Parte II. Oggetto del lavoro: titoli energetici e quote di emissione di gas serra
Capitolo 3. Quote di emissione di gas serra (emissions trading)
3.2. Normativa europea: European Union Emissions Trading System (EU ETS)
3.2.1. Genesi e successive modificazioni
Lo European Union Emission Trading Scheme (di seguito EU ETS) è il più grande mercato di
carbonio a livello globale (
378). Esso rappresenta il principale strumento adottato dall’Unione
Europea per adempiere agli impegni assunti con la sottoscrizione della Convenzione Quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e dell’annesso Protocollo di Kyoto (
379), che impegna
l’Unione stessa a ridurre sensibilmente le emissioni di gas serra rispetto al livello riscontrato nel
1990 (
380).
Volgendo lo sguardo alle dinamiche interne, si può affermare che l’EU ETS sia nato da due
fallimenti dell’Unione (
381): da una parte la mancata introduzione, a fine anni ’90, di una carbon tax
a livello europeo (
382); dall’altra, l’inefficace politica di opposizione all’inclusione dell’emissions
trading fra i meccanismi previsti dallo stesso Protocollo di Kyoto (
383).
Tuttavia, proprio alla luce della preminenza attribuita dall’ordinamento internazionale ai
market-based instruments nella lotta ai cambiamenti climatici, l’Unione si adoperò per
(378) L’EU ETS coinvolge attualmente 31 Paesi (i 28 Stati membri, oltre ai Paesi EFTA), più di 12.000 operatori tra impianti termoelettrici e industriali nel campo della produzione di energia e manifatturiera; esso copre più del 45% delle emissioni di gas serra dell’UE.
(379) Ciò emerge chiaramente da diversi Considerando (nn. 4, 5, 10, 17, 19) alla direttiva 2003/87/Ce, su cui si fonda l’EU ETS. L’UE ha ratificato il Protocollo di Kyoto con la Decisione n. 2002/358/Ce del 25 aprile 2002, in G.U.C.E. del 15 maggio 2002, L 130, 1 ss. Ciononostante, come sottolinea L. MONNI, Il sistema europeo di Emission Trading, in www.ambientediritto.it, 10 dicembre 2006 (disponibile il 3 settembre 2016), il mercato europeo, pur essendo uno strumento attuativo del Protocollo, ne è «sostanzialmente indipendente».
(380) Come già riportato supra, 3.1.2., l’obiettivo stabilito per il primo commitment period di Kyoto corrispondeva per l’UE all’8%; esso è stato poi aggiornato con il Doha Amendment (2012) per il secondo commitment period al 20%. L’Unione ha ratificato il Doha Amendment con la Decisione n. 2015/339 del 13 luglio 2015, in G.U.U.E. del 4 agosto 2015, L 207/1. Ad ogni modo, i medesimi obiettivi concordati a Doha corrispondono a quanto già oggetto di iniziativa da parte dell’Unione alla luce della politica energia-clima approvata dalla Commissione Europea nel 2008 e riveduta dal Consiglio Europeo nel 2014.
(381) Così nota F. CONVERY, Origins and Development of the EU ETS, in Environmental and Resource Economics, 2009, vol. 43, 392 e in A.D. ELLERMAN – F. CONVERY – C. DE PERTHUIS (a cura di), Pricing Carbon: the
European Union Emissions Trading Scheme, cit., 9.
(382) Come rimarca J. WETTESTAD, The Making of the 2003 EU Emissions Trading Directive: An Ultra-Quick
Process due to Entrepreneurial Efficiency, in Global Environmental Politics, 2005, vol. 5, n. 1, 1-8, il principale motivo
che portò all’abbandono circa un progetto di carbon tax nell’Unione – osteggiato soprattutto da Spagna e Regno Unito – era legato al timore che analoghe misure non venissero attuate anche in altri Paesi come gli Stati Uniti o il Giappone, sì da minare la competitività delle imprese europee.
(383) L’atteggiamento dell’UE rispetto al mercato di gas serra – fortemente voluto invece dagli Stati Uniti – conobbe un radicale e repentino mutamento nell’ambito delle negoziazioni pre-Kyoto. I motivi furono plurimi, e vengono analizzati in maniera critica e puntuale da G.H. KELLY, Re-Evaluating The Origins of the European Union’s Emissions Trading
Scheme: The Europeanisation of Emissions Trading, cit., 93 ss.; in particolare, forte influenza sulle scelte operate
dall’Unione ebbero senza dubbio la decisione da parte di grandi imprese operanti nel settore dell’energia (BP e Royal Dutch Shell) di costituire, a fine anni novanta, sistemi interni di trading per le emissioni di gas serra. Sul punto v. per tutti B. POZZO (a cura di), op. ult. cit., 108-113 e C. FISHER, International Emissions Trading Design and Tax
l’introduzione nel Protocollo di un’esplicita previsione, la quale consentisse di aggregare gli
obiettivi stabiliti per ogni Stato membro – all’epoca 15 – in un unico cap a livello regionale (
384).
