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Intangible property e beni immateriali: un possibile parallelismo

Parte III. Nuove oggettività giuridiche

Capitolo 2. Nuove frontiere mobili della proprietà

2.2. Intangible property e beni immateriali: un possibile parallelismo

Considerazioni interessanti dal punto di vista comparatistico si possono ricavare volgendo

quindi lo sguardo ai sistemi di common law, ove l’immaterialità rappresenta un profilo affatto

neutrale rispetto alla definizione dell’oggetto di proprietà.

(632) Seppure con chiare e distinguibili tendenze erosive: cfr. supra, 1.2.

(633) I fenomeni che indirizzano in maniera siginificativa le dinamiche regolatorie di mercato odierne, per quanto strettamente attinente alle questioni in discorso, sono essenzialmente due. Da una parte, la conclamata crisi del welfare

state come tradizionalmente inteso, che ha portato – anche sotto l’influsso della teoria neoliberalista – a una riscoperta

della disciplina generale sugli atti di autonomia privata; disciplina la quale si è tuttavia di per sé rivelata foriera di disfunzionalità operativa con riguardo ai mercati, poiché incapace di fungere da contrappunto alla contestuale crescita dell’asimmetria informativa fra le parti, alla puntigliosa specificazione che ha contraddistinto la produzione di beni e servizi nei vari segmenti del mercato, nonché alla proliferazione della negoziazione di massa (cfr. A. IANNARELLI,

Dall’età delle regole all’età dei principi e oltre? Problemi e paradossi del diritto privato post-moderno, cit.,

1003-1004). Dall’altra, il palese ridimensionamento della figura dello Stato quale soggetto protagonista attivo delle dinamiche economiche e di mercato, che ha sdoganato la libera iniziativa privata, generando tuttavia altresì una politica del diritto volta alla regulation (cfr. sul punto, con riferimento all’azione amministrativa, l’analisi di S. CASSESE, Le droit tout puissant et unique de la Société. Paradossi del diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, 879 ss.). (634) In questo senso, con riferimento espresso ai mercati in senso lato, si assiste alla rivisitazione in chiave fortemente critica dell’esperienza di de-regulation che ha contrassegnato il periodo antecedente la crisi economico-finanziaria del 2008, verso l’approdo al c.d. Regulatory-Capitalism, il cui obiettivo dichiarato è quello di rimuovere ogni ostacolo alla competitività dei mercati, attuata in nuce mediante l’apparato di norme volto a tutelare il c.d. contraente debole. Sul punto cfr. J. BRAITHWAITE, Regulatory Capitalism: How it Works, Ideas for Making it Work Better, Edward Elgar, Cheltenham, 2008 e D. LEVI-FAUR, The Global Diffusion of Regulatory Capitalism, in The Annals of American

Academy of Political and Social Sciences, 2005, vol. 598, 12-32.

(635) Cfr. F. FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, Napoli, ESI, 1987, 360 ss., il quale ulteriormente suddivide quest’ultimi fra: diritti reali; diritti su beni immateriali; diritti di monopolio, laddove quest’ultimi, anziché conferire un potere su una cosa individuata, darebbe«la facoltà di impedire ad altri di possedere o sfruttare beni simili a quelli del monopolizzatore», così configurandosi piuttosto come un privilegio, rispetto all’attività o al bene cui si avrebbe diritto.

Come già posto in evidenza da G. Pugliese, le radici comuni alla nozione di property vanno

individuate nelle distinzione gaiana fra res corporales e res incorporales (

636

).

Dalla succitata distinzione fondamentale si sarebbero poi sviluppate, mediante la

fondamentale opera di H. Bracton – considerato, a ragion veduta, come il tramite più autorevole tra

il diritto romano giustinianeo e le regole consuetudinarie riconosciute o importate in Inghilterra, di

provenienza Normanna (

637

) – le distinzioni fra real e personal property, cui si sono accompagnate

in prospettiva rimediale rispettivamente la actio in rem e la actio in personam (

638

).

È in quest’ultima categoria che a sua volta è andata a confluire l’evoluzione interpretativa

legata ai beni immateriali, inquadrati nella tassonomia di law of property quali choses o things in

action (

639

). Il riferimento all’azione è lapalissiano: la tutela dell’immaterialità è riflesso particolare

di un sistema che si è consolidato non tanto sulla tipicità del diritto, quanto sulla predisposizione di

talune garanzie procedimentali in capo al titolare di una situazione di appartenenza (

640

).

