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Per quanto concerne la potestà legislativa concorrente delle Regioni (prima del 2001 esercitabile sono in materia di «istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica»), la Costituzione ne incanala l’esercizio, comprimendola tra due binari. Infatti questa può essere esercitata, da un lato, nel rispetto delle norme generali sull’istruzione, dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali. Dall’altro lato, è compressa dai limiti provenienti dall’autonomia scolastica (la quale costituisce un limite anche alla potestà legislativa statale), in quanto le scuole, dotate, si ricorda, di personalità giuridica di diritto pubblico, sono i soggetti responsabili della gestione e organizzazione dei percorsi educativo, formativo e didattico, che concordano con i discenti e con le famiglie, tramite il Consiglio di Istituto.

Si impone, altresì, la necessità di individuare a quali principi fondamentali questa potestà debba sottostare ai sensi dell’art. 117, 3° comma, Cost., in materia di istruzione.

Per dare seguito ad un approccio ermeneutico avallato anche dalla Corte Costituzionale346, i principi fondamentali devono ricavarsi con metodo induttivo dalla vigente legislazione statale. Ne deriva che «una siffatta indagine deve di conseguenza partire dal quadro normativo esistente, desumendo da esso quei “dati” che possano meglio risultare idonei ad assurgere a principi fondamentali»347.

Pertanto, occorre esaminare il citato d.lgs. 112/1998, che operava, già prima del 2001, alcuni trasferimenti di competenze dallo Stato alle Regioni, essendo tale norma al momento l’unica a disciplinare con attitudine sistematica la delega di funzioni e i relativi limiti.

Peraltro, l’ulteriore avvertenza è che questo metodo, in quanto declinato e inevitabilmente esaminato nella realtà giurisprudenziale, risulta “casistico”, venendone la logica di volta in volta piegata in base alla necessità di perseguire altri interessi costituzionali che contingentano le singole decisioni, con il ricorso della Corte Costituzionale al c.d. criterio della prevalenza, utilizzato dalla Consulta nelle materie in cui si intrecciano più interessi e pertanto si sovrappongono diverse competenze (considerato, peraltro, che, «nelle materie in cui ha primario rilievo il profilo

346 Sin dalla prima pronuncia sul tema, successiva alla riforma del titolo V della Costituzione: cfr., C. Cost. n. 282 del

2002: «[…] la legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore» (punto 4, Considerato in diritto).

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finalistico della disciplina, la coesistenza di competenze normative rappresenta la generalità dei casi» - C. Cost., n. 232 del 2005) 348.

Per esempio, risulta prima facie evidente come l’attribuzione alle Regioni della funzione di programmazione della rete scolastica presenti come implicito corollario la contestuale attribuzione di tutte le funzioni ad essa collegate, tra le quali certamente dovrebbe rientrare la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche afferenti al territorio. Al riguardo, la Corte Costituzionale giunge a tali conclusioni con la sentenza n. 13 del 2004349, sulla base della premessa che la legislazione regionale è competente in materia di programmazione scolastica350. Senonché, la Corte in concreto farà salva la normativa impugnata (legge finanziaria per il 2002), considerandola “cedevole”, in attesa dell’emanazione da parte delle Regioni delle norme di disciplina dell’aspetto “gestorio” della programmazione della rete scolastica, per l’esigenza di garantire la continuità del servizio, la cui interruzione provocherebbe secondo la Consulta «effetti ancor più incompatibili con la Costituzione»351.

348 Sul criterio di prevalenza, cfr., ex multis, R. Bin, I criteri di individuazione delle materie, in Forum di Quaderni

Costituzionali Rassegna 2006, 889 ss.; ibidem, M. Belletti, I criteri seguiti dalla Consulta nella definizione delle competenze di Stato e Regioni ed il superamento del riparto per materie, pp. 903 ss. e 920 ss. Quest’ultimo, in particolare, osserva che «Le esigenze di definizione uniforme di talune materie conducono talvolta la Corte ad applicare il criterio della prevalenza a vantaggio di competenze esclusive trasversali statali. Il che può sembrare addirittura eccessivo se si pensa che la materia trasversale reca già implicita una portata espansiva - e dunque una sostanziale prevalenza - a detrimento delle competenze regionali. Il criterio della prevalenza applicato alle materie trasversali ha, a ben vedere, un preciso significato, quello di impedire in concreto finanche quelle limitate ingerenze consentite alle regioni nelle maglie larghe della competenza trasversale, purché giustificate da un autonomo titolo di legittimazione».