Ciò permise dunque di procedere all’elaborazione circa una complessa normativa di diritto derivato,
la direttiva 2003/87/Ce (
385), volta a costituire un mercato unico su scala europea, compatibile con
quelli già implementati in alcuni Stati membri (
386).
Le premesse per l’elaborazione della direttiva furono poste, come usuale, mediante documenti
non vincolanti (
387). Tra questi, particolare importanza ha ricoperto il Libro Verde sullo scambio di
quote di emissione di gas serra del 2000 (
388) il quale, pur lasciando aperte numerose questioni in
merito all’articolazione del mercato, individuava almeno due aspetti fondamentali: l’idea di uno
schema onnicomprensivo a livello comunitario, che includesse anche e soprattutto le imprese
private (
389); un approccio graduale, nell’ottica di addivenire a un perfetto allineamento con la
normativa internazionale, tanto con riferimento ai gas serra inclusi nel mercato, quanto all’orizzonte
temporale di validità delle quote commerciabili (
390).
(384) Questa è la c.d. Kyoto bubble, prevista dall’art. 4, par. 1 del Protocollo. In virtù di tale previsione, gli Stati Membri dell’Unione hanno concordato un obiettivo eguale di riduzione, poi ripartito a livello interno sulla base della Decisione
Burden Sharing del 16-17 giugno 1998 (Documento 9702/1998 del 19 giugno 1998 del Consiglio dell’Unione
Europea), divenuta vincolante con la sua inclusione nell’All. II alla decisione n.2002/358/Ce di ratifica del Protocollo di Kyoto da parte dell’UE. Tale accordo è stato superato con l’adozione della politica europea energia-clima, fondata su un unico target a livello sovranazionale, inizialmente pari al 20% in meno di emissioni rispetto ai livelli del 1990 e da ultimo rivisto al rialzo (40%) entro il 2030. Sul Burden Sharing Agreement cfr. per tutti J. LEFEVERE, The EU
Greenhouse Gas Emission Allowance Trading Scheme, in F. YAMIN (a cura di), Climate Change and Carbon Markets: A Handbook of Emission Reduction Mechanisms, Londra, Earthscan, 2005, 77-81 e la bibliografia acclusa.
(385) Direttiva 2003/87/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003, in G.U.C.E. del 25 ottobre 2003, L 275, 32 ss..
(386) La Danimarca (1999) e il Regno Unito (2000) si erano infatti già dotati di ETS domestici, i quali vennero dunque abbandonati rispettivamente nel 2005 e nel 2007 (cfr. sul punto B. POZZO (a cura di), op. ult. cit., 128-148 e, per il sistema britannico il particolare, V. JACOMETTI, op. ult. cit., 283-317).Per completezza, va segnalato che gli Stati membri dell’Unione Europea sono altresì vincolati dalla Effort Sharing decision (Decisione n. 2009/406/Ce, in
G.U.C.E. del 5 giugno 2009, L 140, 136-148), che stabilisce limiti annuali alle emissioni di gas serra anche – e
soprattutto – per i settori non coperti dall’EU ETS per il periodo 2013-2020, nell’ottica di conformarsi agli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto. Il raggiungimento di tali obiettivi, tuttavia, è rimesso all’adozione di politiche e misure nazionali.
(387) Per un riassunto schematico ma efficace dell’intero percorso di elaborazione della direttiva, anche con riferimento all’evoluzione internazionale sul clima, v. A.D. ELLERMAN – F. CONVERY – C. DE PERTHUIS (a cura di), op. cit., 329-334. Per un’analisi condotta in relazione all’evoluzione della policy climatica europea s.v. l’interessante disamina di J.B. SKÆRSETH – J. WETTESTAD, EU Emissions Trading: Initiation, Decision-making and Implementation, Burlington, Ashgate, 2008, in particolare 11-34.
(388) COM (2000) 87 def. Il Libro Verde è stato influenzato, come nota sempre F. CONVERY, op. ult. cit., 21, da diversi documenti tecnici, tra cui soprattutto lo studio condotto dal CENTER FOR CLEAN AIR POLICY, Design of a
Practical Approach to Greenhouse Gas Emissions Trading Combined with Policies and Measures in the EC,
Washington D.C., Center for Clean Air Policy, 1999, al link http://ccap.org/assets/Design-of-a-Practical-Approach-to-Greenhouse-Gas-Emission-Trading-Combined-with-Policies-and-Measures-in-the-EC_CCAP-November-1999.pdf (disponibile il 1 settembre 2016), istituto le cui elaborazioni si erano già rivelate fondamentali per lo sviluppo dei primi mercati di emissions trading statunitensi. Per un focus puntuale sulle iniziative correlate a livello europeo cfr. invece V. JACOMETTI, Lo scambio di quote di emissione. Analisi di un nuovo strumento di tutela ambientale in prospettiva
comparatistica, cit., 171-183.