(636) Il riferimento è al fondamentale G. PUGLIESE, Dalle res incorporales del diritto romano ai beni immateriali di

alcuni sistemi giuridici odierni, cit.. In particolare, secondo l’A. la nozione di property deriverebbe da uno specifico

passaggio delle Instititutiones (2, 12-14): «[Q]uaedam praeterea res corporales sunt, quedam incorporales. Corporales hae sunt quae tangi possunt, veluti fundus, homo, vestis, aurum, argentum, et denique aliae res innumerabiles. Incorporales hae sunt quae tangi non possunt: qualia sunt ea quae iure consistunt, sicut hereditas, usufructus, obligationes quoquo modo contractae. Nec ad rem pertinet, quod in hereditate res corporales continentur: nam et fructus, qui ex fundo percipiuntur, corporales sunt, et id quod ex aliqua obligatione nobis debetur, plerumque corporale est, veluti fundus, homo, pecunia: nam ipsum ius successionis, et ipsum ius utendi fruendi, et ipsum ius obligationis incorporale est. Eodem numero sunt iura praediorum urbanorum et rustico rum» (Idem, 1189 ss.).

(637) A riprova viene sovente citato il De legibus et consuetudinibus Angliae, nel quale Bracton menziona proprio la

secunda divisio rerum gaiana tra res corporales e incorporales, includendo tra queste ultime «hereditas, ususfructus,

advocationes ecclesiarum, obligationes et actiones». All’elenco di Gaio vengono quindi aggiunte le advocationes

ecclesiarum (diritto dei lords di imporre un proprio candidato ad una data carica ecclesiastica), ma soprattutto le actiones, che determineranno la scomposizione dell'elenco di Bracton nelle due categorie della property venutesi a

creare nei sistemi di common law.

(638) Come sottolineato puntualmente da A. CANDIAN – A. GAMBARO – B. POZZO, Property, Propriété, Eigentum, cit., 43, tale dicotomia rappresenta emblematico precipitato dell’ottica rimediale attaverso cui storicamente si è andata evolvendo la tassonomia proprietaria nel diritto angloamericano. Secondo questa impostazione, l’opera di estensione in via analogica from case to case si relaziona non al potere di disposizione, ma in rapporto all’esistenza di rimedi recuperatori o risarcitori e alla loro disponibilità da parte del titolare. Tuttavia, queste linee evolutive hanno nel tempo perduto l’originaria vitalità, sia per cambiamenti radicali a livello istituzionale – come l’abolizione delle forms of action – sia per lo stesso mutamento di prospettiva da parte dei giuristi anglosassoni – e in particolare quelli americani – i quali tendono sempre più a privilegiare la prospettiva sostanziale. Talché il concetto giuridico di real property andrebbe progressivamente a ricomprendere la proprietà sui beni immobili, mentre quello di personal property si avvicinerebbe alla proprietà mobiliare.

(639) Questi originano dalla primegenea distinzione fra chattels real, cui si riconduce la real property e quindi la figura soggettiva del leasehold e chattels personal, invece collegata alle situazioni di appartenenza su beni mobili. I chattels

personal a loro volta si suddividono in: choses in possession, ossia le cose che sono riferimento di situazioni giuridiche

possessorie e alle quali pertengono tratti di tangibilità; choses in action, ossia quei beni che possono trovare tutela solo mediante specifiche azioni in giudizio (actions), proprio in quanto prive del carattere della materialità. Con l’ulteriore specificazione che nel tempo l’ultima categoria menzionata ha conosciuto notevole ampliamento nella misura in cui è andata a ricomprendere alcune categorie di crediti, fino a estendersi anche a molti degli strumenti introdotti dai mercati finanziari.

(640) In particolare, il primo bene considerato chose in action sarebbe stato il credito contrattuale di denaro, in uno con la

action of debt che ne consentiva la tutela; di modo che in common law la nozione di property non sarebbe riferibile

soltanto alla proprietà e ai diritti reali, avendo bensì valore molto più ampio, in quanto «indica in modo ambi- o poli-valente, sia i diritti patrimoniali, si ai beni che ne sono oggetto» (cfr. G. PUGLIESE, op. ult. cit., 1191). In seguito la nozione venne estesa anche a diritti di credito di fonte non contrattuale, nonché – nel XV Secolo – dei negotiable

I differenti regimi circolatori riconosciuti nell’ambito della categoria in discorso hanno

dunque sospinto all’ulteriore considerazione che solo ad alcune di tali entità sarebbe a tutti gli

effetti attibuibile il carattere di incorporeal chattel (o incorporeal property) (

641

).