349 Si tratta della prima pronuncia della Corte in materia di istruzione a seguito dell’entrata in vigore della riforma del

Titolo V della Costituzione. In particolare, il Giudice delle Leggi argomenta così la decisione: «e la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, che certamente non è materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato; sicché, anche in relazione ad essa, la competenza statale non può esercitarsi altro che con la determinazione dei principi organizzativi che spetta alle Regioni svolgere con una propria disciplina». La Corte conclude che «la questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna deve essere dichiarata fondata, giacché la distribuzione del personale docente tra le istituzioni scolastiche autonome è compito del quale le Regioni non possono essere private; né l’esigenza di attendere l’attuazione di principi costituzionali in tema di finanza regionale può giustificare il fatto che questa funzione gestoria sia anch’essa posta in quiescenza» (punti 3 e 4 dei Considerato in diritto).

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Infatti, per la Consulta sarebbe «implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall’art 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998».

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Peraltro, occorre osservare che già a partire dall’anno successivo l’atteggiamento della Corte sembra subire una sorta di reviremont in parte qua. Infatti, con sentenze nn. 34 e 37 del 2005, il Giudice delle Leggi, supponendo di competenza statale la disciplina in materia di aspettativa del personale scolastico, ritenne legittimo un decreto ministeriale con cui venivano fissati i parametri per la determinazione delle dotazioni organiche del personale ATA, in particolare dei collaboratori scolastici. Anche nella citata sentenza n. 279 del 2005, la Consulta ricondusse senza dubbi alla competenza dello Stato la definizione dei compiti e dell'impegno orario del personale docente, in quanto dipendente da quest’ultimo. Pur ribadendo nel 2010 (con sentenza n. 235) che la distribuzione del personale docente tra le istituzioni scolastiche inerisce alla materia della programmazione della rete scolastica e del dimensionamento sul territorio (sicché, è di competenza del legislatore regionale), nel 2012, con sentenze nn. 147 e 217, legittimò le

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Anche con le sentenze n. 370 del 2003 e n. 120 del 2005 la Consulta fornisce utili spunti di riflessione sul rapporto tra competenza concorrente delle Regioni e principi fondamentali, in tema di asili nido.

Partendo dalla premessa che il servizio connesso alla gestione degli asili nido svolga non solo una funzione di tutela del lavoro, nell’interesse dei genitori lavoratori, ma contestualmente anche educativa e formativa, la Corte ne riconduce la disciplina «nell'ambito della materia dell'istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino), nonché per alcuni profili nella materia della tutela del lavoro, che l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, affida alla potestà legislativa concorrente», utilizzando il criterio di prevalenza. Ne deriva che «l'individuazione degli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l'infanzia e della scuola dell'infanzia vada ricondotta alla competenza del legislatore regionale» (al riguardo, si veda anche la recente sentenza n. 284 del 2016).

Tuttavia, non si può sottacere come il ricorso al metodo induttivo conduca la Corte Costituzionale a conclusioni per certi versi paradossali, in considerazione dell’affermazione del Giudice secondo cui anche il riparto di competenze disposto con d.lgs. 112 del 1998, «fornisce un tendenziale criterio utilizzabile per la individuazione e interpretazione degli ambiti materiali che la riforma del Titolo V ha attribuito alla potestà legislativa concorrente o residuale delle Regioni»352. Ragionando in questi termini, un atto avente forza di legge, quale il citato decreto legislativo, peraltro antecedente alla riforma costituzionale, orienta l’interpretazione delle disposizioni

disposizioni nazionali con cui veniva individuato dal legislatore un numero minimo di alunni iscritti che l’istituzione scolastica avrebbe dovuto avere, affinché si potesse assegnare ad essa un Dirigente Scolastico titolare: in questo caso la “natura del rapporto di lavoro” del Dirigente Scolastico (dipendente pubblico e, quindi, in carico alla competenza statale) e, soprattutto, le esigenze di contenimento della spesa pubblica assursero ad interessi prevalenti, rispetto alla competenza regionale sull’organizzazione della rete scolastica (e conseguentemente sulla distribuzione del personale). A conclusione di questa rassegna sulle pronunce in materia di personale della scuola, con riguardo al reclutamento, con sentenza n. 76 del 2013, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una legge della Regione Lombardia, nella quale si prevedeva la possibilità di organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, per reclutare il personale docente con incarico annuale necessario a svolgere le attività didattiche e di favorire la continuità didattica. In altri termini, nel rispetto delle finalità previste dalla disposizione, essa consentiva alle istituzioni scolastiche la possibilità di bandire concorsi per reclutare docenti non di ruolo, presenti nelle graduatorie, con incarichi della durata di un anno scolastico. Ma la Consulta non ha avuto dubbi (come era lecito aspettarsi) nel ricondurre la materia del reclutamento a una competenza squisitamente statale.

