e gli Stati membri [si limitano a tenere] presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989» e, soprattutto, al secondo comma viene reso chiaro il rapporto di subordinazione tra diritti sociali ed esigenze economiche, laddove si afferma che «a tal fine, l'Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia dell'Unione» (il corsivo è di chi scrive).
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Peraltro, secondo un’altra chiave di lettura, il discorso non può essere appiattito su tali “semplicistiche” soluzioni, dovendosi prendere atto che «le politiche sociali non rappresentano l’unica via per realizzare gli obiettivi di coesione sociale e di integrazione positiva: il mercato comune può contribuire a compiere la trasformazione sociale dell’Unione»128.
In sostanza, la forte valenza simbolica insita nell’attribuzione della qualifica “fondamentale” ai diritti sociali, così come avviene nel Preambolo al Trattato UE, viene poi ridimensionata da una debole disciplina sugli obblighi di attuazione degli stessi, se paragonata alla previsione degli stringenti e puntuali obblighi imposti dall’Unione agli Stati per dare attuazione ai diktat in materia di politica fiscale e di bilancio e di cui si darà conto nel prosieguo della trattazione.
Inoltre, rispetto all’evoluzione dei diritti sociali nei singoli Stati, che, come visto, è pervenuta al risultato di configurare quelli come diritti (spesso di matrice costituzionale), pur se condizionati dall’intervento del potere pubblico, il diritto europeo sembra volere evitare di farne trascendere questa indole oltre i confini nazionali, preferendo osservarli dall’alto (ne “tiene conto”, nel perseguimento degli obiettivi di integrazione europea), nella loro stretta dimensione statale, salvo i casi dei diritti dei lavoratori, della protezione sociale e dei diritti della famiglia e dei fanciulli.
In questa cornice, neanche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata in grado di fornire maggiore tutela alle istanze che rinvengono nella tutela dei diritti sociali il proprio humus129. E tale
128 In Tal senso, G. Romeo, op. cit., p. 511. Peraltro, l’Autrice precisa che «l’impressione che si ricava dalla lettura delle
norme contenute nei trattati è proprio che vi sia tra il fine della realizzazione di un mercato libero comune e la tutela dei diritti sociali una sorta di rapporto di funzionalità, nel senso che il primo è ritenuto capace di favorire per sé la seconda». Queste riflessioni/convinzioni sono quelle dei c.d. europeisti del mercato; J. Habermass, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazioni e democrazia, Feltrinelli, Milano, 1999, pp. 70 e ss., distingue quatto categorie di pensatori, con riguardo alla direzione da imprimere alla “costellazione” Europa, intesa, però, come organizzazione sovranazionale: «Gli euroscettici ritengono sbagliata, o quantomeno affrettata, l’introduzione dell’euro. Gli europeisti del mercato vedono nella moneta unica un effetto necessario della realizzazione del mercato interno, ma vorrebbero fermarsi qui. Gli eurofederalisti mirano a trasformare gli accordi internazionali in una costituzione politica, al fine di dare legittimità alle decisioni sopranazionali della Commissione, del Consiglio dei ministri, della Corte di giustizia e del Parlamento europeo. Da ciò si differenziano, infine, i sostenitori della posizione cosmopolita, che vedono nell’Europa un semplice trampolino per istituire il regime di una futura “politica interna mondiale” poggiante sui trattati internazionali». Sarebbe non priva di stimoli una dissertazione sulle domande a cui forniscono risposte gli appartenenti alle categorie de quibus, tuttavia, non essendo questa la sede per dilungarsi su tale aspetto, giovi qui tenere presente che la conclusione a cui giunge il filosofo, storico, sociologo tedesco, op. cit., p. 88, è che la dinamica di un’integrazione sociale, che sia il frutto dell’accettazione, da parte dei consociati europei, di una politica europea redistributiva «non si svilupperà automaticamente a partire da una integrazione funzionale, semplicemente prodotta da interdipendenze economiche».
129 G. Romeo, op. cit., p. 512, osserva che, al contrario, «essi non sono stati considerati diritti fondamentali al pari delle
libertà economiche neppure quando godevano di tale rango negli ordinamenti nazionali degli Stati membri». Sicché, a differenza dell’atteggiamento e della giurisprudenza della Corte EDU, che ne ha delineato una tutela significativa, attraendo «per assimilazione nella sfera dei diritti protetti dalla Convenzione talune posizioni giuridiche soggettive a contenuto sociale, non espressamente tutelate, in quanto garantite (specie se costituzionalmente) nel diritto interno, i giudici di Lussemburgo sono spesso rimasti “fedeli” all’ispirazione originaria dell’ordinamento comunitario».
