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Beni, cose ed oggetto di diritto tra unità lessicale e polisemia delle categorie

Parte III. Nuove oggettività giuridiche

Capitolo 1. Passato, presente e futuro della teoria dei beni

1.2. L’incerta evoluzione nella teoria dei beni

1.2.1. Beni, cose ed oggetto di diritto tra unità lessicale e polisemia delle categorie

Sembra pleonastico affermare che un percorso logico-interpretativo fondato sui modelli

teorici enucleati con riferimento alla disciplina dei beni debba prendere le mosse dalla scarna e

ambigua – se non “enigmatica” (

531

) – dizione dell’art. 810 cod. civ., secondo il quale: «Sono beni

le cose che possono formare oggetto di diritti» (

532

).

La disposizione – parzialmente assonante rispetto all’art. 406 del codice civile del 1865 (

533

) –

è palesemente affetta da complessità semantica e polisemia giuridica (

534

). Tale aspetto, unito alla

(529) Sulla spinta pervasiva dei principi del mercato e della concorrenza cfr. A. JANNARELLI, op. cit.; M.R. MARELLA, Il principio costituzionale della funzione sociale della proprietà e le spinte antiproprietarie dell’oggi, in G. ALPA – V. ROPPO (a cura di), La vocazione civile del giurista. Saggi dedicati a Stefano Rodotà, Roma-Bari, Laterza, 2013, 116 ss. e C. TENELLA SILLANI, I diversi profili del diritto di proprietà nel XXI secolo: brevi spunti di

riflessione, in Rass. dir. civ., 2013, 1067 ss.; si riporta infine il riferimento a M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente. Come sistema complesso, adattivo, comune, Torino, Giappichelli, 2007, 437-438, il quale pone

l’accento sulla sincrasia latente che intercorre fra le logiche di funzionamento del mercato, il quale sottende a meccanismi lineari e di leggera maneggevolezza, laddove la tutela dell’ecosistema pone invece di fronte a problemi ontologicamente complessi, non sempre armonizzabili con la logica del mercato medesimo.

(530) È questo l’importante insegnamento di A. GAMBARO, Ontologia dei beni e jus excludendi, su

www.comparazionedirittocivile.it, il quale sottolinea come «entrambe le due gradi tradizioni del diritto occidentale

[common law e civil law] sono riuscite a conciliare la complessità estrema che proviene dalla enorme varietà dei beni la cui utilità sono necessarie alla vita sociale, moltiplicata dalla varietà delle forme soggettive dell’appartenenza: individuale, familiare, clanica, societaria ed istituzionale, con la semplicità dell’approccio che si ottiene focalizzando l’attenzione sul bene, sulla res».

(531) In questi termini si esprime, purtuttavia tradendo l’estrema frammentarietà delle ipotesi ricostruttive avanzate in dottrina, A. GAMBARO, I beni, cit., 7. In questo senso, c’è chi in dottrina ha manifestamente espresso l’opinione che «non è possibile reperire una spiegazione razionale dell’art. 810» (O.T. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di

appartenenza, cit., 94). Per dirla con M. ALLARA, Dei beni, cit., 26, infine, la definizione in discorso «[…] si riduce ad

un gioco di terminologia, non solo ma ad un gioco poco chiaro».

(532) Sottolinea la necessità di impostare le argomentazioni e i ragionamenti sull’esatta individuazione circa la nozione di bene giuridico a partire dalla disposizione in esame M. COSTANTINO, I beni in generale, cit., 3 ss.; A. PINO,

Contributo alla teoria giuridica dei beni, in Riv. dir. proc. civ., 1948, 835 ss.; A. IANNARELLI, La disciplina dei beni,

in Riv. crit. dir. priv., 1993, 97 perviene a riconoscere all’art. 810 cod. civ. «una portata storica e sistematica fondante per il nostro ordinamento giuridico», D. CAVICCHI, Dei beni in generale, nel Commentario al Codice civile, a cura di P. Cendon, Artt. 810-951, sub art. 810, Milano, Giuffrè, 2009, 3, ma soprattutto A. GAMBARO, op. cit., 103, ove attribuisce alle norme codicistiche sui beni la funzione «di istituire una categoria ordinante generale fissandone il lessico e la grammatica che dev’essere utilizzata per affrontre all’interno di un discors o comunemente intellegibile i problemi dei beni nel sistema giudirico». Contra, per tutti, O.T. SCOZZAFAVA, Dei beni, nel Commentario

Schlesinger, Milano, Giuffrè, 1999, 5 ss.; ID., I beni, nel Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato,

diretto da P. Perlingieri, III, Napoli, ESI, 2007, 4 e soprattutto S. PUGLIATTI, Beni mobili e beni immobili, Milano, Giuffrè, 1967, 213 ss., il quale rimarca l’inutilità di ogni sforzo interpretativo, posta la scarsa precisione e coerenza intrinseca della definizione.

