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Dalle new properties di Charles Reich al dibattito sui nuovi beni

Parte III. Nuove oggettività giuridiche

Capitolo 2. Nuove frontiere mobili della proprietà

2.1. Dalle new properties di Charles Reich al dibattito sui nuovi beni

L’approdo dottrinale di maggior spessore volto a configurare innovativi e rivoluzionari

schemi di appartenenza è senza dubbio riscontrabile nella celebre – e già sovente menzionata –

opera del giurista americano C. Reich: The New Property, pubblicato sul The Yale Law Journal

nell’aprile del 1964 (

619

).

Preliminarmente all’intrapresa di ogni sforzo logico-sistematico che abbia a riferimento

l’opera summenzionata, urgono tuttavia indefettibilmente due notazioni.

In primo luogo, va tenuto bene a mente che l’opera di Reich si pone in guisa di possibile

soluzione giuridica alle radicali trasformazioni avvenute nel contesto economico-sociale

statunitense del XX Secolo, generate principalmente dalle politiche di welfare state di stampo

(615) Questo sarebbe dunque il caso delle valli da pesca laddove esse, riprendendo ancora le parole della Corte, «[…] configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano specifica attuazione, dando origine ad una concezione di bene pubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto reale spettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali».

(616) In questo senso, i beni comuni si porrebbero come «categoria sovversiva della vecchia tassonomia binaria» (U. MATTEI, Proprietà (nuove forme di), cit., 1118).

(617) Cfr. sul punto L. CAROTA, Dai beni pubblici ai beni comuni, in Contr. e impr., 2016, n. 1, 113-119. (618) Su questo tema precipuamente ci si soffermerà infra, 2.3.

(619) C.A. REICH, The New Property, in Yale Law Journal, 1964, vol. 73, n. 5, 733-787. L’opera ha avuto un tale risalto nel dibattito dottrinale americano da risultare quello più citato, all’esito della rassegna operata per in occasione del centenario della rivista (cfr. F.F. SHAPIRO, The Most-Cited Articles from The Yale Law Journal, in Yale Law Journal, 1991, vol. 100, 1449 ss.). L’A. medesimo ha poi ad ogni modo avvertito la necessità di ripubblicare il suo saggio in un’edizione rivista e aggiornata (v. C.A. REICH, The New Property After 25 Years, in University of San Francisco Law

keynesiano, riconducibili in primis alla presidenza di F.D. Roosevelt (

620

). Di conseguenza, come

vedremo, lo scopo ultimo perseguito dal giurista americano è quello di garantire tutela a diritti e

interessi maturati dall’individuo rispetto allo Stato, in assenza di garanzie espresse in tal senso a

livello costituzionale.

In secondo luogo, vi dev’essere la chiara consapevolezza – consistente, peraltro, con una

minimale avversione alla miopia nell’analisi comparatistica – che alla proposta in esame non può

essere attribuita valenza e portata universale, né in particolare è paventabile una sua espiantazione

sic et simpliciter in ordinamenti per larghissima parte avulsi da quello americano, con il quale non

condividono soprattutto il bagaglio teorico-concettuale sedimentatosi attorno alla nozione di

property (

621

).

Ciò premesso, un tentativo di rappresentazione in chiave didascalica del contributo di Reich

può consistere nell’auspicio di definire la natura degli interventi statali a sostegno di persone

(fisiche e giuridiche) mediante l’analisi dell’apparato da esse costituito, procedendo a una

valutazione del complicato rapporto fra proprietà e interesse pubblico. Si rimodula quindi

ulteriormente il rapporto individuo-Stato in una rinnovata dimensione individualistica, nell’ottica di

una contrapposizione: società/Stato–proprietà; di modo da assistere a una vera e propria

metamorfosi dei diritti sociali, in precedenza qualificati come privilegi (privileges), i quali

assurgono dunque a situazioni giudiriche soggettive di rilievo costituzionale, ossia properties.

