• Non ci sono risultati.

Parte III. Nuove oggettività giuridiche

Capitolo 1. Passato, presente e futuro della teoria dei beni

1.1. La nuova (o nuovissima) proprietà di Pugliatti

Un itinerario che auspichi di affrontare – sebbene in maniera sintetica, ma incisiva – la parte

terminale del percorso che ha caratterizzato la riflessione giuridica in materia di beni giuridici, non

può a mio parere prescindere a una preliminare riflessione sull’itinerario evolutivo seguito dal

diritto di proprietà.

Ciò posto, è questione non di poco momento individuare, nell’immenso alveo della

produzione scientifica in argomento, un metodo di approccio che possa far risaltare all’attenzione i

punti di maggior rilievo e interesse per la futura elaborazione logica sulle quote di emissione e i

titoli energetici.

Come spesso accade, tuttavia, il miglior modo per cercare di far luce su un fenomeno di

nuova estrazione risiede nell’andare a recuperare, reinterpretando in chiave diacronica, gli

insegnamenti del passato. In questo senso, il punto di riferimento accademico da cui intendo

ricavare ispirazione è celebre: nel 1954, Salvatore Pugliatti dà alle stampe un saggio la cui

intitolazione è già di per sé rivelatrice del portato rivoluzionario del suo contenuto: La proprietà e le

proprietà. Esso verrà successivamente inserito, assieme ad altri suoi scritti, in una raccolta dal

titolo: La proprietà nel nuovo diritto.

Il principale contributo dell’opera dal punto di vista concettuale e dogmatico va ricollegato

alla raffigurazione – in continuità rispetto al precedente pensiero di F. Vassalli (

515

) – circa una

(514) Qui si rimanda in generale alla compiuta analisi, intrisa anche di elementi economici e socio-politici, effettuata da A. LA SPINA – G. MAJONE, Lo Stato regolatore, Bologna, Il Mulino, 2000.

(515) Cfr. F. VASSALLI, Per una definizione legislativa del diritto di proprietà, in Studi giuridici, vol. II, Milano, Giuffrè, 1960, 331 ss., il quale così si esprime: «[…] sembra corrispondere allo stato attuale delle leggi, le quali hanno

pluralità di situazioni dominicali, variabile a seconda della (potenzialmente) infinita molteplicità

delle forme di esperienza sensibile (

516

). La declinazione del termine: proprietà in forma tanto

singolare, quanto plurale, prelude infatti nientemeno che al ridimensionamento della concezione

monolitica dello stesso diritto dominicale, come tradizionalmente inteso dall’art. 832 cod. civ..

Questa, costituita precipuamente sulla corrispondenza biunivoca bene-terra, moverebbe verso la

configurazione di altre proprietà, tendenti invece ad attagliarsi alla nozione di diritto soggettivo, e

quindi avvicinando la stessa situazione dominicale alla logica di governo delle relazioni

economiche (

517

).

Oggetto dell’intensa opera di Pugliatti è dunque il (nuovo) diritto di proprietà, nella misura in

cui sia possibile coglierne talune conformazioni che divergono dal modello classico, di estrazione

giusnaturalistica e poi espressione della logica capitalistica borghese ottocentesca (

518

). Nuovo

diritto, in questo caso, è inteso con riferimento a un paradigma proprietario, non necessariamente di

primigenea elaborazione, ma certamente originale, non conforme alla generale prescrizione

contenuta dell’art. 832 (

519

).

disciplinato in vario modo i poteri del proprietario, riconsocere che non vi è una sola proprietà, che vi sono piuttosto delle proprietà, in quanto l’interesse pubblico è che l’appropriazione dei beni comporti statuti diversi in armonia con gli scopi perseguiti, i quali variano assai», concludendo quindi che «[…] a sintesi e a suggello del lungo discors, possiamo dichiarare che la parola “proprietà” non ha oggi, se mai ha avuto, un significato equivoco (Idem, 309). Tale aspetto è posto bene in evidenza da P. RESCIGNO, Per uno studio sulla proprietà, in Riv. dir. civ., 1972, I, 20.

(516) Cfr. U. MATTEI, Proprietà (nuove forme di), in Enc. del dir., Annali, V, Milano, Giuffrè, 2012, 1123.