La Corte di Giustizia UE, infatti, quando si è espressa con riguardo alla tutela nazionale di uno dei diritti sociali, non si è mai pronunciata in merito al tipo di tutela offerta, ma, assodata questa, facendo leva sulla lettura congiunta degli artt.
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circostanza va letta in un contesto di scelte consapevoli da parte delle Istituzioni Europee e non di impossibilità obiettiva a fornire tutela, impossibilità cioè legata alla cornice normativa comunitaria, che impedirebbe tout court alle Istituzioni stesse di garantire la categoria dei diritti sociali130.
Il quadro finora delineato parrebbe essere mutato a seguito della adozione, nel 2000, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (anche nota come Carta di Nizza), il cui valore giuridico è assurto a quello dei Trattati, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nel 2007, per espressa previsione di questo. In questa prospettiva, i diritti sociali acquisterebbero un maggior grado di tutela, in quanto la Carta assumerebbe il ruolo di “parametro di legittimità europea” di norme nazionali che ne affievoliscano l’attuazione. Ma resterebbe pur sempre il problema del “silenzio” normativo, il mezzo più insidioso di burocratizzazione normativa: in altri termini, non ci sarebbe alcun rimedio nel caso in cui il singolo Stato, invece di fornire una tutela affievolita ad un determinato diritto sociale, ometta di apprestarne tutela tout court.
In ogni caso, la Carta di Nizza introduce nelle dinamiche dei rapporti interistituzionali tra Unione Europea e Stati membri sottoscrittori una «sorta di dialogo costituzionale», sull’interpretazione e l’attuazione dei diritti sociali, in quanto essa «prescrive una sorta di
18 e 21 TFUE (disciplinanti, rispettivamente, il principio di non discriminazione e la libertà di circolazione e soggiorno nel territorio dell’Unione) ha sempre cercato di valutare se fosse stata perpetrata dal legislatore nazionale una discriminazione a danno dei cittadini europei. In altri termini, la tendenza del Giudice europeo è quella di accertare che, a prescindere dal rispetto di standard minimi di tutela per un diritto sociale, che potrebbe essere anche pressoché disatteso, il cittadino migrante europeo non venga trattato diversamente (discriminato) dal cittadino nazionale europeo. Cfr, in tal senso, Corte di Giustizia Cause riunite C-159/91 e C-160/91 (caso Poucet and Pistre); Corte di Giustizia Causa C-70/95 (caso Sodemare); Corte di Giustizia Cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C- 355/01 (sentenza AOK). Peraltro, tutto ciò vero, nei limiti del rispetto del c.d. principio incrementale, cioè quello in base al quale viene concessa tutela al lavoratore migrante europeo nei riguardi di un dato diritto sociale, in proporzione al tempo che questi abbia trascorso nello Stato membro dell’Unione nel quale egli chiede l’accesso alla fruizione del diritto in questione. Ne deriva che il diritto sociale, già condizionato per sua intrinseca struttura, per i cittadini europei sarà ulteriormente condizionato dalla relazione temporale che costoro abbiano con lo Stato ospitante. Cfr., al riguardo, inter alios, Corte di Giustizia Cause riunite C- 4/95 e C-5/95 (sentenza Sala); Causa C- 184/99 (sentenza Grzelczyk); Causa C-413/99 (caso Baumbast). Per la concreta determinazione della quantificazione temporale richiesta ai fini dell’accesso ad un diritto sociale, cfr. Corte di Giustizia Causa C-158/07 (sentenza Förster).
