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Par 2.3 La potestà legislativa dello Stato: dai livelli essenziali delle prestazioni (e dal relativo finanziamento) all’intesa Stato/Regioni che ancora non c’è.

La disciplina dei L.E.P. è “trasversale” in quanto potenzialmente invasiva anche delle competenze esclusive e residuali regionali, nel caso in cui ci sia necessità di uniformità su tutto il territorio nazionale per garantire la fruizione di un livello minimo di un diritto civile o sociale. In questo caso, infatti, è possibile per lo Stato surrogarsi alla Regione o ad altro Ente Locale, inadempienti rispetto al perseguimento di tale livello, a condizione che venga rispettato un duplice limite: a) la predeterminazione del quantum debba essere minimamente garantito sul territorio nazionale e b) una condotta di leale collaborazione che lo Stato deve tenere con i livelli di governo substatali surrogati (art. 120, 2° comma).

Secondo certa dottrina i L.E.P. vanno intesi nel senso che essi debbano rappresentare quella «soglia minimale», che tuttavia consente alle Regioni di elevare gli standard di giustizia

323 Tra di essi possono annoverarsi, per esempio, le regole di accesso all’esame di Stato, conclusivo dei percorsi di IeFP

(sarebbe incostituzionale la legge regionale che subordini tale accesso alla previa corresponsione di un corrispettivo); oppure le regole di passaggio dal sistema di IeFP all’istruzione ordinaria (essendo quindi soggetta a declaratoria di incostituzionalità una legge regionale che ostacoli tale possibilità); etc.

324 Così, B. Caravita, La Costituzione dopo la Riforma del Titolo V – Stato, Regioni e autonomie fra Repubblica e Unione

Europea, Torino, Giappichelli, 2002, p. 76, il quale non dubita che sia il caso, a esempio, dell’art. 33, ultimo comma, a tenore del quale «le istituzioni di alta cultura, università e accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti da leggi dello Stato».

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redistributiva (ma non di abbassarli), lasciando così a queste «spazi di differenziazione tra i diversi territori all’interno dello Stato»325. Anche se, prosegue l’Autore, «nella realtà, questa è un’interpretazione che incontra ostacoli quasi insormontabili, soprattutto in considerazione della scarsa autonomia di entrata delle Regioni».

In altri termini, tali livelli sono «costituiti dall’insieme delle attività, dei servizi e delle prestazioni che il [Servizio nazionale di Istruzione] eroga a tutti i cittadini gratuitamente [o con il pagamento di un contributo], indipendentemente dal reddito, dal luogo di residenza, dall’età, dalle prestazioni necessarie [per garantire l’effettività dell’istruzione] […]»326.

Per tentare di distinguere i L.E.P. dalle norme generali, taluna dottrina propugna il ricorso ad un «agile criterio», consistente «nel porsi dal punto di vista dei soggetti titolari del diritto all’istruzione, da garantire a tutti i cittadini, nel modo più concreto possibile, in relazione al principio di eguaglianza sostanziale»327. Le norme generali, in questa prospettiva, rappresenterebbero invece il punto di vista dell’ordinamento sulla struttura di un dato servizio. Tale impostazione interpretativa presuppone una concezione “estemporanea” di ciò che viene considerato bisogno essenziale in un dato periodo storico, risultando tuttavia di difficile accoglimento un’impostazione che rimette “a valle” la determinazione di un contenuto essenziale di un diritto. Ne deriva l’esigenza di apportarvi un correttivo, nel tentativo di collocare “a monte” la sua individuazione.

In tale prospettiva, potrebbe considerarsi “essenziale” quel livello di erogazione delle prestazioni che, originando dalla Costituzione il diritto a supporto del quale esse vengono predisposte, una volta introdotte nel sistema per via legislativa (qui permane il carattere estemporaneo delle stesse), saranno poi “irretrattabili”, in quanto andranno a “integrare” il contenuto costituzionale di livello essenziale della prestazione.

Risulta evidente, quindi, la necessità di individuare quale sia la fonte deputata all’identificazione dei L.E.P.. E sembra che debba ritenersi che la legge sia il veicolo principale per la loro determinazione, essendo essi menzionati dall’art. 117, Cost., dove viene ripartita, appunto, la potestà legislativa. Tuttavia, non si può escludere che l’individuazione venga in concreto effettuata anche da atti aventi natura regolamentare, a condizione che vengano adottati in un

325

E. Balboni, Il concetto di «livelli essenziali e uniformi» come garanzia in materia di diritti sociali, in Ist. Fed., 2001, p. 1110-1111.