(517) Così A. GAMBARO, La proprietà, in A. GAMBARO – U. MORELLO (a cura di), Proprietà e possesso, nel

Trattato dei diritti reali, I, Milano, Giuffrè, 2010, 311-312. D’altronde, sempre a Pugliatti è necessario attribuire il

pregiatissimo merito di aver scorto anzitempo la scissione, attuata mediante il codice civile del 1942, fra i beni e il paradigma dominicale; sì da prevaricare la precedente impostazione teorica secondo la quale il medesimo diritto di proprietà si configura come «status oggettivo del bene, al quale si ricollegherebbero esclusivamente la somma dei poteri dispositivi, espressione dell’autonomia privata» (cfr. M.T. MAGLIONE, Codice civile annotato con la dottrina e la

giurisprudenza, a cura di P. Perlingieri, III, Napoli, Simone, 1991, 46). Secondo Pugliatti, d’altra parte, il codice

avrebbe accentuato il profilo soggettivo del rapporto contro la tendenza a ravvisare nella proprietà un riflesso della disciplina dei beni (così denota C.M. BIANCA, La proprietà, in Diritto civile, diretto da LIPARI e RESCIGNO, VI, Giuffrè, Milano, 1999, 348). L’impostazione è stata dunque accolta dalla maggior parte della dottrina: cfr. sul punto per tutti, M. ALLARA, Dei beni, Milano, Giuffrè, 1984, 23; B. BIONDI, I beni, nel Trattato Vassalli, IV, Torino, Utet, 1956, 11; M. COSTANTINO, I beni in generale, nel Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, II ed., vol. 7, Torino, Utet, 2005, 9. Sicché, come nota O.T. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, Giuffrè, 1982, 348, accanto al diritto di proprietà, nella visione di Pugliatti il criterio di qualificazione del bene in senso giuridico predominante dovessero essere i poteri.

(518) Per una sintetica ma al contempo profonda analisi in chiave storica della questione cfr. P. GROSSI, La proprietà e

le proprietà nell’officina dello storico, in E. CORTESE (a cura di), La proprietà e le proprietà, Atti del convegno della

Società Italiana di Storia del Diritto di Potrignano, 30 settembre-3 ottobre 1983, 205-272, in seguito ripubblicato singolarmente in edizione accresciuta, Napoli, ESI, 2006. Di recente, si segnala sul punto il contributo di F. MACARIO, Assolutezza, pienezza, inviolabilità, esclusività: la codificazione del diritto di proprietà, in Giust. civ., 2014, n. 2, 254 ss.

(519) Nello specifico, le proprietà individuate all’epoca da Pugliatti «con riguardo particolare alla proprietà terriera» sono: a) la nuova configurazione del condominio come «proprietà collettiva»; b) l’evoluzione della proprietà fondiaria in Sardegna (nelle forme dell’ademprivio, della cussorgia e della cungiadura); c) le concessioni minerarie perpetue; d) l’enfiteusi perpetua; e) la proprietà risolubile; f) la coltivazione coattiva della terra; g) la proprietà-lavoro e i contratti

agrari; h) la proprietà (delle terre incolte) come interesse legittimo; i) la proprietà dell’Ente per la riforma agraria in Sicilia.

In particolare, le nuove proprietà di Pugliatti, intese invero «nuovi fermenti, che rendono assai

difficile il compito sistematico» (

520

), minerebbero dall’interno l’unitarietà del concetto di proprietà

(

521

). A ciò si aggiunga che, a loro volta, i diversi paradigmi proprietarî non riguarderebbero

necessariamente nuovi beni, nel senso di nuove entità extragiuridiche rilevanti per l’ordinamento,

ma anche beni che già esistevano e che solo recentemente sono entrati nel circuito della

commerciabilità tout court – come, ad esempio, il patrimonio immobiliare pubblico oggetto di

privatizzazione, non casualmente oggetto ad oggi di fervente elaborazione a livello sistematico (cfr.

infra, 1.3).

Ebbene, ecco il tratto di modernismo e prospettico di maggior spessore insito nel

ragionamento pugliattiano: oggetto di proprietà non è (direttamente) la cosa (sottostante) ma una

situazione (in questo caso di natura concessoria) da cui deriva l’utilità economica che la costruzione

proprietaria si propone di tutelare (

522

). In questo senso, ancor più che il riconoscimento circa la

“disgregazione” degli statuti proprietarî, ciò che appare in definitiva maggiormente illuminante è

l’individuazione di una diversità intrinseca nel diritto dominicale, riconducibile al profilo della

funzione, intesa come centri e piani di interessi tutelati (

523

). Come denota P. Grossi, attingendo

saggiamente dal pensiero di E. Finzi (

524

), è proprio nell’attribuire una funzione al diritto di

(520) S. PUGLIATTI, op. ult. cit., VII. Sulla configurazione di una pluralità di statuti proprietari nel nostro ordinamento si rimanda inoltre all’analisi di R. NICOLÒ, Riflession sul tema dell’impresa e sui nuovi orizzonti del diritto civile, in

Riv. dir. comm., 1956, I, 181-195.