(389) V. il punto 4.9 del Libro Verde.
(390) Il Libro Verde parla di un approccio learning-by-doing; tale espressione diverrà il vero manifesto dell’EU ETS, soprattutto nell’ambito delle prime due fasi.
A quest’ultimo fine in particolare, il sistema si articola in diverse fasi (phases), analogamente
a quello delineato dal Protocollo di Kyoto.
La prima fase – detta anche periodo pilota – triennale (1 gennaio 2005-31 dicembre 2007), ha
rappresentato un periodo dedicato ad “acquisire esperienza” nell’ambito dell’emissions trading,
senza imporre alcun obiettivo vincolante in capo agli Stati membri (
391). L’obiettivo perseguito era
soprattutto quello di raccogliere informazioni e dati sui settori economici da includere nel mercato,
sull’andamento dei prezzi, nonché sulla procedura di monitoraggio e controllo, al fine di
determinare al meglio i caps di emissioni nazionali per la seconda fase. Dal 2004 va segnalata
l’introduzione – sempre in via sperimentale – del collegamento con i meccanismi flessibili di Kyoto
CDM e JI (
392).
La seconda fase, quinquennale (1 gennaio 2008 – 31 dicembre 2012), corrispondente al primo
commitment period di Kyoto, ha costituito il primo impegno concreto per la normativa europea, in
cui si è cercato di stabilizzare il quantitativo di quote, agendo sulla base dei livelli di emissione
riscontrati durante la prima fase. Tale periodo è caratterizzato dall’ampiamento circa il numero di
Stati obbligati e dalla maggiore rigidità delle regole in materia di allocazione delle quote e
determinazione dei cap a livello nazionale (
393).
La terza fase, corrispondente al secondo commitment period di Kyoto (1 gennaio 2013 – 31
dicembre 2020), si distingue da una parte per il rafforzamento e l’estensione del sistema,
individuato come elemento centrale nella del Pacchetto UE energia-clima 2020, dall’altra per un
notevole accentramento dello stesso, mediante la definizione di un unico cap a livello europeo,
anziché una pluralità di essi a livello nazionale (
394).
(391) Richiamando le parole della Commissione contenute nella proposta di direttiva COM (2001) 581 def., in G.U.C.E. del 26 marzo 2002, C 75 E, 33 ss., «[…] In this preliminary phase, the Commission believes that the Community would
greatly benefit from experience of greenhouse gas emissions trading, so that it is prepared for the commencement of international emissions trading under the Kyoto Protocol that will begin in 2008. The present proposal recognises, however, that during the preliminary phase from 2005 to the end of 2007, there are no legally binding targets limiting the emissions of greenhouse gases of Member States».
(392) Questo avvenne ad opera della c.d. Linking Directive (dir. n. 2004/101/Ce del 27 ottobre 2004, in G.U.C.E. del 13 novembre 2004, L 338, 18 ss.), su cui si dirà meglio infra, par. succ. Sulla prima fase dell’EU ETS si concentra l’approfondita analisi di A.D. ELLERMAN – F. CONVERY – C. DE PERTHUIS (a cura di), op. cit.; sul punto cfr. inoltre V. JACOMETTI, La direttiva emissions trading e la sua attuazione in Italia: alcune osservazioni critiche al
termine della prima fase, in Riv. Giur. Amb., 2008, n. 2, 273 ss. e G. GOLINI, Il sistema comunitario di quote di emissione: valutazione della prima fase e prospettive, in Amb. & Svil., 2008, 7, 647 ss.
(393) Oltre ai 25 Stati membri inizialmente coinvolti, infatti, vengono aggiunti la Romania, la Bulgaria e i paesi EFTA – Norvegia, Lichtenstein e Islanda – per arrivare a un totale di 30. La Svizzera, invece, ha adottato dal 1 gennaio 2008 un mercato interno autonomo (lo Swiss ETS), il cui collegamento con l’EU ETS è stao a lungo oggetto di negoziazione e diverrà operativo a far data dal 1 dicembre 2019. Sul sistema svizzero si rimanda allo studio condotto dall’Environmental Defense Fund (EDF) e dall’International Emissions Trading Association (IETA), Switzerland: An
Emissions Trading Case Study, al link
http://www.ieta.org/resources/Resources/Case_Studies_Worlds_Carbon_Markets/switzerland_case_study_may2015.pdf (disponibile il 5 settembre 2016).
(394) Le regole per il terzo periodo sono state definite dalla già citata dir. n. 2009/29/Ce, detta anche Amending