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Diritto, Stato e mercato: tre modelli (complementari) per combattere l’inquinamento

Parte I. Tradable Pollution Rights fra neoclassicismo economico e post-modernismo giuridico

Capitolo 3. Diritto, Stato e mercato: tre modelli (complementari) per combattere l’inquinamento

Le linee di sviluppo indicate dal fondamentale lavoro: Pollution, Property and Prices di J.H.

Dales hanno conosciuto nei decenni successivi una progressiva estensione, fino al loro definitivo

recepimento da parte del legislatore statunitense (

88

). Tale modello, come ampiamente esplicato

altrove (

89

), è stato quindi oggetto di ampia circolazione, divenendo centrale nell’ambito del sistema

UNFCCC a livello internazionale (

90

).

Sul piano teorico, il tema ha suscitato un ampio e sofisticato dibattito all’interno della scienza

economica e giuridica, il quale si è centrato principalmente su due elementi: da una parte, la ben

nota contrapposizione ertasi fra l’approccio command and control e quello basato sul ricorso a

incentivi economici (

91

); dall’altra, la delicata questione circa l’effettivo ruolo da attribuire

(86) J.H. DALES, op. cit., 104-105.

(87) Laterali, sebbene non irrilevanti per comprendere il modello di Dales, sono infine due considerazioni. In primo luogo, il mercato di Pollution Rights postula una continua crescita della popolazione, ma soprattutto dell’economia e della produzione; sicché, a fronte del verificarsi circa il fenomeno opposto – e, conseguentemente, un calo della domanda di Pollution Rights – l’unica soluzione sarebbe un intervento da parte dell’autorità pubblica, al fine di ricalibrare il quantitativo di inquinamento desiderabile ai nuovi livelli di produzione. In secondo luogo, il modello sconta una difficile applicabilità – per stessa ammissione del suo ideatore – nei casi in cui ci si trovi innanzi a una pluralità indistinta di fattori nocivi, e non risulti quindi possibile identificare con certezza i soggetti e gli impianti fonti di inquinamento. In questi casi, secondo Dales, sarebbe raccomandabile il ricorso alla combinazione tra misure di tipo normativo, sussidi e imposte (cfr. J.H. DALES, op. cit., 108).

(88) Il riferimento è qui ai ben noti Clean Air Act Amendments del 1990 (42 U.S.C. 7651-7671), i quali hanno per la prima volta istituito un modello di cap and trade per le emissioni di SO2 negli Stati Uniti.In questo senso, c’è chi ha perentoriamente affermato come «cap and trade concepts were invented in the United States» (S. DEATHERAGE,

Carbon Trading Law and Practice, New York, Oxford University Press, 2011, 20).

(89) Molto efficace sul punto infatti il contributo di V. JACOMETTI, op. cit., in particolare 463 ss.. (90) Per un’analisi della normativa internazionale cfr.supra, p. II, 3.1.

(91) La letteratura in argomento è vasta. Si rivela tuttavia di particolare spunto, anche in chiave ricostruttiva del dibattito, il lavoro di D.M. DRIESEN, Is Emissions Trading an Economic Incentive Program?: Replacing the Command and

Control/Economic Incentive Dichotomy, in Wash. & Lee Law Review, 1998, vol. 55, 289-350. Secondo l’opinione

dell’insigne giurista americano, la contrapposizione in parola ha avuto influenze notevoli sulle policies adottate; cionondimeno, essa poggia su basi in concreto scarsamente definibili, e andrebbe dunque revocata in dubbio, specialmente con riferimento ai mercati ambientali. Egli infatti qualifica la nozione di incentivo economico (economic

incentive) espressamente come « […] any program that provides an economic benefit for pollution reductions or an

economic penalty for pollution» (idem, 323). Al contrario, sistemi come l’emissions trading (o il credit trading) farebbero riferimento contestualmente a una combinazione fra incentivi negativi – i.e., le sanzioni in caso di mancata

compliance – e comandi dell’autorità pubblica, quantomeno con riguardo ai limiti quantitativi di inquinamento imposti