(521) Questa la puntuale riflessione sul punto di A. ZOPPINI, Le “nuove proprietà” nella trasmissione della ricchezza

(note a margine della teoria dei beni), in Riv. dir. civ., 2000, n. 2, 185 ss., il quale tuttavia soggiunge – con

argomentazione che mi appare convincente – che il discorso sulle nuove proprietà andrebbe piuttosto a rinsaldare il paradigma unitario del diritto di proprietà (cfr. sul punto S. RODOTÀ, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e

i beni comuni, III ed., Bologna, Il Mulino, 2013, spec. 53 e 250), attaccandolo per così dire dall’esterno, vieppiù

sollecitando l’attenzione verso l’attuale inettitudine della categoria dei beni alla pletora di interessi oggetto di tutela giuridica da parte dell’ordinamento. Da segnalare infine l’importante opinione di P. BARCELLONA, La metamorfosi

della proprietà e l’autonomia del calcolo economico, in Riv. crit. dir. priv., 1989, n. 1, 3-27, alla crisi della teoria dei

beni si accompagna la perdita della funzione individuante della proprietà e, quindi, la capacità dello schema proprietario tradizionale ad assicurare la funzione selettiva nell’accesso e nella fruizione delle risorse scarse. Ad ogni modo, tale distinzione non appare dirimente con riferimento all’oggetto della presente trattazione. Come si vedrà più avanti (specificamente infra, p. IV, 1) il sistema composto dalle quote di emissione e dai titoli energetici sottendono invero la creazione di diritti caratterizzati di principio dall’esclusività, ma al contempo astrusi dal criterio ordinante dell’appresione fisica; sicché, avendo peculiare riguardo dei meccanismi di trasferimento, risulta preferibile esprimersi in termini di titolarità e legittimazione.

(522) Come si vedrà infra, 2.1, questo è indubbiamente il punto di maggior contatto fra l’elaborazione teorica dello studioso messinese la – etichettata come rivoluzionaria – proposta formulata da C. Reich con le sua new property, peraltro di dieci anni successiva (1964). In particolare, il principio generale che sta alla base delle largess reichiane è molto simile a quello su cui si fondano le concessioni minerarie perpetue o la proprietà risolubile descritte da Pugliatti. E fa ancora più specie riscontrare come, a distanza di quasi sessant’anni dalla produzione di Pugliatti, le recentissime elaborazioni di riforma del codice civile abbiano proprio teso a conformare il diritto di proprietà come un fascio di utilità (cfr. infra, 2.3).

(523) In questo senso, degne di menzione sono le parole dello stesso S. PUGLIATTI, Interesse pubblico e interesse

privato nel diritto di proprietà, in ID., La proprietà nel nuovo diritto, cit., 3-4: «[N]on vè diritto (soggettivo) che possa

concentrarsi unicamente nell’interesse privato, poiché il diritto (obbiettivo) obbedisce fondamentalmente a finalità di interesse pubblico»; di guisa che «il diritto di proprietà è, come diritto, una creazione della legge; questa, nel foggiarlo e definirlo, obbedisce ad esigenze d’indole generale; tali esigenze si riflettono inevitabilmente in quello».

(524) Il riferimento è a P. GROSSI, Beni giuridici: itinerari tra moderno e pos-moderno, cit., 1072, tutti i presupposti per l’obliterazione dell’individualismo preponderante la modernità giuridica erano già stati gettati, nella tendenziale

proprietà che si estrinseca il passaggio dal modernismo al post-modernismo giuridico (

525

); facendo

così spazio alla nozione di proprietà conformata, da illustre dottrina definita come «la punta più

avanzata del dibattito giuridico intorno alla proprietà» (

526

).

L’insegnamento dello studioso messinese ci lascia dunque un insieme di rilievi importanti e di

lungo respiro.