326 In tal senso, con particolare riguardo ai LEA, in ambito sanitario, C. Bottari, Introduzione, in I livelli essenziali delle

prestazioni sociali e sanitarie, a cura di Carlo Bottari, Santarcangelo di Romagna, Maggioli Editore, 2014, p. 10.

327 E. Fagnani, Tutela dei diritti fondamentali e crisi economica, cit. p. 224-225. Tuttavia, per stessa ammissione

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quadro di delega legislativa e con procedure ispirate alla leale collaborazione nei rapporti con Regioni e Enti Locali328.

Per riassumere, per quanto concerne l’identificazione dei L.E.P. nel settore dell’istruzione, essi afferiscono: all’accesso (da intendersi sia come definizione di standard di diffusione sul territorio del servizio istruzione, di quantità e varietà di punti di erogazione del servizio istruzione, sia di aiuti economici); ai servizi da rendere ai soggetti in situazione di debolezza (portatori di handicap, DSA e BES); alle prestazioni da garantire alle famiglie; alla qualità dell’insegnamento (da intendersi come orario minimo annuale e percorsi formativi, intesi, questi ultimi, come competenze – skills – da apprendere, sia professionali che di cultura329) e alla qualità del personale (da intendersi come adozione di misure standard dei processi formativi in funzione del reclutamento e della carriera professionale); alla certificazione delle competenze; alle strutture dei servizi; alle condizioni per l’abilitazione all’esercizio delle professioni330.

Occorre tuttavia precisare che il d.lgs. n. 226, cit., sulla base del quale è stato possibile riassumere quanto appena scritto, non è idoneo a delineare il contenuto essenziale da assicurare per la realizzazione del diritto all’istruzione, sotto forma di prestazioni minime. Per contro, ha piuttosto la funzione di «limitare e circoscrivere l’azione legislativa e amministrativa regionale, individuando [i livelli essenziali] quali “limiti di principio” alla stessa […]»331.

Si ritiene utile chiarire alcune questioni sul meccanismo di finanziamento dei L.E.P., per la necessità di offrire un quadro più dettagliato della categoria.

328 La stessa Corte Costituzionale, con sentenza n. 88 del 2003, ha astrattamente ammesso che, in presenza di

determinate condizioni procedurali adottate con legge, sia un atto regolamentare a fornire determinazione dei L.E.P.

329 Ai sensi dell’art. 18, lett. c, d.lgs. n. 226 del 2005, tra tali skills deve essere ricompreso anche l’apprendimento della

religione cattolica. Non si vede quale ragione sia da porre a sostegno di tale specificazione, soprattutto alla luce dei più moderni orientamenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di obbligo di laicità delle scuole (che non siano di orientamento): cfr., da ultimo, Cfr. Corte EDU, Grande Camera, Lautsi c. Italia, 18 marzo 2011, in www.echr.coe.int/echr. Inoltre, deve rilevarsi che la stessa precisazione è posta a presidio delle attività fisiche e motorie e non anche di tutte quelle attività che concorrono alla certificazione del titolo dei discenti del sistema di istruzione (per esempio, educazione artistico/musicale). Per tale via, consegue l’impossibilità per le Regioni di prescindere dall’insegnamento della religione cattolica e delle attività fisiche e motorie nell’ambito dei percorsi formativi in materia di istruzione e formazione professionale oggetto della propria competenza esclusiva; ma non anche, appunto, dell’educazione artistico/musicale.

330

Si segnalano le disposizioni di legge in cui vengono identificati i L.E.P. con riguardo al settore dell’istruzione: d.lgs. n. 59 del 2004 (recante «Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’art. 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53»); d.lgs. n. 226 del 2005 (recante «Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell’art. 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53»); d.p.r. nn. 87, 88 e 89 del 2010, citati, in materia, rispettivamente, di istituti professionali, istituti tecnici e licei; l. n. 107 del 2015, cit. (recante la «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti»).