alle singole imprese o ai singoli impianti. D’altra parte, come notano R. PERCIVAL – A.S. MILLER – C.H. SCHROEDER, Environmental Regulation: Law, Science, and Policy, Boston, Little, Brown, 1996, 154-158, si possono riscontrare almeno dodici approcci regolatori distinti volti a limitare il consumo delle risorse naturali. Tra essi figurano, ad esempio: standard tecnologici o di performance; limitazioni al commercio o all’uso di determinati prodotti; meccanismi di trasparenza informativa; tasse sull’inquinamento; sussidi e – chiaramente – diritti negoziabili. Questi, oltre a rivelarsi strumenti fondati – sebbene in diversa misura – su una logica proprietaria, andrebbero collocati al di fuori della distinzione sopra citata, in quanto mirano tutti dal punto di vista economico al medesimo obiettivo, ossia alla

all’autorità pubblica nell’organizzazione dei mercati ambientali (

92

). Quest’ultima, in particolare, ha

parallelamente indotto gli studiosi a conferire cittadinanza a soluzioni caleidoscopiche, collocabili

all’interno dell’ampio spettro ai cui estremi si pongono quelli che U. Mattei denomina modelli

astensionisti e non astensionisti (

93

).

Il percorso di cui si è fornita sommaria rappresentazione poc’anzi trova quindi inizio nelle

plurime e vigorose critiche rivolte alla traditional regulation, basata su regole volte all’imposizione

di standard tecnologici o lavorativi in capo alle imprese inquinanti (

94

). I rilievi principali erano

legati all’eccessiva rigidità, la quale condurrebbe a inefficienza nell’allocazione delle riduzioni delle

emissioni inquinanti (

95

); alla mancanza di incentivi a lungo termine per le imprese a migliorare i

propri parametri ambientali (

96

); a una scorretta uniformazione degli standard medesimi, la quale

creazione di costi e benefici, da ripartirsi fra gli inquinatori, lo Stato e i cittadini (cfr. sul punto l’importantissimo lavoro di D.H. COLE, Pollution and Property: Comparing Ownership Institutions for Environmental Protection, cit., 14-15). (92) Sotto questo profilo, un’interessante lettura in chiave critica è fornita da A. SINDEN, The Tragedy of the Commons

and the Myth of a Private Property Solution, in U. Colo. L. Rev., 2007, vol. 78, 533 ss., secondo cui la questione è stata

tradizionalmente affrontata facendo primario riferimento all’allocazione del processo decisionale in merito agli standard ambientali da raggiungere nel perseguimento dell’interesse collettivo (quella che l’A. denomina «the how much question», corsivo mio). Da qui l’individuazione rispettivamente circa un regime di privatizzazione, oppure di regolazione pubblica (comando-controllo), a seconda che tale decisione fosse rimessa allo Stato o al mercato. Ciò premesso, secondo l’A. i mercati ambientali non rappresenterebbero un sistema di privatizzazione delle risorse naturali

tout court, giacché rimettono comunque all’autorità pubblica il compito di rispondere preliminarmente alla

fondamentale “how much question”; essi, di conseguenza, non sarebbero di per sé idonei a porre rimedio alla “Tragedia” di Hardin.

(93) U. MATTEI, I modelli nella tutela dell’ambiente, in Riv. dir. civ., 1985, p. II, 391 ss.; con il termine astensionista, in particolare, si identifica un modello ricollegato alla c.d. deregolamentazione (deregulation), per cui lo Stato rigetta consapevolmente il proprio intervento a fronte di un vuoto legislativo. Per quanto concerne la tutela ambientale, ciò si traduce nella mancata introduzione circa una regola di trasferimento dei danni provocati da un soggetto sulla collettività, e conoscerà maggiore o minore efficacia in astratto a seconda del preesistente assetto proprietario, cangiante a seconda dell’ordinamento che si prende in considerazione. Esso, tuttavia, nel momento in cui fa ricadere sulla cittadinanza i costi di un inquinamento da loro non generato, conduce irrimediabilmente a generare diseconomie esterne, le quali andrebbero risolte esclusivamente mediante gli strumenti negoziali, come di principio teorizzato da Coase. A contrario, il modello non astensionista è dunque rappresentato dalla presenza di una specifica regolamentazione ambientale, si manifesti essa sotto forma di modelli amministrativi comando-controllo, oppure di meccanismi di mercato.