(533) L’art. 406 del codice civile del 1865 recitava infatti: «Tutte le cose che possono essere oggetto di proprietà pubblica o privata, sono beni immobili o mobili». Vieppiù il dettato dell’art. 810 cod. civ. differisce altresì da quella elaborata nel progetto preliminare al medesimo codice, il quale statuiva: «Cose nel senso della legge sono tutti gli oggetti corporali o altre entità naturali suscettibili di appropriazione o di utilizzazione». Ora, al di là della basilare

permeabilità di significati propria delle categorie giuridiche in discorso, nonché alla loro

implicazione rispetto ad ambiti della scienza giuridica lontani dal diritto civile (

535

), ha

inevitabilmente consegnato nelle mani della dottrina il greve compito di ricostruire in termini

assiologici il reale assetto di interessi che la legge intendeva in qualche modo governare. Da qui lo

sviluppo di una vera e propria teoria generale, inquadrata epistomologicamente come teoria dei beni

(o diritto dei beni), volta a determinare il bene medesimo come istituto centrale e privilegiato dal

punto di vista oggettivo delle situazioni e vicende giuridiche dell’intero diritto patrimoniale (

536

).

Orbene, rilevato come rappresenti impresa ardua ricondurre l’ordito dottrinale sul tema a una

sostanziale unità e coerenza (

537

); sarà tuttavia mia premura riportare in nuce taluni elementi, da

ritenersi particolarmente condivisibili, che si riveleranno utili per la trattazione successiva.

In questo senso, va primariamente denotato come i principali sforzi intellettivi proferiti dalla

migliore civilistica italiana si siano incentrati sul districamento di quel vero e proprio coacervo

categoriale costituito dal rapporto fra bene e cosa. Rapporto che è stato autorevolmente definito di

distinzione categorica, il reale mutamento apportato dall’art. 810 è rappresentato dall’abbandono circa il riferimento al diritto dominicale sulla cosa, per incentrarsi invece sul diritto soggettivo, quale potere attribuito dall’ordinamento a un soggetto per la realizzazione di un proprio interesse individuale (v. O.T. SCOZZAFAVA, op. ult. cit., 1 ss.). Va d’altronde soggiunto, come rileva A. BELVEDERE, op. cit., 101 ss., che la tendenza seguita dal legislatore del 1942 è stata quella di ripudiare definizioni a carattere meramente teorico e didascalico, invece presenti in verune disposizioni del precedente corpus normativo: da qui la dizione lapidaria dell’art. 810, rimasto peraltro immutato fino ad oggi. (534) Così denota A. VESTO, I beni. Dall’appartenenza egoistica alla fruizione sociale, Torino, Giappichelli, 2014, 9-12. Enfatizzano in particolare l’utilizzo disomogeneo ed eteroclito dei termini bene e cosa da parte del legislatore L. BARASSI, I diritti reali, Milano, 1952, 145 e S. PUGLIATTI, voce «Cosa (teoria generale)», in Enc. del dir., IX, Milano, Giuffrè, 1962, 20, sostenendo in particolare che «sarebbe facile, scorrendo i testi di legge, ed anche il solo codice civile fare rilevare la mancanza di rigore, di coerenza, e di chiara conoscenza del significato dei due termini e della loro (asserita, ma non dimostrata né dimostrabile) identità».

(535) Se infatti può sussistere in astratto una nozione di cosa in senso naturalistico o economico diversa da quella di cosa in senso giuridico, si concorda con chi ritiene (M. ALLARA, op. cit., 7) che non esista una nozione di cosa o bene in senso giuridico-civilistico divergente da quella in senso giuridico-penalistico o processualcivilistico; fermo restando che tale nozione assume una rilevanza sia nel primo senso (ad es., con riferimento agli artt. 631, 634, 636, 637 cod. pen.) che nel secondo (art. 21 cod. proc. civ.).