Alla base dell’audace proposta di Reich – influenzata notevolmente dal contesto

socio-politico di riferimento – vi è quindi l’idea che lo Stato rappresenti uno degli attori fondamentali nei

processi di distribuzione della ricchezza (

622

). Di riflesso, un numero crescente di individui

(620) In questo senso, il lavoro di Reich si può caratterizzare come la prima vera e propria “sortita” prettamente giuridica in un dibattito accademico che, nel medesimo periodo, era invece a pieno appannaggio dell’analisi economica: in questo senso, opere pivotali si possono individuare in quelle (già citate) di R.H. COASE, The problem of social cost, cit.; H. DEMSETZ, Toward a theory of property rights, cit.; e da ultimo, G. CALABRESI – A.D. MELAMED, Property Rules,

Liability Rules and Inalienability: One View of the Cathedral, cit.. Purtuttavia, ad esso vanno senza dubbio appuntati un

notevole fondamento scientifico e innovatività concettuale, nonché di aver in seguito sdoganato il tema presso la legal scholarship statunitense, per cui si rimanda su tutti a B. ACKERMAN, Private Property and the Constitution, New Haven-Londra, Yale University Press, 1977. Tale processo di rinnovamento, iniziato proprio con l’opera di Ackerman, è avvertito e posto in evidenza da R. EPSTEIN, Book Review: The Next Generation of Legal Scholarhip?, in Stanford

Law Review, 1978, vol. 30, 635-657.

(621) È questa peraltro l’avvertenza posta da A. CANDIAN – A. GAMBARO – B. POZZO, Property, Propriété,

Eigentum, cit., 172-173, facendo riferimento particolare al rilievo che, diversamente dalla nostra carta costituzionale,

quella americana non contempla espressamente diritti sociali; sicché la tutela costituzionale di tali posizioni giuridiche soggettive è stata sostanzialmente ricollegata al XIV e al V emendamento, che enunciano rispettivamente il principio del due process of law e della just compensation. Lo scopo di Reich è dunque quello di estendere quanto più possibile la nozione di property, onde garantire principalmente una protezione di stampo procedurale (il due process), più che quella sostanziale della compensazione in caso di appropriazione o revoca (taking) da parte dell’autorità pubblica. (622) Cfr. sul punto, altresì per un’analisi più sofisticata dell’opera di Reich in chiave storica e sociale, K.M. TANI,

Flemming v. Nestor: Anticommunism, the Welfare State, and the Making of “New Property”, in Law and History Review, 2008, vol. 26, n. 2, 379–414.Il pensiero reichiano ha trovato illustre eco a livello domestico in quello di S. RODOTÀ, La logica proprietaria tra schemi ricostruttivi e interessi reali, in Quaderni fiorentini per la storia del

pensiero giuridico moderno, 5-6, Itinerari moderni della proprietà, II, Milano, Giuffrè, 1976-1977, 882, il quale

fonderebbe parte del proprio benessere su sussidi, sgravi fiscali, incentivi, contratti pubblici, licenze

di commercio, abilitazioni all'esercizio di professioni, autorizzazioni all’utilizzo di risorse

pubbliche, ecc., che necessitano di una tutela di natura – diremmo noi – reale.

La battaglia concettuale di Reich è quindi precipuamente rivolta all’acquisizione e al

consolidamento di garanzie procedurali a tutela dei soggetti cui tali largess sono attribuite, al fine di

scongiurare l’esercizio in via arbitraria di una – potenzialmente amplissima – discrezionalità

amministrativa, operato in nome di una parimenti dilatabile nozione di interesse pubblico, ma al

fine – nefasto – del soddisfacimento circa interessi particolari (

623

).

Si può quindi ragionevolmente affermare che lo sforzo palingenetico di preponderante rilievo

nella ricostruzione teorica di Reich vada riferito, anziché alla nozione di property (rectius: new

property), a quella di largess, intesa quest’ultima letteralmente come elargizione pubblica (

624

),

nonché in senso lato come qualsiasi tipo di aspettativa di cui siano titolari i soggetti che vedono la

propria attività professionale e lavorativa dipendente da povvedimenti di natura pubblicistica (

625

).

Tali considerazioni ci inducono pertanto a concludere che le new properties, nell’ideale

rappresentazione del suo ideatore, rappresentano in termini generali cose non tangibili dotate di

valore economico. Qui emerge prepotente l’aspetto critico fondamentale di tutte le teorie sui nuovi

beni. Oggetto di proprietà infatti non è un bene materiale, bensì la titolarità di utilità immateriali –

nel caso di Reich, incentivi, sussidi, contratti pubblici, licenze, autorizzazioni (

626

), ma anche e

soprattutto diverse utilità immateriali, come ad esempio i beni della proprietà intellettuale, in altre

teorizzazioni (

627

) – che, nonostante la loro non corporeità, sono suscettibili di procurare una utilità

risiederebbe nel fatto che «la disciplina proprietaria si espande oltre il suo alveo tradizionale, anche in sistemi legati a schemi concettuali assai più rigidi di quelli di common law». In definitiva glissando sulla ricostruzione dell’autore americano, il quale opterebbe per «[…] una sorta di legge ferrea della proprietà, che dovrebbe governare tutte le ipotesi di ripartizione tra i cittadini di risorse all’origine pubbliche, senza però tenere in alcun conto i problemi posti dal dilatarsi delle funzioni dello Stato e dal conseguente mutamento della qualità delle sue mediazioni, oltre che dalle caratteristiche particolari delle risorse ripartite».

