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Dalla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono all’UNFCCC

Parte II. Oggetto del lavoro: titoli energetici e quote di emissione di gas serra

Capitolo 3. Quote di emissione di gas serra (emissions trading)

3.1. Normativa internazionale

3.1.1. Dalla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono all’UNFCCC

cominciato ad interessare sensibilmente la comunità internazionale attorno all’inizio degli anni ’80,

allorché la questione relativa all’assottigliamento dello strato di ozono dell’atmosfera – per lo più

dovuto all’emissione di Cloro Fluoro Carburi (CFC) – ha portato alla stipulazione della

Convenzione di Vienna del 1985, seguita a due anni di distanza dal Protocollo di Montreal sulle

sostanze suscettibili di danneggiare lo strato di ozono (

320

). Gli accordi, oltre a rappresentare i primi

(316) Sotto il primo profilo, sono di grande spunto le parole di H. KÖTZ, Per un diritto privato comune europeo, in K. ZWEINGERT – H. KÖTZ, Introduzione al diritto comparato, ed. it. a cura di A. DI MAJO – A. GAMBARO, Milano, Giuffrè, 1998, 397,secondo il quale «un mercato comune integrato è del tutto compatibile con un corpus di diritto non uniforme», ove però vi sia una cultura giuridica comune. Sotto il secondo profilo, è fiorente la letteratura economica che individua i principali vantaggi in una minore volatilità dei prezzi e una conseguente minore distorsione competitiva del mercato. Sul punto v., per tutti, M. MEHLING – A. TÜRK – W. STERK, Prospects for a Transatlantic Carbon

Market: What Next after the US Midterm Elections?, Climate Strategies Working Paper, 2011, 7 e R. SCHÜLE – W .

STERK, Options and Implications of Linking the EU ETS with other Emissions Trading Schemes, nota al Parlamento Europeo, 2008, consultabile al link http://www.pedz.uni-mannheim.de/daten/edz-ma/ep/08/EST19802.pdf (disponibile il 26 agosto 2016).

(317) Sul punto v. su tutti E. HAITES, Harmonisation between National and International Tradable Permit Schemes,

CATEP Synthesis Paper, Parigi, OECD, 2003; invero, come nota G.H. KELLY, Re-Evaluating the Origins of The European Union’s Emissions Trading Scheme: The Europeanisation of Emissions Trading, in Journal of Sustainable Development Law and Policy, 2013, n. 2, 83, il fenomeno legato all’unificazione di diversi mercati di carbonio (c.d. linking) rifletterebbe un potente mezzo di diffusione per la leadership UE, in ottica dello sviluppo di un sistema

internazionale. Sul punto v. gli interessanti contributi di A.P. RUTHERFORD, Linking Emissions Trading Schemes:

Lessons from the EU-Swiss ETSs, in CCLR, 2014, n. 4, 282-290 e M.J. MACE – J. ANDERSON, Legal and Design Issues Arising in Linking the EU ETS with Existing and Emerging Emissions Trading Schemes, in JEEPL, 2009, 197 ss.

(318) Così afferma il Considerando n. 5 alla dir. n. 2003/87/Ce.

(319) Sul punto cfr. S. MANEA, Defining Emissions Entitlements in the Constitution of the EU Emissions Trading

System, in TEL, 2012, nn. 1-2, 306 ss.

(320) Come si vedrà in seguito, il sistema delineato dalla Convenzione di Vienna e dal Protocollo di Montreal si fondano su specifici obiettivi di riduzione circa la produzione e l’utilizzo di gas nocivi per lo strato di ozono in atmosfera. Il Protocollo è stato poi rivisto più volte ad opera delle varie Conferenze delle Parti (COP). In particolare, significative modifiche sono state introdotte a Londra nel 1990, in virtù dell’adesione da parte di Cina, India e Brasile. Sulla genesi e sul contenuto degli accordi in parola v. O. YOSHIDA, The International Legal Regime for the Protection of the

strumenti giuridici volti alla tutela dell’atmosfera (

321

), hanno costituito un vero e proprio modello a

livello di governance e di risposta politica alle problematiche climatiche globali (

322

).