(536) Di questa si fa patrocinatore, attraverso una raffinata e lucidissima rappresentazione M. ALLARA, op. cit., in particolare 6-16. L’A. specifica inoltre (Idem, 11) come si potrebbe distinguere, all’interno di questa teoria, una parte generale e una speciale; laddove la seconda mira in particolare ad analizzare le diverse specie e sottospecie di cosa. Il tema, proprio per la sua trasveralità e fecondità a rappresentare un vero e proprio pilastro della teoria generale, è stato affrontato con vivo interesse – sebbene non sempre con la medesima profondità d’analisi – da buona parte della dottrina civilistica italiana, oltre naturalmente alla manualistica, la trattatistica e la commentaristica: l’eminente voce di G. ALPA, Manuale di diritto privato, VII ed., Padova, Cedam, 2011, 316, è perentoria nell’attribuire importanza capitale all’analisi sui beni, in quanto oggetto dei diritti soggettivi. D’altro canto, merita infine un cenno l’altresì autorevole voce di C. MAIORCA, La cosa in senso giuridico. Contributo alla critica di un dogma, Istituto giuridico della r. università, Torino, 1937, 9 ss., il quale si è posto come detrattore di una teoria dei beni in senso giuridico, ritenuta priva di validità dal punto di vista scientifico, poiché eccessivamente soggetta a una contaminazione con l’economia.

(537) Come denota infatto a più riprese A. GAMBARO, La proprietà: beni, proprietà e comunione, nel Trattato

Iudica-Zatti, Giuffrè, Milano, 1990, 45, la mancanza di una teoria generale dei beni che abbia un sufficiente grado di

condivisione per assurgere a riferimento per una riflessione compiuta a livello sistematico. Citando in questo senso l’altrettanto illustre opinione di Giorgio De Nova, la dottrina civilistica sui beni sarebbe «caratterizzata da gravi ritardi» (G. DE NOVA, I nuovi beni come categoria giuridica, in G. DE NOVA – B. INZITARI – G. TREMONTI – G. VISENTINI, Dalle res alle new properties, Milano, Angeli, 1991, 12).

genus-speciem (

538

), ove la cosa rappresenterebbe quel macro-insieme di elementi empirici, una

porzione del mondo esterno, di entità materiale (

539

), inabile ex se a connotare l’esistenza di

situazioni giuridiche soggettive o conflitti d’interessi, ovvero suscettibile di vedersi riconosciuto

valore economico di scambio (

540

).

Conferita dunque cittadinanza a una nozione di cose sì ampia, prona ad abbandonare il

dirimente requisito della corporalità verso la corrispondenza con «tutte le entità immaginabili dal

soggetto e diverse da lui» (

541

), va anzitutto riportata l’impostazione la quale – in maggiore aderenza

al dettato testuale dello stesso art. 810 cod. civ. – procede a una più stretta sussunzione tra i due

concetti in discorso. Secondo tale dottrina, formerebbero “oggetto di diritti” soltanto quelle entità

intrinsecamente munite del carattere della materialità, ovvero – secondo più antica concezione –

della corporalità, ossia le «entità suscettibili di percezione sensibile» (

542

). Tale impostazione pare

invero tangere la presumibile voluntas legislatoris del 1942, il quale avrebbe adottato un ipotesi di

tipo “fisicalista” (

543

).

(538) Così A. GAMBARO, op. cit., 8. Invero, la separazione dal punto di vista categoriale fra i due termini era già stata eminentemente proposta da B. BIONDI, I beni, cit., 15 ss. e ancor prima da F. FERRARA, Trattato di diritto civile

italiano, Vol. I, I, Roma, Atheneum, 1921, 729 ss. Sotto questo profilo cfr. C. SGANGA, Dei beni in generale, nel Commentario Schlesinger, Milano, Giuffrè, 2015, sub art. 810, 58-59, la quale auspica che la tendenza propria

dell’elaborazione giuridica europea a sovrapporre le tradizioni di civil law e common law, verso l’adozione di termini sempre più neutri ed univoci, rappreenti una via efficace per addivenire al superamento dell’acerrima dicotomia beni-cose.