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Al proposito, dal 1997, con le leggi Bassanini (leggi: 59/1997, 127/1997, 191/1998 e 50/1999), si è imposto nel nostro ordinamento interno il modello del c.d. “federalismo amministrativo”332, secondo cui la più gran parte delle attività rivolte al territorio sono state demandate alla cura e alla gestione delle autonomie locali, in attuazione del principio di sussidiarietà. Nel 2001, con la riforma del titolo V della Costituzione, come visto, non solo quel modello ha ricevuto una consacrazione costituzionale, ma all’art. 119 è stato introdotto anche una sorta di doppio binario finanziario: da una parte, mediante la promozione dell’autonomia finanziaria di Regioni ed enti locali; dall’altra parte, con l’affermazione del principio solidaristico di redistribuzione delle risorse mediante il meccanismo c.d. “perequativo”. Alla base e a presupposto di questa scelta, il federalismo amministrativo richiederebbe di essere necessariamente accompagnato dal federalismo fiscale, posto che la previsione di poteri di programmazione delle attività amministrative e di predisposizione di piani di intervento per lo sviluppo e il sostegno dei servizi a quelle conseguenti, non può non essere accompagnata da una dotazione finanziaria adeguata, autogestita e, soprattutto, predeterminabile in autonomia (per lo meno pro quota) dall’Ente detentore delle relative competenze.

Sulla base di questa premessa si pongono le fondamenta della disciplina dei L.E.P., in quanto gli stessi, una volta inquadrato per via legislativa statale il nucleo essenziale delle prestazioni, dovrebbero poter essere finanziati: da un lato, mediante gli autonomi poteri di imposizione fiscale delle Regioni ex art. 119, 2° comma, Cost., e, conseguentemente, organizzati dalle stesse; dall’altro, nel caso in cui il nucleo essenziale delle prestazioni non possa essere garantito da parte di alcune Regioni, con il soccorso alle finanze di queste mediante il fondo perequativo ex art. 119, 3° comma, Cost..

Ebbene, il sistema di finanziamento dei diritti sociali avrebbe dovuto trovare piena attuazione con la c.d. “legge delega per il federalismo fiscale” (l. n. 42 del 2009) (ma il processo di attuazione di tale legge venne interrotto nel 2011 e mai completamente e organicamente riavviato).

All’art. 8 della legge da ultimo citata, si prevede che il finanziamento dei L.E.P., per quanto concerne i diritti sociali in essa contemplati (sanità, assistenza e istruzione – quest’ultima, in particolare, per «le spese per lo svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni dalle norme vigenti»), debba essere integralmente e obbligatoriamente a carico dello Stato, per lo meno nei limiti dei c.d. costi standard. La disposizione lascerebbe presumere che il finanziamento per tali L.E.P. debba assumere carattere “strutturale”, ma, come osservato in dottrina, «la strada

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battuta dallo Stato e sostanzialmente accettata, seppur in via provvisoria, dalla Corte Costituzionale è quella della definizione di volta in volta dei singoli finanziamenti vincolati connessi alla tutela dei diritti»333. L’implicito avallo della Corte Costituzionale al permanere del meccanismo dei finanziamenti vincolati (stante le mancate pronunce di incostituzionalità, per come richieste nei ricorsi delle Regioni), nonostante il Giudice delle Leggi ne abbia ripetutamente stigmatizzato l’utilizzo, è da ravvisare nella circostanza secondo cui «l’alternativa sarebbe l’inceppamento o il blocco dei meccanismi di spesa dei servizi sociali»334.

Occorre ancora evidenziare come il sistema di finanziamento dei L.E.P. non si debba più basare sulla c.d. spesa storica, che costituisce lo strumento per parametrare la quantificazione da destinare al finanziamento dello specifico capitolo di bilancio sulla base della media di spesa sostenuta (normalmente) nell’ultimo triennio (termine temporale di riferimento dei bilanci di previsione pubblici), per come risultante dai relativi capitoli di bilancio. Tale sistema di finanziamento si deve infatti basare sui costi standard, che consistono nel «costo di produzione di un bene ipotizzando condizioni operative normali»335. La quantificazione di tale costo (a cui, si badi, verrà parametrato il finanziamento) viene determinata sulla base delle spese sostenute dalla Regione «più virtuosa» (che assurgerà a benchmark), che, in sostanza, sarà quella con indicatori di maggiore efficacia ed efficienza.