352 Cfr. C. Cost., n. 200 del 2009, cit. (punto 38.1, Considerato in diritto). Si è così verificato quanto B. Caravita, La

Costituzione dopo la Riforma del Titolo V, cit., p. 148, aveva segnalato come pericolo già agli albori della riforma del Titolo V, quando paventava il rischio di involuzione istituzionale, nel caso in cui si fosse sviluppata la tendenza degli interpreti a svuotare di contenuto il portato innovativo della riforma stessa: «Il Titolo V, e quindi una parte fondamentale della Costituzione per quanto riguarda la dislocazione territoriale dei processi democratici e pluralistici, rimarrà un involucro vuoto, al cui interno si muoveranno soggetti istituzionali formalmente dotati di poteri, ma sostanzialmente incapaci di esercitarli».

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costituzionali che dovrebbero essere parametro di legittimità, tra le altre, anche di quello stesso atto.

Sicché, per la Consulta l’istruzione deve essere considerata essenzialmente «nazionale», essendo la scuola il luogo deputato a garantire «l’identità culturale del Paese», che pertanto non può essere scalfita da una qualunque forma di frammentazione regionale. Ne deriva che, pur essendo competenza regionale l’organizzazione del servizio scolastico, sia nel senso di programmazione della rete scolastica, sia in quello di offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, rientra tra le norme generali sull’istruzione la disciplina che risponda a esigenze di uniformità del servizio e di standard di qualità dell’offerta formativa sul piano nazionale, anche se caratterizzata da un «impatto indiretto su profili organizzativi del servizio scolastico». Per conseguenza, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente legittime le disposizioni, di cui all’art. 64, comma 4°, lett. da a) a f), d.l. 112/2008, che rimettevano al MIUR, previo concerto col MEF, il potere di procedere alla razionalizzazione dell’offerta formativa sul piano nazionale (in particolare, mediante: razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso; ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari; revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi; rimodulazione dell'attuale organizzazione didattica della scuola primaria; revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA; ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti). E in aggiunta il Giudice delle Leggi avalla anche il potere governativo di ricorrere a regolamenti di delegificazione, venendosi così a determinare una «situazione singolare, autorizzando – in concreto – la delegificazione delle norme generali»353.

Diversamente, a partire dalla sentenza n. 34 del 2005, cit., e, a seguire, con le sentenze n. 200 del 2009, cit., n. 92 del 2011 e n. 217 del 2012, cit., la Corte ha ricondotto con fermezza alla competenza concorrente delle Regioni i poteri di dimensionamento della rete scolastica354. Ne

353 Così, V. De Santis, L’istruzione tra Stato e Regioni, cit., p. 241.

354 A. Poggi, Dalla Corte un importante (anche se non decisivo) monito di arretramento alle “politiche” governative

sull’istruzione (nota a prima lettura della sentenza n. 200 del 2009), in Federalismi.it, pp. 2-3, commenta così l’affermazione della potestà regionale in materia di dimensionamento: «Il venir meno del potere ministeriale di determinazione dei criteri di dimensionamento della rete scolastica regionale obbligherà le Regioni ad assumersi la gravosa ma a questo punto inevitabile responsabilità di ridefinire concordemente quelli attuali. La scarsità e riduzione di risorse in termini di personale (docente e ATA) implicherà inevitabilmente un riequilibrio complessivo su scala nazionale della consistenza numerica delle classi e dell’impiego del relativo personale ATA. Non saranno più tollerabili, in altri termini, le attuali situazioni di squilibrio che vedono rapporti numerici alunni-docenti assolutamente differenti a seconda della parte del territorio nazionale in cui ci si colloca, e che vengono legittimate dalla richiesta “storica” di personale delle singole Regioni».

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consegue che, nella materia de qua, il legislatore nazionale sarà impossibilitato ad intervenire con regolamenti di delegificazione355.

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