Parte IV. Natura giuridica dei titoli energetici e delle quote di emissione di gas serra
Capitolo 1. L’emersione della proprietà funzionale
1.2. La definitiva crisi della materialità nel contesto del diritto privato regolatorio
Come detto poc’anzi, l’estremo soggettivo della situazione giuridica che su cui si concentra la
presente trattazione emerge da uno sforzo palingenetico del paradigma proprietario volto
all’accantonamento circa la dimensione individualistica tradizionalmente accolta dal modello
borghese ottocentesco – di riflesso, dal Code Civil del 1804 e da tutta la produzione normativa ad
esso informata – per far spazio a una nuova concezione, ove la dicotomia Stato-persona viene
sottoposta a una considerevole rivisitazione critica, nell’ottica di utilizzare gli strumenti di diritto
privato onde perseguire finalità socialmente rilevanti (
776).
Ebbene, uno dei connotati essenziali a cui si accompagna il modello proprietario cui si è fatto
cenno è il definitivo accoglimento circa l’immaterialità del riferimento oggettivo della situazione
giuridica patrimoniale.
Sotto questo profilo, pur mantenendo ben saldo come punto di riferimento la fondamentale
distinzione tra iura in rem e iura in personam, va comunque preso atto che il diritto soggettivo in
generale sta andando perdendo ogni giustificazione razionale al di fuori di un’attività di
riconduzione della legge al sistema, che però conosce a sua volta forte influenza da parte
dell’assetto legislativo vigente (
777). Non tutti i beni giuridici odierni sono identificabili con
l’oggetto di diritti soggettivi, giacché si possono rinvenire fattispecie di rilevanza obiettiva non
dirette al singolo proprietario, bensì a una pletora di soggetti suscettibili di trovarsi in una situazione
giuridicamente rilevante avente ad oggetto un determinato bene.
(775) In questo senso, dunque, la funzione attribuita alla proprietà si attaglierebbe più specificamente all’individuazione di regole circa quello che i proprietari o gli altri soggetti eventualmente titolari di situazioni giuridiche soggettive collegate a quella proprietaria si aspetterebbero di ricevere dallo sfruttamento di un particolare bene o risorsa. Invero, l’idea della proprietà in termini di aspettativa era già stata ipotizzata da J. BENTHAM, Theory of legislation, vol. 1, 1914, 145, il quale, oltre a legare inscindibilmente la nozione di proprietà alle sue origini giuridiche, afferma come «property is nothing more than the basis of a certain expectation; namely, the expectation of deriving hereafter certain avantages from a thing (which we are already said to possess) by reason of the relation in which we stand towards it». Cfr. sul punto anche A.A. ALCHIAN – W.R. ALLEN, Exchange and Production: Theory in Use, Belmont (CA), Wadsworth, 1969, spec. 158 ss..
(776) Cfr. A. ZOPPINI, op. ult. cit., 515.
Da qui l’accresciuta rilevanza, conferita proprio nell’ambito della tutela circa interessi
superiori di carattere generale o diffuso, a una nozione di bene i cui contorni prevaricano i confini
tradizionali delle cose materiali(
778).
Sicché l’analisi dell’ontologia risulta essenziale per determinare il contenuto preciso del
diritto di proprietà (
779), dato che l’ambito dell’esercizio del medesimo è senza dubbio segnata nei
suoi limiti dalla natura giuridica del bene cui si riferisce (
780).
È innegabile che un vivo dibattito si sia sviluppato circa una possibile prevaricazione del
silenzio legislativo a fronte dell’incessante emersione di nuove utilità, spesso connotate da un –
anche considerevole – valore patrimoniale (
781). In particolare, si è sottolineato che l’individuazione
di una data entità come oggetto della tutela giuridica (formale) avverrebbe in funzione dell’utile e
dell’interesse (sostanziale) del soggetto (
782). Epifanica in tal senso è la proposta della Commissione
Rodotà, che intende modificare l’art. 810 cod. civ., includendo espressamente le entità immateriali
fra i beni giuridici tutelati dall’ordinamento (
783). Siffatte utilità possono afferire all’impiego di
risorse del mondo esterno, come ad esempio le reti telematiche, ovvero alla proprietà intellettuale e
industriale, l’immagine (
784), fino a tangere la sfera più intima dell’individuo, come le sue
informazioni genetiche (
785).