333

In tal senso, E. Fagnani, Tutela dei diritti fondamentali e crisi economica: il caso dell’istruzione, cit., p. 339. L’Autrice sintetizza le considerazioni di A. Guazzarotti, Diritti fondamentali e Regioni: il nuovo Titolo V alla prova della giurisprudenza costituzionale, in Scritti in onore di Lorenza Carlassare, a cura di G. Brunelli, A. Pugliotto, P. Veronesi, Napoli, Jovene, 2009, pp. 1045-1047, il quale, con riguardo all’atteggiamento sul punto della Corte Costituzionale, ibidem, pp. 1046-1047, osserva che, da un lato, essa esclude che il modello di finanziamento delineato dalla riforma del Titolo V della Costituzione volesse confermare il precedente modello: «i LEP non sono le quote di finanziamenti a destinazione vincolata», infatti, «il modello finanziario dei trasferimenti vincolati (anche mediante sovvenzioni statali direttamente ai privati) può divenire “uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza statale nelle funzioni regionali e locali”» (C. cost. n. 370/2003, punto 4; n. 73/2004, punto 9; n. 16/2004, punti 5 e 6; n. 423/2004, punti 3.2 e 7.3.1); dall’altro, «Il risultato compromissorio che ne è scaturito è quello del divieto (teorico) di fondi o trasferimenti vincolati, accompagnato però dalla salvezza dei procedimenti di spesa in corso, nonché la tolleranza (tacita) della reiterazione dei finanziamenti statali vincolati (nelle annuali leggi finanziarie). Stante, infatti, l’evidenza del fenomeno (cioè di una prassi statale che palesemente ignora le precedenti dichiarazioni d’incostituzionalità della Corte), non sembra potersi spiegare altrimenti il silenzio della Corte sul punto» (C. cost., sent. 370/2003, punto 7, sui finanziamenti statali agli asili-nido; sent. 423/2004, punto 8.2, sui contributi per l’iscrizione a scuole private paritarie; sent. 50/2008, punti 6 e 9, sulle erogazioni del fondo statale a sostegno delle scuole paritarie e del fondo statale per l’inclusione degli immigrati).

334

A Guazzarotti, Diritti fondamentali e Regioni: il nuovo Titolo V alla prova della giurisprudenza costituzionale, cit., p. 1047.

335 Cfr. Dizionari di economia e finanza, in www.treccani.it. Peraltro, con specifico riguardo ai L.E.P., ibidem, si specifica

che «Individuato il fabbisogno, il relativo c.s. costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica».

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Inoltre, per quanto concerne in particolare l’istruzione, ai sensi dell’art. 8, l. n. 42/2009, cit., sono ricomprese nei L.E.P. le prestazioni relative allo «svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni dalle norme vigenti», in base a un’apposita intesa Stato-Regioni.

Sicché, riassumendo, i livelli di indagine per identificare con esattezza i L.E.P. in materia di istruzione sono tre: a) determinazione del contenuto delle prestazioni; b) quantificazione di fabbisogno e costo standard; c) qualificazione delle «funzioni amministrative attribuite alle Regioni dalle norme vigenti».

Con riguardo al primo livello di indagine, sulla determinazione del contenuto delle prestazioni, l’art. 20, 2° comma, della legge n. 42 del 2009, dispone che «La legge statale disciplina la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni». Tuttavia, ha anche cura di precisare che «fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione statale». Senonché, è assente sia una determinazione dei L.E.P. in leggi statali336, sia un’intesa Stato-Regioni337.

Infatti, allo stato, esiste solo un Master Plan delle azioni da porre in essere per realizzare compiutamente il Titolo V della Costituzione nel settore dell’istruzione, approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome il 14 dicembre 2006, e una proposta di attuazione del Master Plan, elaborata l’8 aprile 2008 dalla IX Commissione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni ed approvata dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni il 9 ottobre 2008, in cui, peraltro, viene rimandata “ad altra sede” la determinazione dei L.E.P., rispetto alla quale vengono solo individuati i principi che ne devono governare l’enucleazione. L’accordo in questione, tuttavia

336 Si è infatti visto (cfr. retro) che il d.lg.s 226 del 2005 non fornisce una definizione dei L.E.P. propriamente detta, ma

piuttosto pone regole per delimitare la potestà legislativa regionale.

337 Sul punto si rimanda alle riflessioni di A. Poggi, L’accordo Stato-Regioni in materia di istruzione e le prospettive del

federalismo fiscale per la scuola, Working paper n. 33, Fondazione G. Agnelli, 2010. L’autrice, Ibidem, p. 3, lucidamente osserva che «per quanto attiene ai LEP una loro individuazione puntuale non sarebbe stata né possibile né opportuna, poiché la loro definizione deve tenere conto dell’attuazione della legge sul federalismo fiscale che dedica parecchie norme al problema. Pertanto nell’Intesa in materia si delinea unicamente un percorso procedimentale tale per cui essi sono “individuati prevedendo, comunque, il pieno coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali: a) a partire dalla definizione delle prestazioni; b) secondo il criterio della sostenibilità e della esigibilità, che è progressivamente garantita su tutto il territorio nazionale fino al raggiungimento di livelli ottimali; c) con modalità che coinvolgono tutti gli attori della scuola”». Utili punti di riferimento per la definizione dei L.E.P. in materia di istruzione potrebbero essere i livelli essenziali descritti nella l. 240 del 2010 (recante «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario»), che contiene altresì la delega per la determinazione dei L.E.P. in materia di diritto allo studio universitario. Nella legge, come osserva E. Fagnani, op. cit., p. 349, si riscontrano «princìpi direttivi che fanno intendere come i LEP si debbano riferire alle concrete prestazioni erogate, richiamando strumenti, caratteri tecnici riferiti all’erogazione delle prestazioni, costi e criteri di finanziamento delle stesse». (cfr., in particolare, l’art. 5, comma 6).