130
G. Lombardi, Fondamento dei diritti e forme sovranazionali di tutela, in Ripensare lo Stato, S. Lambriola (a cura di), Milano, Giuffrè Editore, 2003, pp. 370 e ss., riflette sulla circostanza che si è assistito a un processo costituzionale di tutela dei diritti sociali, quanto più estesa a partire dalla carta di Weimar, fino ai giorni nostri, a scapito di quella offerta ai diritti economici, sempre più «conformati» dallo Stato. Tale processo è stato sovvertito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha invece sottoposto a particolari garanzie i diritti economici, intesi come proprietà e iniziativa economica (specialmente, con il ricorso all’istituto della concorrenza), relegando in un’area di “impossibilità di tutela” i diritti sociali, per mancanza di poteri in tal senso in capo alla Corte stessa. Tuttavia, sotto forma di inciso, l’Autore, op. cit. p. 371, osserva che la Corte «con le sue pronunce, che operano direttamente nello spazio giuridico comune all’Unione e agli Stati membri, attraverso la sua giurisprudenza che, va notato, non sarebbe stata destinata originariamente a tutelare i diritti, ma semplicemente a garantire le regole poste a base dei Trattati che ad essa avevano dato vita [il corsivo è il nostro], ha determinato un sistema di diritti, in campo economico, coerente e concluso».
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interpretazione conforme alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri a cui il Bill of
Rights europeo ha attinto nella definizione delle posizioni giuridiche ivi protette»131.
Sulla scia di tale ultima riflessione, taluna dottrina132 osserva che nella Carta la Corte di Giustizia ha avuto modo di trovare la propria «principale fonte di riferimento per fondare […] un sistema solido e facilmente accessibile di garanzia dei diritti fondamentali a tutela di chiunque abbia a che fare con le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione, da un lato, e con gli Stati membri quando danno esecuzione alle regole europee, dall’altro». Inoltre, i principi e le norme in essa contenute, nonché l’interpretazione fornitane dalla Corte di Lussemburgo, hanno consentito ad altre corti (in primis, quella EDU) di estendere la portata delle disposizioni che esse sono tenute a interpretare, dando vita ad un fenomeno di «“circolarità” delle soluzioni giuridiche […], comportando un evidente avanzamento in termini di qualità ed intensità dello ius commune
europeum»133. Oltretutto, tale circolarità è destinata a ripercuotersi positivamente anche a ritroso (a beneficio delle disposizioni contenute nella Carta stessa), considerato che, ai sensi dell’art. 52 comma 3°, «laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione».
Tutto ciò vero, a condizione di tenere presente la formulazione dell’art. 51, comma 2, che ha cura di precisare che «La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati». Circostanza, questa, che,
131 In tal senso, sempre G. Romeo, op. cit., p. 513.
132 Cfr. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a cura di R. Mastroianni – O. Pollicino – S. Allegrezza – F.
Pappalardo – O. Razzolini, Prefazione, Milano, Giuffré, 2017, p. XII. In generale, sulla Carta dei Diritti Fondamentali, tra le altre numerose opere, si segnalano: The EU Charter of Fundamental Rights. From declaration to Binding Instruments, a cura di G. Di Federico, Dordrecht Heidelberg London New York, Springer, 2011; The EU Charter of Fundamental Rights, a commentary, a cura di S. Peers, T. Harvey, J. Kenner, A. Ward, Oxford, Hart Publishing, 2014; The EU Charter of Fundamental Rights as a Binding Instrument. Five Years Old and Growing, a cura di S. De Vries, U. Bernitz, S. Weatherill, Oxford, Hart Publishing, 2015.
133
Anche se G. Di Federico, Fundamental Rights in the EU: Legal Pluralism and Multi-Level Protection After the Lisbon Treaty, in The EU Charter of Fundamental Rights. From declaration to Binding Instruments, cit., p. 52, osserva che «Mutual acknowledgement, though, is not sufficient. The expansion of EU competences, combined with the binding effect of the Charter, is likely to increase the number of human rights cases brought before the EUCJ and, by consequence, the risk of divergences with respect to the jurisprudence of the ECHR». Occorre sottolineare, tuttavia, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con il parere reso il 18 dicembre 2014 (n. 2/13), ha escluso la compatibilità con il Trattato UE del progetto di adesione dell’Unione Europea alla Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, di cui la relativa Corte è custode dell’interpretazione, di fatto ampliando rispetto a quest’ultima (se non altro potenzialmente) la distanza di vedute sull’estensione della tutela da accordare ai diritti fondamentali (e di conseguenza ai diritti sociali).
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secondo alcuna dottrina134, è invece condizione essenziale per la crescita di coesione/integrazione sociale in Europa135.
Peraltro, sembra utile operare un esercizio di raffronto tra la Carta dei Diritti Fondamentali e la nostra Costituzione, per quanto concerne, in particolare, il diritto all’istruzione.