La proprietà funzionale cui si è fatto cenno in precedenza invero postula il ricorso a entità di
tipo immateriale. Dal punto di vista economico, ciò si deduce dalla necessità di dare vita a quelle
definite in gergo come risorse ad uso rivale, rispetto alle quali l’accesso è acconsentito solo a un
(778) Questo l’acuto rilievo di P. D’ADDINO SERRAVALLE, I nuovi beni e il processo di oggettivizzazione giuridica.
Profili sistematici, Napoli, ESI, 1999, 24-25.
(779) Cfr. quanto già rilevato supra, p. III, 1.
(780) Così conclude R. FERORELLI, Le reti dei beni nel sistema dei diritti. Teoria e prassi delle nuove risorse
immateriali, Bari, Cacucci, 2006, 147, soggiungendo che tale procedimento assume rilevanza altresì al fine di
individuare l’interesse tutelato dal diritto dominicale; interesse che a sua volta distingue la fattispecie proprietaria da quella possessoria, permettendo dunque una qualificazione aprioristica del medesimo diritto di proprietà. Sul punto cfr. inoltre M. COSTANTINO, I beni in generale, cit., 55 ss..
(781) Cfr. sul punto T. REVET, Les nouveaux biens – Rapport français, in AA.VV., La propriété-Journées
vietnamiennes, Travaux de L’association Henri Capitant, vol. LIII, Parigi, 2003, 271 ss., spec. 284. Una tassonomia
esaustiva è altresì contenuta in L. FRANCARIO, op. cit., 8 ss. e, sebbene mediante un approccio maggiormente manualistico, in A. BELLELI – A.G. CIANCI, Beni e situazioni giuridiche di appartenenza. Tra diritti reali e new properties, Torino, Giappichelli, 2008, 165-177.
(782) Cfr. D. MESSINETTI, voce «Oggetto dei diritti», cit., 820. In questo senso, il processo di oggettivazione giuridica si fonderebbe su: il sostanziarsi dell’interesse individuale in una specifica situazione giuridica soggettiva; l’indirizzo della tutela verso un soggetto determinato, cui la norma giuridica anela ad assicurarne il conseguimento. A tal riguardo, preziosa è la considerazione che tale tutela soggettiva sarebbe suscettibile di acquisire forme anche diverse da quelle del diritto soggettivo assoluto – in particolare, quello proprietario – nella misura in cui l’interesse tutelato sia comunque diretto alla conservazione di una situazione di utilità del soggetto titolare.
(783) Cfr. supra, p. III, 1.3.1.
(784) Sul punto si rimanda alla puntuale elaborazione G. RESTA, L’immagine dei beni, in ID. (a cura di), Diritti
esclusivi e nuovi beni immateriali, cit., 549-586 e ID., L’immagine dei beni in Cassazione, ovvero: l’insostenibile leggerezza della logica proprietaria, in Danno e resp., 2010, 477 ss..
(785) Sulla questione la letteratura sta acquisendo sempre maggiore interesse. Cfr. per tutti M. MACILOTTI, voce «Biobanche», in Dig. IVed., Disc. Priv., sez. civ., Agg., Utet, 2012, 133-148.
numero limitato di soggetti, diminuendo così la possibilità di accesso degli altri consociati (
786). Dal
punto di vista giuridico, ciò determina un nesso inscindibile fra situazioni di appartenenza e grado
di complessità delle utilità che si possono trarre dalla cosa (
787). Sicché all’entità immateriale in
parola viene ricondotta una situazione giuridica attiva, che conosce tutela in quanto rivolta al
raggiungimento di una finalità pubblica – nel caso oggetto di studio, la promozione dell’efficienza
energetica o delle energie rinnovabili (
788).
Approfondendo ulteriormente l’analisi, si giunge a rilevare come oggetto di circolazione e
tutela non siano tanto le res immateriales in sé, quanto i diritti insistenti su di esse. È a quest’ultimi
infatti che l’ordinamento conferisce primario rilievo, attribuendo al soggetto individuato come
titolare – nel nostro caso, quello risultante come proprietario dai registri digitali delle quote di
emissione o dei C.V./C.B. – piena tutela nell’utilizzazione del bene (
789).