(539) Cfr. M. COMPORTI, in M. BESSONE (a cura di), Istituzioni di diritto privato, XXI ed., Torino, Giappichelli, 2015, 325.

(540) A ciò sembrano adire P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Napoli, 1996, 229 ss.; F. GAZZONI,

Manuale di diritto privato, XVII ed., Napoli, ESI, 2015, 197 e con riferimento particolare al riconoscimento di una

tutela possessoria, F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, Vol. I, Padova, Cedam, 2009, 314-318.

(541) Cfr. V. ZENO ZENCOVICH, voce «Cosa», nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., III, Utet, 1988, 438 ss.. Secondo l’A., attesa l’ontologica fallacia di un approccio meramente esegetico alla disciplina in discorso, a tale conclusione si potrebbe agilmente giungere operando un’interpretazione sistematica delle svariate previsioni in cui il termne “bene” ricorre, quali le entità costituenti: il patrimonio dell’assente (artt. 50; 64 cod. civ.), del minore (artt. 320 ss. cod. civ.) e del de cuius (artt. 456 ss. cod. civ.); il patrimonio dell'impresa (art. 2555 cod. civ.); la garanzia lato sensu patrimoniale del soggetto (artt. 2740 e 2905 cod. civ.). In termini generali, il modello proposto da Zencovich si rivelerà estremamente prezioso, soprattutto in relazione alle nuove oggettività frutto dell’elaborazione da parte della Corte di Strasburgo (cfr. infra, 2.3).

(542) F. GALGANO, Diritto Civile e Commerciale, Vol. I, Le categorie generali. Le persone. La proprietà, Padova, Cedam, 1990, 324. Secondo l’A., peraltro, siffatta impostazione «non è frutto di una astratta deduzione dal concetto di cosa»; essa emergendo «piuttosto, per l’induzione dalla disciplina legislativa dei beni»; e infatti «Il concetto di bene quale cosa materiale delimita l‘ambito di applicazione delle norme che il terzo libro del codice civile dedica alla proprietà e agli altri diritti reali» (Ibidem). Sul punto va altresì riportata l’interessante – anche se isolata – opinione di L. BIGLIAZZI GERI, Diritti reali, in L. BIGLIAZZI GERI – U. BRECCIA – F.D. BUSNELLI – U. NATOLI, Diritto

civile, 2, Torino, Utet, 2007, 3, per cui sarebbe «giocoforza concludere che la definizione dell’art. 810 non ha valore

generale […] ma vale soltanto a delimitare la sfera oggettiva dei diritti reali», così andando precipuamente a definire l’ambito applicativo dello stesso libro terzo del codice.

(543) Questo il rilievo di M. COMPORTI, op. loc. ult. cit.. Nella medesima direzione, seppur con la tendenza a ricondurre l’indagine sotto il profilo dell’interesse sotteso da parte del soggetto giuridico rispetto all’entità materiale, va il pensiero di L. BIGLIAZZI GERI, op. loc. ult. cit.. Cfr. infine V. ZENO ZENCOVICH, op. cit., alla nota 42, secondo cui il progetto preliminare del codice faceva ricorso sul punto alla seguente definizione: «Cose nel senso della legge sono tutti gli oggetti corporali o altre entità naturali sucettibili di appropriazione o utilizzazione». D’altra parte, come denota A. GAMBARO, op. ult. cit., 16, proprio dal superamento della primordiale versione dell’attuale art. 810 cod. civ. (in origine, art. 1 del secondo libro), proposta dalla Commissione reale per la riforma dei codici, testimonia la volontà da parte del legislatore di non conferire rilievo giuridico alla corporalità.

Al contempo, tuttavia, medesimo spessore va attribuito all’argomentazione sostenuta da altri

autori i quali, pur ricorrendo a diversi itinerarî ermeneutici, invero tutti legati a doppio filo alla mera

esegesi del codice (

544

), sposano una linea decisamente “antifisicalista”.

Azzardando qui un tentativo di classificazione circa le varie opinioni, si riscontra anzitutto

quella di chi avvicina la categoria: bene giuridico non alla res, ma al diritto su di essa, giacché solo

e soltanto quest’ultimo è connotato dal carattere fondamentale della negoziabilità. Tale assunto

troverebbe riscontro decisivo nella pacifica coesistenza, sulla medesima res, di plurimi diritti (si

pensi, ad es., alla nuda proprietà, all’usufrutto, alla locazione e all’ipoteca con riferimento a un

fondo), pur nell’ossequioso rispetto del pricipio di tipicità, almeno con riferimento a quelli reali

(

545

).