(94) Invero, con il termine “comando-controllo” si intende quello che M.S. GIANNINI, Diritto Amminsitrativo, I, III ed., Milano, Giuffré, 1993, 25, individua come il tipo di amministrazione strutturale a normazione pubblica il quale, poiché soggetto a una propria normazione, viene ad assumere un «carattere fortemente autoritativo» (corsivo originale).Si suggerisce inoltre la lettura di M. CAFAGNO, La cura dell’ambiente tra mercato ed intervento pubblico.

Spunti dal pensiero economico, in D. DE CAROLIS – E. FERRARI – A. POLICE (a cura di), Ambiente, attività amministrativa e codificazione, Atti del primo colloquio di diritto dell’ambiente, Teramo, 29-30 aprile 2005, Milano,

Giuffrè, 2006, 191-258, e in particolare 203-208; F. SALVIA, Gli strumenti giuridici della tutela ambientale, in Riv.

Giur. Amb., 1993, n. 2, 209 ss., nonché, con specifico riferimento alle autorizzazioni nel contesto ambientale, P.

DELL’ANNO, Manuale di diritto ambientale, IV ed., Padova, Cedam, 2003, 209 ss.

(95) Sul punto si rimanda alla lettura di due fondamentali contributi: R.W. HAHN – G.L. HESTER, Where Did All the

Markets Go? An Analysis of the EPA’s Emissions Trading Program, in Yale Journal on Regulation, 1989, vol. 6, 109

ss., in particolare 109-110; ma soprattutto B. ACKERMAN – R.B. STEWART, Reforming Environmental Law, cit., e ID., Reforming Environmental Law: The Democratic Case for Market Incentives, in CJEL, 1988, vol. 13, 171-172. (96) V. D.J. DUDEK – J. PALMISANO, Emissions Trading: Why Is This Thoroughbred Hobbled?, in CJEL, 1988, vol. 13, 220-221. Di rilievo risulta inoltre il contributo di R.B. STEWART, Regulation, Innovation and Administrative Law:

A Conceptual Framework, in California Law Review, 1981, vol. 69, 1326, ove afferma chiaramente che «command and

control regulation […] provide[s] no incentive for superior performance».

(97) V. R.W. HAHN – R.N. STAVINS, Incentive-Based Environmental Regulation: A New Era from an Old Idea?, in

collide con i differenti costi di compliance sostenuti dalle imprese operanti sul mercato (

97

). Sicché

a partire dagli anni ’80 del Secolo scorso, sulla spinta del pensiero economico neo-liberalista (

98

),

tale approccio ha fatto progressivamente strada a quello radicalmente opposto – accolto da

importanti policy makers, come il presidente americano Ronald Reagan e la prima ministra inglese

Margareth Thatcher – basato su meccanismi di mercato, sì da indirizzare dunque il punto focale

dell’analisi verso l’efficienza economica (

99

).

Se quindi la prevalenza accordata ai market based instruments e la contestuale eclissi del

sistema comando-controllo rappresentano un dato acquisito, non indifferenti permangono le frizioni

in merito al ruolo da attribuire a quelle che – prendendo a prestito la tassonomia di G. Calabresi –

possono definirsi property rules (

100

). In questo senso, a fronte di chi comunque paventa(va) una

presenza rilevante da parte della pubblica amministrazione nella creazione e gestione del sistema, in

posizione diametralmente opposta si segnala il contributo dato dalla dottrina americana afferente al

c.d. free market environmentalism, la cui idea fondamentale è rappresentata dalla completa

privatizzazione delle risorse naturali, che condurrebbe a una loro ottimale amministrazione (

101

).

(97) V. R.W. HAHN – R.N. STAVINS, Incentive-Based Environmental Regulation: A New Era from an Old Idea?, in

ELQ, 1991, vol. 18, 6.

(98) Cfr. sul punto D.M. DRIESEN, Neoliberal Instrument Choice, in ID. (a cura di), Economic Thought and U.S.