(623) Questo fondamentale passaggio si coglie efficamente allorquando l’A. conia la distinzione fra public interest e

public interest state. Nello specifico, il primo rappresenterebbe una fisiologica espressione dell’interesse generale, se

non del “bene comune”, mentre il secondo ne sarebbe invece la – patologica – degenerazione, ascrivibile a un esercizio auto-referenziale e arbitrario del potere pubblico; fino all’estrema conseguenza che, in caso di completa (o quasi) sostituibilità della proprietà privata con government largess, l’individuo si troverebbe nei confronti dello Stato in una situazione non dissimile a quella cui soggiaceva il vassallo rispetto al signore nel sistema feudale. Di modo che la ricchezza sarebbe in ogni caso condizionata in ultima istanza all’adempimento degli obblighi e interessi proprî dello Stato.

(624) Cfr. sul punto S. RODOTÀ, op. ult. cit., 882.

(625) Questo aspetto, ai più sfuggente, si coglie invero da un meno noto lavoro, C.A. REICH, Individual Rights and

Social Welfare: The Emerging Issues, in Yale Law Journal, 1965, vol. 74, 1245 ss.

(626) Nello specific, secondo Reich si possono definire new properties utilità quali: le licenze professionali (Occupational licenses); i franchising (Franchises); redditi e indennità (Income and benefits); sovvenzioni (Subsidies); lavori (Jobs); servizi (Services); contratti (Contracts); i) l’uso di risorse pubbliche (Use of public resources) (cfr. C.A. REICH, The New Property, cit., 734-737).

(627) Il contributo dottrinale italiano senza dubbio più analitico e di recente estrazione è quello di G. RESTA (a cura di),

Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, cit., in cui si ricomprendono tra gli altri: le indicazioni geografiche di qualità;

i nomi a dominio (domain names); i diritti sulle manifestazioni sportive e infine , all’interno della più complessa e affascinante categoria delle utilità incorporali connesse alla cosa, le immagini dei beni, tema sul quale si rimanda a

economica al soggetto cui sono attribuite. Purtuttavia, il minimo comun denominatore costituito

giustappunto dalla loro immaterialità (rectius: non tangibilità) ha inevitabilmente trovato fecondo

terreno nei sistemi di common law, ove impera una declinazione della signoria sul bene molto più

aperta e flessibile, «liquida» (

628

), svincolata dall’approccio tendenzialmente fisicista della

tradizione giuridica continentale (

629

).

All’esito della produzione di Reich, permane latente un problema in merito alla definizione

dei provvedimenti autoritativi pubblici suscettibili di rientrare nel novero delle nuove proprietà; il

che ha portato illustri autori come S. Rodotà ad affermare criticamente che «la tutela [proprietaria]

dovrebbe essere estesa a tutte le situazioni caratterizzate dall'incidenza negativa sulla posizione

patrimoniale dei singoli di una decisione pubblica» (

630

). Si addiviene così al nocciolo della

questione, che risiede nell’oggetto del diritto – o dei diritti – proprietario. Sotto questo profilo,

diversamente da quanto operato a livello domestico da S. Pugliatti (cfr. supra, 1.1), lo studioso

americano non revoca in dubbio l’univocità del modello proprietario di riferimento, anzi

confermandolo; d’altra parte, egli concentra l‘attività interpretativa sui nuovi riferimenti oggettivi

della proprietà, andando ad eroderene la nozione dall’esterno, ponendo piuttosto l’accento sulla

necessità di espandere gli interessi giuridicamente tutelati (

631

).

Concludendo, non si possono sottacere le discrasie esistenti fra la surriportata proposta di

Reich e l’apparato di concetti e istituti tipico dei sistemi continentali come il nostro, in cui gli statuti

idem, 549 ss. e ID., Chi è proprietario delle piramidi? L’immagine dei beni tra property e commons, in Pol. dir., 2009, 567 ss..