È possibile quindi inferire come nella tradizione di common law non sia indifferente il grado

di autonomia riconosciuto a queste utilità, giacché da quest’ultima discende l’enucleazione circa

una relazione di appartenenza mediante una forma di esclusiva.

Sotto questo profilo, va denotata la forte spinta del formante giurisprudenziale verso

l‘inclusione di una serie di strumenti caratterizzati da funzione spiccatamente regolatoria nel

paradigma proprietario, e in particolare in quello delle intangible properties (

642

). Ciò è accaduto

con riferimento a fattispecie eterogenee, quali: le licenze di gestione dei rifiuti; le quote latte; le

licenze di pesca. In posizione di rilievo assoluto si pongono però quelle aventi ad oggetto

specificamente le quote di emissione (EU EUA) e i Renewable Energy Certificates (RECs) (

643

).

La questione relativa alla natura giuridica delle quote di emissione si è posta nel caso

Armstrong DLW GmbH v. Winnington Networks Ltd, deciso dalla Chancery Divison della High

Court of Justice (

644

). La decisione aveva a riguardo un caso di furto informatico (phishing) circa un

ingente numero di quote, le quali sono state quindi trasferite nel registro ufficiale della società

convenuta senza l’effettivo consenso del dante causa (

645

).

In via prodromica rispetto all’accertamento circa l’effettiva presenza di un acquisto in buona

fede da parte dell’acquirente, la Corte ha dunque risolto positivamente il fondamentale dubbio circa

la possibilità di considerare le quote come oggetto di property in common law (

646

). Tale

(641) Per lungo tempo le choses in action furono accomunate dal carattere di non trasferibilità inter vivos (assignment), salvo l’operatività di rimedi in tal senso concess dalla giurisprudenza di equity. Successivamente, la Section 136 della

Law of Property 1925, ne ammise statutariamente la trasferibilità, seppure vincolata – a differenza delle choses in possession – all’esistenza di specifiche dichiarazioni e/o registrazioni.

(642) Un efficace rappresentazione di queste tendenze evolutive è fornita da A. HEDGES, Carbon Units as Property:

Guidance from Anlogous Common Law Cases, in CCLR, 2016, n. 3, 190-200. Per un’analisi della casistica si rimanda

altresì a K. ANTTONEN – M. MEHLING – K. UPSTON-HOOPER, Breathing Life into the Carbon Markets: Legal

Frameworks of Emissions Trading in Europe, in European Energy and Environmental Law Review, 2007, vol. 16, n. 4,

96-115.

(643) Analogamente a quanto avvenuto per i C.V. nel nostro ordinamento, anche il Regno Unito ha introdotto – con lo

Utilities Act 2000, poi modificato dal Renewable Obligation Order 2009 – l’obbligo (dal 2002) per i produttori e

fornitori di energia di garantire la provenienza di una certa percentuale da fonti rinnovabili (c.d. Renewables Obligation, RO), prevedendo un sistema di Renewable Obligation Certificates (ROC), o Renewable Energy Certificates (RECs). I certificati vengono emessi dall’autorità competente (Ofgem).

(644) Armstrong DLW Gmbh v. Winnington Networks Ltd [2012] EWHC 10 (Ch), [2013] Ch 56. Per un commento approfondito della decisione si rimanda a K. LOW – J. LIN, Carbon Credits As EU Like It: Property, Immunity,

TragiCO2medy?, in JEL, 2015, vol. 27, n. 3, 377-404.

(645) Nello specifico, un soggetto – successivamente non identificato, in quanto non è stato possibile risalire alle transazioni successivamente compiute con riferimento alle somme incassate dal trasferimento delle quote – è riuscito ad avere accesso all’account informatico della società attrice, permettendo così il trasferimento di circa 21.000 quote EUA sul conto della società convenuta, la quale ha poi proceduto a rivendere le quote ottenute, ottenendo una plusvalenza. (646) Questa era peraltro opinione condivisa anche da entrambe le parti, le quali dibattevano piuttosto sulla caratterizzazione specifica come chose in possession o chose in action (Armstrong GmbH) oppure una diversa forma di intangible property (Winnington Ltd.). In particolare, oggetto della domanda attorea era un’azione restitutoria in

valutazione si è basata in astratto sulla riconosciuta compresenza di tre elementi: un fascio di

prerogative proprietarie in capo al titolare (

647

); la trasferibilità delle quote; un chiaro valore di

mercato (

648

).