Altra dottrina, pur concordando sull’inidoneità della cosa a costituire centro di imputazione di

situazioni giuridiche soggettive, individua come punto centrale dell’analisi in merito all’oggetto di

titolarità il diritto sul bene. Di conseguenza, anche in questo caso oggetto di circolazione non

sarebbero i beni in quanto tali, ma i diritti: i primi, rappresentando una mera manifestazione

oggettiva dei secondi, ne seguono la sorte e non viceversa (

546

).

Allo scopo della presente ricerca, si ritiene di poter ridurre a sistema le due posizioni

surriportate, nella misura in cui conferiscono pieno titolo ai beni immateriali a rappresentare

l’oggetto di un rapporto giuridico patrimoniale, essendo quest’ultimi a loro volta oggetto di un

diritto soggettivo assoluto. Essi, cionondimeno, costituirebbero un numerus clausus, nella misura in

cui la loro tutela deve trovare riconoscimento erga omnes nella legge (

547

).

In linea di continuità si pone quindi la visione di chi, dimostrando una maggiore apertura

verso l’inclusione di nuove forme di ricchezza nell’ambito della teoria dei beni, identifica «il

concetto di bene […] con una qualificazione giuridica di ciò che può formare oggetto di interesse

(544) Tale aspetto è rilevato puntualmente, a mio avviso in chiave apertamente critica, da A. GAMBARO, op. cit., 11. (545) Cfr. A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 166.

(546) F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, ESI, 2009, 193.

(547) Idem, 197;. Secondo l’A., andrebbero in questo ambito ricomprese, fra le altre, le opere dell‘ingegno e le invenzioni industriali (art. 2584 cod. civ.), i modelli di utilità (art. 2592 cod. civ.), i modelli e disegni ornamentali (art. 2593 cod. civ.); non invece, ad esempio, il c.d. “know-how”. Cfr. sul punto inoltre L. FRANCARIO, I beni in generale, in Diritto civile, diretto da LIPARI e RESCIGNO, II, Milano, Giuffrè, 2009, 9. A siffatta impostazione, per quanto rigida, si può ad ogni modo riconoscere il pregio di sposare un approccio coerente alla questione, definendo quindi in maniera chiara nella riserva di legge e il diritto assoluto di esclusiva il perimetro entro cui muoversi nel conferire spazio ai beni privi di materialità. Per contro, come osserva G. RESTA, Nuovi beni immateriali e numerus clausus dei diritti

esclusivi, in ID., Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Utet, Torino, 2011, 52, è necessario mantenere una certa

cautela nel conferire eccessiva autorità alla summenzionata riserva di legge, anche e soprattutto alla luce dell’evidente mutamento nel procedimento di produzione normativa, dovuto principalmente «al deciso spostamento del baricento nomopoetico dal Parlamento al Governo» e dalla forte capacità d’incidenza esercitata di gruppi di pressione, specialmente nell’ambito della proprietà intellettuale. Ad ogni modo, si può affermare che ragionando in questo senso il percorso volto a una palingenesi della teoria dei beni verso l’accoglimento delle c.d. new properties, pur trovando plastica rappresentazione in una strada irta e in salita, se non altro conosce manifestazione innanzi agli occhi del civilista (la questione verrà ripresa infra, 3 e p. IV, 1).

umano» (

548

); da ciò facendo discendere una nozione di cosa che trascende la dimensione materiale

o corporale, sino a ricomprendere «tutto ciò che ha vita unicamente nel mondo dello spirito, come la

creazione inventiva e l’idea dell’opera artistica o tecnica» (

549

). Analogamente, altra voce illustre ha

sottolineato come l’attenzione dell’interprete dovrebbe volgere al discernimento circa la

suscettibilità, in capo a una determinata entità materiale o immateriale, di rappresentare l’oggetto di

un conflitto di interessi rilevante per il diritto (

550

).