(786) In questo senso distinguendosi da quelle ad uso non rivale, il cui accesso e utilizzo da parte dei consociati per contro non ne pregiudica quello degli altri. Chiarissima in questo senso la trattazione di R.H. COASE, The Lighthouse
in Economics, in Journal of Law and Economics, 1974, vol. 17, n. 2, 357-376. Risulta dunque chiaro che secondo
questa logica non assume alcun rilievo la materialità o immaterialità delle cose, riferendosi invece la nozione di risorsa piuttosto a qualsiasi entità – sia essa un bene o un servizio – suscettibile di giovare all’attività dell’uomo. Ma soprattutto, da un punto di vista giuridico, ciò snaturerebbe di qualsiasi rilevanza l’asserita esistenza di cose – come l’atmosfera o l’aria – che non possono essere considerate come beni giuridici in quanto res communes omnium, dunque non assoggetabili a regimi di appropriazione e di scambio (cfr. sul punto l’opinione di S. PUGLIATTI, voce «Beni (teoria generale)», cit., 174; O.T. SCOZZAFAVA, I beni, cit., 23-24 e ID., voce «Oggetto di diritti», in Enc. giur.
Treccani, XXI, Ed. enc. it., 1990, 2, il quale in particolare da una parte riconduce espressamente il procedimento
qualificatorio del bene giuridico a una relazione fra una determinata entità e gli interessi che su di essa si appuntano, bensì specificando al contempo che l’interesse del soggetto sarebbe pre-esistente rispetto alla qualificazione normativa, che andrebbe dunque a tipizzare l’interesse del soggetto; così dunque parzialmente smentendo la tesi secondo la quale l’assunzione di un’entità come bene dovrebbe appuntarsi necessariamente su una situazione di appartenenza attuale. Sul punto cfr. la fine critica di F. PIRAINO, Sulla nozione di bene giuridico in diritto privato, in Riv. crit. dir. priv., 2012, n. 3, 459 ss., spec. 473-474.
(787) Preme comunque in questa sede specificare che, in questo contesto, costituirebbe ad ogni modo un prius logico errato l’assimilazione circa il concetto di utile economico e di utile giuridico, giacchè i due concetti muovono da piani completamente diversi, regolati da principi altrettanto diversi (cfr. R. TOMMASINI, Contributo alla teoria dell’azienda
come oggetto di diritti: azienda e proprietà, Milano, Giuffrè, 1986, 22). Non è possibile infatti riscontrare una
corrispondenza biunivoca fra l’assoggettabilità e la limitatezza – elementi tipici del ragionamento economico – e la struttura del bene giuridico. In altre parole, come precisa C. MAIORCA, voce «Cose», in Enc. giur. Treccani, IX, Ed. Enc. it., 1988, 32, il diritto ha piuttosto riguardo a particolari qualità delle cose, assunte in astratto dal legislatore come meritevoli di tutela, al fine di determinare modalità e forme della loro disponibilità (cfr. ID., La cosa in senso giuridico.
Contributo alla critica di un dogma, cit., 166). Fortemente assertore circa l’autonomia di valutazione e dei concetti
giuridici rispetto a quelli economici è altresì l’insegnamento L. MENGONI, Forma giuridica e materia economica, in
Studi in onore di A. Asquini, III, Padova, Cedam, 1965, 1075 ss..
(788) Emblematiche in tal senso le parole espresse dalla giurisprudenza di legittimità in uno dei pochissimi passaggi dedicati all’interpretazione dell’art. 810 cod. civ. (CASS., 18.4.1994, n. 3666, cit.): «[…] la qualifica di bene giuridico si assegna a determinate entità non in ragione della loro esistenza, materiale e di fatto, ma in quanto sulle medesime incidono gli interessi umani, ai quali l’ordinamento ritiene di conferire una certa tutela. L’entità materiale e di fatto si considera dal diritto come bene in senso giuridico in ragione dell’utilità e, quindi, dell'interesse. Il diverso regime, cui i beni vengono assoggettati, non dipende dalle caratteristiche materiali e di fatto, ma dal differente modo di operare della qualificazione giuridica che, come punto di incidenza, assume l’utilità. […] La cosa, dunque, non acquista rilievo per la sua consistenza materiale e di fatto, ma in quanto costituisce bene giuridico individuato dalla qualificazione».
(789) Ciò discende concettualmente dal fatto che, come sottolinea P. GRECO, I diritti sui beni immateriali: ditta,
marchi, opere dell’ingegno, invenzioni industriali, Torino, Giappichelli, 1948, 25, l’esclusività non debba intendersi
come potere fisico, ma quale facoltà giuridicamente protetta di impedire a ciascun altro consociato di godere di un determinato bene.