Argomentando sulla base di una serie di precedenti aventi ad oggetto altri strumenti

immateriali di dubbia collocazione nella law of property, la High Court perviene alla conclusione

che le EUA:

 pur racchiudendo talune caratteristiche fondamentali delle choses in possession non

vanno tuttavia considerate tali, ostando a tale qualificazione la possibilità di equiparare

entità ontologicamente collegate alla forma elettronica rispetto a quelle dotate di

materialità;

 sono pertanto classificabili in termini generali come intangible property,

indifferentemente riconducibili alla categoria delle choses in action o di other

intangible property (

649

);

 costituiscono un’entità assoggettabile a trust, e sulla quale può quindi insistere anche

una posizione soggettiva di equitable ownership.

Di conseguenza, sono stati riconosciuti all’attrice tanto un rimedio di natura restitutoria in

common law – attesa l’impossibilità per il convenuto di determinare la buona fede nell’acquisto

delle quote (

650

) – quanto un rimedio in equity, giacché la convenuta avrebbe consapevolmente

acquisito a non domino una proprietà costituita in trust da parte del terzo protagonista della frode ai

danni dell’attrice.

common law, basate rispettivamente: sul carattere di acquisto a non domino, ovvero sull’ingiustificato arricchimento da parte del convenuto.

(647) Secondo la Corte, si badi bene, le quote non costituiscono «[…] a right (in the Hohfeldian sense) to which there is a correlative obligation vested in another person», nondimeno sarebbero: «[…] definable, as being the sum of the total rights and entitlements conferred on the holder pursuant to the ETS. […] identifiable by third parties; […] capable of assumption by third parties» (Armstrong DLW GmbH v. Winnington Networks Ltd, cit., p. 48 e 50).

(648) Id., p. 49-50. In questo senso, la Corte applica il test già operato dal Morritt LJ in occasione dell’importante precedente In re Celtic Extraction (Celtic Extraction Ltd and Bluestone Chemicals v Environment Agency, [2001] Ch. 475), secondo il quale elementi determinanti per attribuire caratteristiche proprietarie a un atto di natura concessoria (permission) o derogatoria (exemption from a prohibition or fine), sono costituiti da: «a statutory framework conferring an entitlement on one who satisfies certain conditions even tough there is some element of discretion exercisable within that framework»; la trasferibilità della situazione giuridica soggettiva costituita con il provvedimento («the exemption must be transferable»); l’incorporazione circa un valore economico («the exemption will have value»). Cfr. Id., p. 56. Prospetta un’applicazione analogica della ratio sottesa alla decisione in discorso rispetto alle quote di emissione V. JACOMETTI, op. ult. cit., 325-326.

(649) Il principio è stato peraltro ribadito in un caso di poco successivo, Deutsche Bank AG v Total Global Steel Ltd., High Court of Justice Queen’s Bench Division Commerial Court, 11 maggio 2012, [2012] EWHC 1201 (Comm.), in cui si è aggiunto che, pur non applicandosi alle quote – in particolare, ai CERs – il regime generale sulla vendita di cui allo

Sale of Goods Act 1979, sarebbe nondimeno operante la disciplina sulla garanzia di cui alla Section 53 (3) del

medesimo (par. 129).

(650) Viene invece respinta la domanda di azione restitutoria basata sull’ingiustificato arricchimento, poiché non vi sarebbe un contatto diretto fra la società attrice alienante e quella convenuta acquirente (cfr. par. 94 ss. della decisione).

Per quanto riguarda i RECs, sia la High Court che la Court of Appeal (

651

) hanno invece

riconosciuto nel caso di specie la tutela proprietaria al soggetto titolare del diritto a vedersi

riconosciuti i certificati da parte dell’autorità pubblica competente (l’Ofgem) sulla base di

un’interpretazione estensiva del diritto di proprietà come riconosciuto dall’art. 1, prot. 1 CEDU

(

652

).

Si possono dunque profilare alcuni elementi di contatto importanti, da cui trarre importanti

elementi ricostruttivi.