(628) Questo il termine a cui ricorre R.C. NOYES, The Institution of Property. A Study of Development, Substance and

Arrangement of the System of Property in Modern Anglo-American Law, Londra, 1936, 265.

(629) Sul punto cfr. supra, 1.2.1.

(630) Cfr. S. RODOTÀ, op. ult. cit., 884.Al contempo, va riportata l’opinione non secondaria di S. CASSESE, Le basi

del diritto amministrativo, Torino, Einaudi, 1989, 339, il quale afferma, con riferimento ai diritti a prestazioni positive

da parte della pubblica amministrazione (c.d. interessi legittimi pretensivi), che i medesimi sarebbero costituiti dall’attribuzione «[…] ai soggetti titolari di autorizzazioni, licenze, ecc. di una tutela non dissimile da quella della proprietà». Sotto questo profilo, calzante è la distinzione che lo stesso Rodotà (op. loc. ult. cit.) propone riguardo alla revoca di una licenza o autorizzazione e l’intervento dello Stato sul mercato obbligazionario. Nel primo caso, sarebbe la revoca o modifica dell’utilità economica incorporata nella licenza, autorizzazione, ecc. – che, come vedremo, nella nostra tradizione giuridica non è sic et simpliciter qualificabile come bene – a determinare il pregiudizio della posizione giuridica soggettiva dell’individuo; nel secondo caso, sono alcuni titoli obbligazionari – incontrovertibilmente qualificabili come beni – il cui valore è alterato da un atto (sia esso legittimo o illegittimo) della pubblica amministrazione. Ebbene, nell’argomentazione di Rodotà, riconducendo entrambe le situazioni al paradigma proprietario, da un lato si esporrebbe la nozione di largess ad eccessiva latezza, dall’altro si andrebbe ad ancorare quest’ultima alle modalità con cui l’intervento pubblico si estrinseca, così non superando il problema «della temuta discrezionalità». Invero, secondo Reich la tutela proprietaria andrebbe circoscritta ai benefici che le largess medesime incorporano; sicché i provvedimenti di cui si deve valutare la legittimità si sostanzierebbero in quelli intesi a revocare tali benefici (ovvero a ridurne la portata sotto l’aspetto qualitativo o quantitativo).

(631) Questa la notazione di A. ZOPPINI, Le “nuove proprietà” nella trasmissione della ricchezza (note a margine della

teoria dei beni), cit. In questo senso, è lapalissiana la circolarità dei percorsi interpretativi adottati nel nostro

ordinamento e in quello statunitense: laddove nel primo si è proceduto a “socializzare” la proprietà, riconoscendogli tale funzione nientemeno che nell’art. 42 della carta costituzionale; mentre nel secondo, una volta decretata la separazione tra proprietà e controllo della ricchezza, si è invece proceduto ad estendere l’influenza proprietaria ai diritti sociali, così “privatizzandoli”.

proprietarî conoscono rigida definizione secondo il principio del numerus clausus (

632

).

Cionondimeno, la prima non va genericamente obliterata da un punto di vista ontologico, nella

misura in cui il punto focale dell’indagine è costituito dall’assetto di interessi tipico dagli Stati c.d. a

democrazia pluralista, rilevando con mirevole lucidità la capacità, insita in questi benefici, di

intaccare – anche sostanzialmente – gli assetti di ricchezza individuale. Nell’epoca del

post-modernismo giuridico e della contrazione del welfare state (

633

), come allorquando il pensiero di

Reich acquisì forma e sostanza, si avverte la necessità di una migliore regolazione delle utilità

derivanti dall’intervento statale. Ciò accade tuttavia per opposte ragioni: da una parte, la

contrazione del ciclo economico pone gli ordinamenti di fronte alla necessità di alleggerire gli oneri

della finanza pubblica, anche “allocando” beni pubblici a privati, in modo tale da consentirne un

utilizzo più efficiente, ovvero ponendoli in una dimensione maggiormente collettivistica (cfr. supra,

1.3); dall’altra, è palmare l’obbligo – crescente – di garantire il corretto funzionamento circa i

meccanismi volti a perseguire interessi pubblici preminenti (

634

), che spesso si basano su quelli che

F. Ferrara ha tempo addietro definito «diritti assoluti di esclusiva» (

635

), strumenti giuridici atti a

garantire al contempo la regolazione più efficace e la discrezionalità minore possibile nei

meccanismi redistributivi delle risorse.

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