Da ultimo, anche se non per importanza e autorevolezza, va menzionato quell’orientamento

chi individua nell’utilità della cosa l’elemento decisivo al fine della verifica circa la sua

sussumibilità nel concetto di bene, inteso a sua volta come oggetto dei rapporti giuridici. Il

riferimento all’utilitas a sua volta elegge a dato cruciale quello dell’appropriabilità, sebbene con

riferimento non solo a oggetti materiali, bensì a tutte le entità passibili di rappresentare «una parte

separata della materia circostante» (

551

). Non può definirsi accidentale la circostanza che proprio

tale paradigma sia oggetto di erosione alle radici in virtù dell’evoluzione del sostrato

socio-economico, a cui si sono accompagnate nuove oggettività quali le quote di emissione (

552

).

(548) A. TRABUCCHI, Istituzioni di diritto civile, XX ed., Padova, Cedam, 2016, 528. L’A. aggiunge inoltre, in modo ulteriormente chiarificatore, che «nella definizione di bene la cosa è vista come punto di riferimento oggettivo di una considerazione giuridica che è collegata al diritto soggettivo dell’uomo. Se diritto è tutela di interessi, sarà l’attitudine della cosa a soddisfare un interesse dell’uomo, e quindi a entrare nel mondo del suo diritto, che qualifica la cosa stessa come bene» (Idem, 396-397). In direzione analoga si pone inoltre altra illustre dottrina, secono la quale il termine cosa andrebbe ad indicare i beni oggetto di interesse giuridico apprezzabile; ciò tuttavia non chiarendo se – e a quali condizioni – sussista un rapporto inverso, ossia quando un bene possa essere effettivamente individuato con una cosa (M. ALLARA, op. cit., 21 ss.). Degna di menzione è infine l’opinione di L. BARASSI, op. cit., 143, che individua la cosa in «tutto ciò che al lume della nostra coscienza, della sensibilità dei nostri bisogni e di ciò che occorre per soddisfarli e dei progressi della tecnica è considerato come possibile oggetto di accaparramento, cioè di gestione giuridica» (corsivo mio).

(549) Ibidem. Tale opinione dunque apre in modo sensibile al concetto di res incorporales, nella loro accezione di entità astratte create dall’ordinamento e non necessitanti di ulteriore qualificazione per la prodzione di specifiche conseguenze giuridiche (v. G. ASTUTI, voce «Cosa in senso giuridico (dir. rom. e interm.)», in Enc. del dir., XI, Milano, Giuffrè, 1962, 1). Sul punto si rimanda inoltre per tutti alla trattazione di G. PUGLIESE, Dalle res incorporales del diritto

romano ai beni immateriali di alcuni sistemi giuridici odierni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, 1149 ss.e per una ricostruzione efficace in chiave storica del dibattito fino all’entrata in vigore dell’art. 810 cod. civ. a C. SGANGA, op.

cit., 10-36.

(550) Cfr. E. ROPPO, Istituzioni di diritto privato, VI ed., Bologna, Monduzzi, 2010, 81 ss.

(551) Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, Jovene, 2002, 55. In quest’ottica, come rimarca O.T. SCOZZAFAVA, Dei beni, cit., 6, la nozione di bene corrisponderebbe piuttosto alle entità materiali che l’uomo ha interesse a fare proprie, a fare oggetto di un proprio diritto, così legandone la nozione inscindibilmente al diritto di proprietà. Dando credito a tale prospettiva, pertanto, un’entità potrebbe essere considerata bene giuridico si sensi dell’art. 810 cod. civ. solamente allorquando è suscettibile di conoscere una forma di protezione assunta a diritto soggettivo assoluto, riconducibile precipuamente al diritto di proprietà o ad altre forme di appartenenza (ID., I beni e le forme giuridiche di appartenenza, cit., 90). Per contro, vi è chi ha autorevolmente opposto a tale assunto che l’ordinamento interviene a tutela di cose ritenute idonee a soddisfare determinati interessi meritevoli di tutela, qualificandole per l’appunto come beni, a prescindere dalla possibilità che quest’ultimi possano essere oggetto di appropriazione (cfr. M. COSTANTINO, op. cit., 18; D. MESSINETTI, voce «Oggetto dei diritti», in Enc. del dir., XXIX, Giuffrè, 1979, 812).

(552) Sulla questione – oltrechè specificamente sull’interessante fenomeno empirico rappresentato dagli slots

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