In termini assiologici, va dato credito a chi afferma che «non esistono cose oggettivamente

appropriabili e cose oggettivamente inappropriabili in senso assoluto», ma al più «cose di cui è più

facile, in linea di fatto, riservare l’uso e il godimento a un singolo soggetto, escludendone gli altri, e

cose rispetto a cui tale riserva e la corrispondente esclusione sono, sempre in linea di fatto, più

difficili» (

653

). In common law, le differenze fra la titolarità di una cosa corporale e una incorporale

non hanno mai costituito oggetto di dibattito al di fuori dell’entroterra proprietario, semmai

fungendo da elemento di scansione classificatoria interna (

654

). Nei sistemi di civil law, per contro,

ha tradizionalmente imperato il concetto di signoria in capo a un determinato soggetto su una cosa:

ius in re corporalis – nonché, all’esito dell’opera ermeneutica dottrinale, incorporalis – perfecte

disponendi (

655

).

Sennonché questa distinzione entra drasticamente in crisi di fronte a nuove utilità, rispetto alle

quali si accentua il fenomeno di conformazione circa la posizione proprietaria – e dunque anche

dello stesso ius excludendi – rispetto alla natura del bene che ne rappresenta l’oggetto (

656

).

La creazione di mercati artificiali come quelli dell’emissions trading o dei titoli energetici nei

sistemi giuridici europei continentali sottende all’apposizione di limiti espliciti ai poteri proprietari,

i quali non sono più desumibili naturaliter della medesima situazione giuridica soggettiva

(651) Ci si riferisce alle decisioni: Infinis Plc and another v The Gas and Electricity Market Authority, High Court of Justice Queen’s Bench Division Administrative Court, 10 agosto 2011, [2011] EWHC 1873 (Admin.) e Id., Court of Appeal, 12 febbraio 2013, [2013] EWCA Civ. 70.

(652) Secondo la High Court, «the Authority’s decision […] was an unlawful decision and its consequence was to deny the claimants pecuniary benefit to which they were statutory entitled, it follows, in my judgment, that there has been a breach of the claimants’ right to property under article 1 of the First Protocol of the European Convention of Human Rights» (p. 103). Talché «[T]hough acting in good faith, the Authority misapplied the statutory scheme, and the claimants were unlawfully denied that to which they were statutorily entitled. Their rights under article 1 of the First Protocol were thus breached» (p. 106); da ciò facendo inoltre derivare un risarcimento di natura pecuniaria a titolo di equa compensazione per il pregiudizio subito. Sull’evoluzione interpretativa e applicativa dell’art. 1, prot. 1 CEDU si riamnda al paragrafo successivo.

(653) Così G. PUGLIESE, op. ult. cit., 1181.

(654) Come sottolineano A. CANDIAN – A. GAMBARO – B. POZZO, op. cit., 93, questo avviene principalmente poiché nei sistemi di common law l’intensità con cui si affronta la questione attinente ai poteri proprietari è decisamente inferiore rispetto a quelli di tradizione romanistica, laddove non si contempla la proprietà come una signoria assoluta su una cosa (corporale o incorporale), ma su diritti di natura economica.

(655) Ibid.

(656) Cfr. sul punto D. MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, cit., 71, secondo il quale la materialità – e l’immaterialità – determinano il contenuto del fenomeno giuridico.

dominicale (

657

). Si nota quindi per un certo verso un avvicinamento rispetto alle fattispecie

caratterizzanti gli assetti proprietari di common law ove, ragionando precipuamente in termini di

appartenenza, i diritti su una determinata entità sono di per sé conformati e, di riflesso, i relativi

limiti sono deducibili in via diretta dalla loro natura giuridica (

658

).

In questo senso, si può arguire che il mondo dell’immateriale – in cui trovano perfetta

collocazione le quote di emissione e i titoli energetici – rappresenta un florido campo aperto dove

elaborare, giusto il ricorso a un plausibile modello teorico e ad un’efficace sua implementazione

mediante la law in action, una forma di appropriazione e appartenenza idonea a entità nuove, in

larga parte sovrapponibile al sopra tratteggiato modello di common law. Si delinea in tal modo un

quadro di maggiore coerenza alla luce della forza espansiva giocata dall’opera interpretativa circa la

nozione del diritto fondamentale di proprietà a livello sovranazionale, che non casualmente

individua nella nozione di property e nell’immaterialità elementi di rilievo primario (

659

).

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