Climate Change Policy, Cambridge (MA), MIT University Press, 2010, 129-153. Invero, oltre alla letteratura

neo-liberalista va individuata anche la non secondaria influenza della c.d. teoria della scelta pubblica (public choice theory), una branca delle scienze politiche fondata sull’accordare piena fiducia ai mercati, in reazione all’inefficiente operato dei soggetti rappresentanti le istituzioni pubbliche, le cui scelte sarebbero costantemente mirate all’ottenimento di sufficienti garanzie per la loro re-elezione; da qui l’enunciazione in termini generali di un possibile “fallimento dello Stato” – in contrapposizione al tradizionale “fallimento del mercato” – la cui soluzione andrebbe ritrovata esclusivamente nel ricorso al mercato stesso, il cui andamento risulta difficilmente intellegibile per la pubblica autorità (non per caso, tale linea di pensiero è stata definita «market fundamentalism» da J. STIGLITZ, Globalization and its

Discontents, New York-Londra, W.W. Norton, 2002, 36, trad. it. di D. CAVALLINI, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, Einaudi, 2003). Sul punto si raccomanda quantomeno la lettura di J. BUCHANAN – G. TULLOCK, The Calculus of Consent: Logical Foundations of Constitutional Democracy, Ann Arbor, University of Michigan Press,

1965; K. ARROW, Social Choice and Individual Values, New Haven, Yale University Press, 1963; per un contributo più recente sul punto cfr. D. FARBER – A. O’CONNELL (a cura di), Research Handbook on Public Choice and Public

Law, Cheltenham, Edward Elgar, 2010.Invero, la questione è stata richiamata direttamente anche dai sostenitori del c.d.

free market enviromentalism: cfr. sul punto T. ANDERSON – D. LEAL, Free Market Versus Political Environmentalism, in Harv. J. L. & Pub. Pol., 1992, vol. 15, 297-301.

(99) Condivisibile in tal senso la disamina di D.M. DRIESEN, Alternatives to Regulation?: Market Mechanisms and the

Environment, in R. BALDWIN – M. CAVE – M. LODGE (a cura di), Oxford Handbook on Regulation, Oxford,

Oxford University Press, 2009, 203-223,il quale aggiunge in particolare che la tradizione di law and economics ha svolto un ruolo fondamentale in questa inversione di tendenza, qualificando il libero mercato come un modello di

governance vero e proprio, facendo così virare l’obiettivo principale della regolazione rispetto a quello precedentemente

perseguito, ossia la tutela della salute pubblica. Interessante è inoltre l’analisi di D.H. COLE, Pollution and Property:

Comparing Ownership Institutions for Environmental Protection, cit., 67-85, laddove si riscontra che la progressiva

adozione di strumenti di mercato da parte degli Stati Uniti – attraverso successive modifiche al Clean Air Act – sia sostanzialmente dovuta all’evoluzione del contesto istituzionale, ma soprattutto di quello tecnologico.

(100) Cfr. supra, 1.

(101) La corrente di pensiero citata trova fondamento nell’opera di T. ANDERSON – D. LEAL, Free Market

Environmentalism, New York, Macmillan, 2001 (invero già pubblicata nel 1991), con trad. it. di F. BERTELLI, L’ecologia di mercato. Una via liberale alla tutela dell’ambiente, Torino, Lindau, 2007 e a cui ha di recente fatto

seguito ID., Free Market Environmentalism for the Next Generation, New York, Palgrave Macmillan, 2015. Le proposizioni degli studiosi aderenti a tale linea di pensiero, tuttavia, sono state esposte a severe critiche su più fronti, sulla scorta del fatto che esse mancherebbero di aderenza al reale contesto economico di scala e non terrebbero conto

Approcciando la questione mediante un’analisi di stampo più olistico, si deve rimarcare come

gli approcci di mercato a tutela dell’ambiente abbiano trovato fondamento in due modelli economici

fondamentali, informatori a loro volta delle policies adottate dai due ordinamenti più influenti a

livello mondiale: gli Stati Uniti e l’Unione Europea. I primi hanno fatto propria un’impostazione

marcatamente di segno neoclassico, la quale riposa sull’assoluta fiducia nei confronti del mercato e,

di conseguenza, a una deregulation a livello federale; tanto da rendersi ancor oggi complessa

l’adozione circa una normativa uniforme in materia di carbon markets o di credit trading, piuttosto

lasciando la scena a soluzioni a livello statale, disarmoniche e isolate (

102

). La seconda, in aderenza

a una visione dinamica dell’economia (

103

), ha invece individuato nella regolamentazione top-down

– e nello specifico, nell’EU ETS – uno dei mezzi principali a cui ricorrere per stimolare

cambiamenti a livello macro-economico, anziché concentrarsi su una mera analisi costi-benefici

della politica climatica (

104

).