Anzitutto, la constatazione che il “nostro” diritto di proprietà non è (solo) costituito dalla

granitica nozione incorporata nell’art. 832 cod. civ., esistendone invece una consistente pluralità,

riconducibile precipuamente alle funzioni che lo stesso diritto dominicale esercita in maniera

cangiante a seconda del suo termine di riferimento oggettivo, costiuito necessariamente dal bene.

Di seguito – e di riflesso rispetto alla prima considerazione riportata – l’interessante

consimiglianza che va maggiormente instaurandosi fra i “nostri” diritti dominicali e la nozione

angloamericana di property, imperniata sulla flessibilità nelle attribuzioni che possono essere

concesse ai titolari (

527

).

Infine, con specifico riferimento all’ambito della tassonomia proprietaria si possono

individuare, oltre alla già più volte menzionata pluralità di statuti proprietari, una varietà di

conformazioni all’interno di ciascuno di essi, in cui il diritto si può articolare (

528

). Tutti questi

elementi ricorrono, costanti ma non sempre tangibili, allorquando lo studioso si ritrova innanzi alla

sfida di riflettere in chiave critica sugli assetti proprietarî, in particolare con riferimento a nuove

esigenze quali la tutela dell’ambiente e il rapporto di quest’ultima con meccanismi imperniati sul

indifferenza e refrattarietà della dottrina giuridica del primo trentennio del XX Secolo, da E. Finzi in due sue relazioni: la prima del 1922, dal titolo Le moderne trasformazioni del diritto di proprietà, in Arch. Giur., 1923, LXXXIX; ma soprattutto quella tenuta in occasione del primo congresso nazionale del diritto agrario, nel 1935, dal titolo Diritto di

proprietà e disciplina della produzione, raccolto negli atti del medesimo convegno, in cui emerge prepotentemente il

ruolo centrale attribuito al bene quale elemento protagonista della dinamica economica. Il tema verrà peraltro ripreso e ulteriormente raffinato da F. VASSALLI, op. cit., per giungere quindi all’attenzione di Pugliatti.

(525) P. GROSSI, op. loc. ult. cit., il quale definisce a sua volta la funzione come «un potere esercitato per un interesse non proprio, o non esclusivamente proprio, o per un interesse oggettivo».

(526) Cfr. V. SCALISI, La proprietà, in ID., Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, Giuffrè, 2005, 481. Sul punto si rimanda inoltre alla sapiente analisi di A. GAMBARO, op. ult. cit., 300 ss.. (527) Su questo punto si ritornerà, con alcune riflessioni di stampo comparatistico infra, 2.2.

(528) Molti studiosi hanno disquisito in merito al fatto che le diverse proprietà rinvenibili nell’ordinamento fossero esemplificative di una pluralità di statuti proprietari o si dovessero invece considerare diverse manifestazioni di un

unico diritto di proprietà. La collocazione delle norme derogatorie al regime classico (dentro e fuori dal codice civile),

testimonierebbe che in realtà siamo di fronte ad entrambi i fenomeni. Le diverse proprietà che provengono da una medesima fonte (il codice) testimoniano infatti della varietà di forme che può assumere il medesimo diritto (ad es. l’enfiteusi perpetua dell’art. 958 rispetto alla proprietà “classica” di cui all’art. 832). Le diverse proprietà rinvenibili non solo in altri testi legislativi ma desumibili ad esempio dagli usi civici o da altre fonti c.d. di proprietà collettiva, sarebbero invece testimonianza di come nel nostro ordinamento coesistano diversi statuti proprietari, alcuni dei quali anche anteriori, o di gran lunga anteriori, rispetto alla generale prescrizione contenuta nell’art. 832 cod. civ.. Su questo punto, a favore dell’unicità del diritto di proprietà si può citare la posizione di E. OPPO, Sui principi generali del diritto privato, vol. VI, in Principi e problemi del diritto privato, Padova, Cedam, 2000, 3 ss.; sulla molteplicità insita nel

concetto di proprietà, tra i molti, si può invece fare riferimento a P. GROSSI, Un altro modo di possedere, Milano,

mercato e la concorrenza (

529

). Tali sono gli aspetti che esplicitano in maniera impellente

l’accoglimento di una prospettiva ontologica dei beni, in ossequio alle grandi conquiste operate

dalla tradizione giuridica occidentale, al fine di dipanare la complessa trama di interessi e diritti che

in ciascuno di questi beni converge (

530

).

Outline

Documenti correlati