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è rimasto lettera morta, come anche il successivo accordo del 2010. Né ha avuto alcun seguito la convocazione da parte dell’allora Ministro dell’Istruzione Profumo, nel giugno 2012, per discutere una bozza di Intesa raggiunta da Governo, Regioni e Province Autonome sull'attuazione del titolo V della Costituzione nell'Istruzione.

Con riguardo al secondo livello di indagine, non è dato rinvenire nella legge n. 42, cit., la definizione dei costi e dei fabbisogni standard di cui all’art. 2, 2° comma, lett. f), che pure sarebbe una buona occasione per emanciparsi dallo strumento della spesa storica: infatti, nella relazione al Disegno di legge si poteva leggere che “il costo standard riflette il fabbisogno reale e non incorpora, a differenza della spesa storica, livelli di inefficienza”. Al tempo stesso, non si comprende cosa debba intendersi per fabbisogno standard: secondo alcuna dottrina «non è chiaro se si tratterà di una spesa storica moderata o della spesa storica che graverà sul Fondo perequativo da parte delle Regioni del Sud»338.

Inoltre, sempre per rimanere su questo livello di indagine, ai sensi dell’art. 8, lett. f), l. n. 42, cit., per la determinazione del finanziamento, il legislatore intende prendere a parametro di riferimento la copertura integrale garantita su una sola Regione, che viene quindi eletta a

benchmark. Tuttavia, non si comprende quale sia il criterio per individuare questa Regione (se cioè

si debba fare riferimento a quella più efficiente o a quella più povera).

Ancora, considerato che il costo sostenuto dalla Regione deve poter essere riscontrato nel bilancio della stessa, con le specifiche voci di finanziamento del servizio e con la distinzione tra corrispettivo del dato servizio e finanziamento statale, per come sono strutturati i bilanci delle Regioni non sarà certo agevole, allo stato, distinguere quali somme siano frutto, appunto, del finanziamento statale e quali invece corrispettivo dei servizi regionali. Peraltro, per la determinazione del fabbisogno standard insistono difficoltà legate ai «fattori di contesto»339 (quali scuole in comuni isolani o di montagna, presenza di soggetti disabili, pendolarità transfrontaliera), che sono difficilmente riconducibili a criteri preordinati.

Infine, il terzo livello di indagine da condurre in materia di L.E.P. è quello che guarda al trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni in materia di istruzione. Infatti, la l. 42, cit., nel delineare le linee guida sui L.E.P. in materia di istruzione presuppone che essi vengano finanziati sulla base delle funzioni amministrative già attribuite alle Regioni, ex d.lgs.

338 A. Poggi, L’accordo Stato-Regioni in materia di istruzione e le prospettive del federalismo fiscale per la scuola, cit. p.

11.

339 L’espressione è di A. Poggi, L’accordo Stato-Regioni in materia di istruzione e le prospettive del federalismo fiscale

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112/1998, e di quelle che verranno trasferite in futuro (per dare seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, verosimilmente sulla base dell’Intesa Stato/Regioni). Ma, come già detto, le prime sono state fortemente ridimensionate rispetto alle ipotetiche previsioni di cui alla legge delega n. 59/1997. Mentre le seconde non è dato sapere se e quando verranno trasferite.

Pertanto, allo stato attuale mancano tutti i presupposti affinché si possa affrontare con cognizione di causa la materia dei L.E.P. nel settore dell’istruzione: se è vero che in condizioni di normalità (esecuzione della legge c.d. del federalismo fiscale), i livelli essenziali delle prestazioni dovranno essere finanziati dallo Stato parametrando il quantum al costo delle prestazioni stesse e mediante il trasferimento delle risorse dallo Stato alle Regioni, in base alle funzioni trasferite alle Regioni in materia di istruzione, questa formula resta vuota, in primis per l’assenza del trasferimento delle funzioni predette e, poi, per le altre ragioni menzionate.

In conclusione, nella prospettiva del federalismo fiscale, i passaggi obbligati sono i seguenti:

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