Le due visioni sopra riportate potano con sé rilevanti conseguenze in merito alla

qualificazione giuridica delle unità fondamentali di cui i mercati in esame si compongono. Da un

lato, infatti, la tendenza “mercatocentrica” americana, unita ai problemi legati all’eventuale

esercizio di atti di disposizione da parte dell’autorità pubblica, ha portato talvolta a negare

l’esistenza circa diritti di natura proprietaria nei mercati di carbonio, talaltra a non definirne

dei costi transattivi insiti nelle negoziazioni fra privati. Si consiglia in tal senso la lettura di M.C. BLUMM, The

Fallacies of Free Market Environmentalism, in Harv. J. L. & Pub. Pol., 1992, vol. 15, n. 2, 371 ss., il quale pone inoltre

l’accento sul fatto che siffatte teorie non vanno inoltre a considerare i notevoli costi legati alla tutela dei diritti oggetto di privatizzazione. In termini più ampi, è rilevante l’opinione di D.H. COLE, Pollution and Property: Comparing

Ownership Institutions for Environmental Protection, cit., 85 ss., il quale revoca in dubbio la dicotomia controllo

governativo - proprietà privata tipica dei c.d. “Free Market Environmentalists”, sostenendo invece la ben più complessa natura dei meccanismi di mercato a tutela dell’ambiente.

(102) Allo stato attuale, oltre alla legislazione federale contro le emissioni di SO2 di cui ai Clean Air Act Amendments

1990, sono in vigore almeno altri due grandi mercati a livello regionale e locale. Tra questi, il più rilevante è senza

dubbio il Regional Greenhouse Gas Initiative (RGGI), l’unico transnazionale obbligatorio di CO2, che comprende ad oggi nove Stati e quasi 170 centrali elettriche; altresì rilevante è infine il mercato operativo in California, gestito dal

California Air Resource Board (CARB), istituito nel 2011ed entrato dal 2015 nel secondo compliance period, che ad

oggi include più di sette gas serra diversi e circa 450 impianti. Per una descrizione dettagliata dei mercati citati v. S. ISSER, A Review of Carbon Markets: EU-ETS, RGGI, California, the Clean Power Plan and the Paris Agreement, 21 settembre 2016, consultabile al link: https://ssrn.com/abstract=2827620 (disponibile il 2 dicembre 2016).

(103) Ci si riferisce in questa sede a un pensiero economico di recente estrazione, nato in piena contrapposizione con il modello neo-classico, il cui manifesto si può individuare in D.M. DRIESEN, The Economic Dynamics of Law, New York, Cambridge University Press, 2012. Esso è basato su un approccio di natura macro-economica ai concetti di law

and economics ed è improntato totalmente sullo studio dei cambiamenti nell’arco del tempo, sì da evitare il rischio sistemico (systemic risk) – da un punto di vista ambientale, finanziario, sociale e politico. Ciò comporta il ricorso a un

innovativo modello di analisi, che mutua dal ripudiato pensiero neo-classico il riferimento al ruolo degli incentivi economici rispetto alla regolamentazione, tuttavia selezionando quelli che effettivamente incidono sulle scelte razionali degli individui. Inoltre, operando a un livello superiore, esso si basa su un’analisi di scenario (scenario analysis), che mira dunque a preconfigurare possibili conseguenze future di determinate politiche, discutendone altresì i diversi risultati possibili, senza comunque rifuggire l’incertezza che siffatta tipologia di analisi postula. Sul punto si raccomanda altresì la lettura di D.M. DRIESEN, The Economic Dynamics of Environmental Law: Cost-Benefit

Analysis, Emissions Trading, and Priority Setting, in B.C. Envtl. Aff. L. Rev., vol. 31, n. 3, 501-528.

(104) V. D.M. DRIESEN – S. BOGOJEVIĆ, Economic Thought and Climate Disruption: Neoclassical and Economic

Dynamic Approaches in the USA and the EU, cit., 477. Ciò peraltro, come rilevano gli A., sarebbe legato strettamente

alla cultura giuridica propria dell’ordinamento europeo, improntata ontologicamente all’utilizzo della regolamentazione per sostenere l’attività e l’integrazione del mercato, e di conseguenza, la crescita economica.

chiaramente la provenienza (

105

). Dall’altro, il ricorso a una complessa legislazione di diritto

derivato come mezzo per la promozione della crescita economica ha incontrato sotto questo profilo

un limite (quasi) invalicabile nei divergenti principi degli ordinamenti civili nazionali; ciò che

tuttavia non ha esonerato lo stesso legislatore europeo dal definire chiaramente gli obiettivi che

informano la politica sottostante la regolamentazione in esame, indicando chiaramente che l’EU

ETS deve essere indirizzato al fine ultimo della crescita economica, della competitività e

dell’efficienza (

106

).

Nonostante persistano dunque sostanziali divergenze con riguardo al metodo cui far

riferimento nel collocare gli strumenti di mercato quali l’emissions trading o il credit trading, è

ormai fuori discussione la tendenza a collocare quest’ultimi nell’ambito di politiche integrate e

complesse, che mirino contemporaneamente al duplice obiettivo di garantire l’approvvigionamento

energetico e limitare gli impatti antropici sul clima. Detto altrimenti, il fine ultimo del mercato

diverrà vieppiù quello di contemperare la crescita economica e industriale con la salvaguardia

dell’integrità ecologica, nell’ambito di specifici obiettivi sia di medio che di lungo periodo,

rigorosamente delineati dallo Stato o – nel caso dei Paesi europei – dall’ordinamento

sovranazionale (

107

).

(105) Emblematica in tal senso è la previsione dei Clean Air Act Amendments 1990, ove si specifica chiaramente che «an allowance […] is a limited authorization to emit sulfur dioxide […]. Such allowance do not consitute a property right» (Section 403 (f)). Al contempo, tuttavia, la stessa legislazione stabilisce che «[A]llowances, once allocated to a person by the Administrator, may be received, held, and temporarily or permanently trasnferred […]» (idem), riconoscendone dunque le caratteristiche di natura proprietaria, quantomeno con riferimento alla circolazione tra soggetti privati. La – già ambigua – definizione legislativa riportata è stata peraltro oggetto di ulteriore erosione da parte della giurisprudenza: la U.S. Court of Appeals (5th Circuit), nel caso Ormet Corp v. Ohio Power Co. (98 F.3d 799, 27 ELR 20302 (4th Circuit 1996)) si è pronunciata nel senso che il Congresso, anziché attribuire espressamente ai permessi negoziabili natura di property rights, avrebbe invece teso a far sì che ogni controversia riguardante il commercio di quest’ultimi fosse risolta «in the same manner as are other private commercial disputes». Si può dunque arguire che ogni discussione circa la titolarità delle quote vada declinata non tanto con riferimento alla property, intesa come diritto reale assoluto in senso ben più ampio ed esorbitante le prerogative attribuite al proprietario nel nostro ordinamento (cfr. G. PUGLIESE, voce «Property», in Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma, Ed. Enc. It, 1991), quanto alla ownership, intesa invece come titolarità di una signoria sulla res medesima (cfr. M. GEHRING – C. STRECK, Emissions Trading:

Lessons From SOx and NOX Emissions Allowance and Credit Systems Legal Nature, Title, Transfer, and Taxation of Emission Allowances and Credits, in Environmental Law Reporter, 2005, n. 4, 10222-10223.

(106) Tale aspetto emerge in maniera corposa dall’analisi dei testi legislativi, dei documenti preparatori e di quelli programmatici in materia. Lo stesso Libro Verde sull’EU ETS (COM (2000) 87 def., 12 ss.) poneva in evidenza l’importanza circa l’istituzione di un mercato di carbonio, in un’ottica più generale di liberalizzazione del mercato; la direttiva Emissions Trading (2003/87/Ce) è quindi chiarissima nell’individuare l’efficienza economica nel punto nodale del mercato (art. 1). Al termine della prima fase – caratterizzata, come visto supra, p. II, 3.2.1, da numerose inefficienze nell’allocazione delle quote – la Commissione ha dunque inteso rinvigorire la figura dell’EU ETS, sottolineandone la strategicità a livello macroeconomico, ad esempio nel generare ricavi utilizzabili dagli Stati membri per limitare i

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