La riflessione della comunità internazionale si è infatti contestualmente focalizzata sulla più

complessa questione inerente la tutela globale nei confronti dei c.d. gas ad effetto serra (greenhouse

gases, GHG), in grado di comportare l’omonima alterazione climatica, la cui esistenza era sempre

più corroborata dall’evidenza scientifica (

323

). L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dunque,

con la risoluzione n. 45/212 del 1990, costituì un’apposita Commissione di Negoziazione

Intergovernativa al fine di arrivare all’elaborazione di uno specifico accordo sul cambiamento

climatico. L’esito delle negoziazioni si raggiunse con la celebre Convenzione Quadro delle Nazioni

Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC, di seguito Convenzione) – conclusa a New York il 9

maggio 1992 ed entrata in vigore il 24 marzo 1994 – siglata da oltre 150 Paesi nell’ambito della

Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED) di Rio de Janeiro (

324

).

La Convenzione si pone quindi come il punto centrale degli sforzi, a livello di cooperazione

internazionale, per l’individuazione di obiettivi e strategie nella lotta al fenomeno del c.d.

riscaldamento globale (global warming) (

325

). In questo senso, l’obiettivo fondamentale perseguito

in origine dalla Convenzione era quello di garantire un livello stabile di concentrazione di GHG

(321) Invero, precedentemente agli accordi di Vienna va segnalata quantomeno la Convenzione di Ginevra

sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza del 1979 (entrata in vigore nel 1983), la quale mira

piuttosto a istituire un sistema di previsione, riduzione e controllo dell’inquinamento atmosferico.

(322) Per l’influenza della normativa sulle successive negoziazioni in ambito climatico v. su tutti R. SMITH, The Road

to a Climate Change Agreement Runs Trough Montreal, Peterson Institute for International Economics Policy Brief, pb

10-21, 2010.

(323) Al riguardo, va sottolineato come già diversi dichiarazioni a livello di accordi regionali avessero manifestato la necessità di una politica di riduzione dei GHG (per un’elencazione e analisi di quest’ultime cfr. R. CHURCHILL – D. FREESTONE, International Law and Global Climate Change, Graham & Trotman, 1991, 280 ss.). Presa coscienza del problema, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite diede un forte impulso alle negoziazioni provvedendo - con la Risoluzione 43/53 del 1988 - a dichiarare la questione un «common concern of mankind» e costituendo sotto l’egida congiunta del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) e della World Meteorological Organization (WMO) l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), un organo indipendente di carattere consultivo con il compito di rilevare ed elaborare i dati scientifici riguardo i cambiamenti climatici, i potenziali impatti ambientali e socio-economici e le possibili strategie di risposta ai medesimi. Il primo report IPCC, pubblicato nel 1990, stimava un aumento della temperatura globale di 1° entro il 2025 e di 3° entro il 2100, auspicando quanto prima l’inizio delle negoziazioni per una Convenzione Quadro per la lotta al cambiamento climatico (in particolare, s.v. IPCC Working

Group III: Formulation of Response Strategies; Legal and Institutional Mechanisms, 1990, al link: http://www.ipcc.ch/publications_and_data/publications_ipcc_first_assessment_1990_wg3.shtml, disponibile il 1 agosto 2016).

(324) Sulla conferenza UNCED di Rio s.v. tra gli altri, oltre alla manualistica tradizionale in materia di diritto ambientale internazionale, S. P. JOHNSON, The earth summit: the United Nations conference on environment and development

(UNCED), International and environmental law and policy series, Londra, Graham & Trotman, 1993. La bibliografia

sulla UNFCC è chiaramente sterminata. Per tutti si consiglia dunque la lettura di P. SANDS, The United Nations

Framework Convention on Climate Change, in RECIEL, 1992, n. 1, 270 ss.; D. BODANSKY, The United Nations Framework Convetion on Climate Change: a Commentary, in YJIL, 1993, vol. 18, 451-558.

(325) Cfr. R.L. ARCAS, Kyoto and the COPs: Lessons Learned and Looking Ahead, in 17 Hague Yearbook of

nell’atmosfera, di modo da prevenire impatti pericolosi sull’apparato climatico globale (

326

),

riportando i livelli di emissione a quelli registrati nell’anno 1990 entro il 2000 (

327

).

In questo senso dunque le Parti sono tenute – in ossequio al fondamentale principio di

responsabilità comune ma differenziata (

328

) – a intraprendere, tra le altre, misure a livello

nazionale, regionale o locale, atte a prevenire o agire in risposta alle emissioni antropiche di gas

serra (

329

). Tali obblighi, anche a fronte delle risultanze scientifiche indicate dall’IPCC, vennero

ritenuti tuttavia eccessivamente vaghi. Ciò condusse pertanto alla decisione, in occasione della

prima Conference Of the Parties (COP) annuale di revisione tenutasi a Berlino, di introdurre uno

strumento normativo volto a individuare nuovi e più stringenti obblighi (

330

). Venne quindi all’uopo

creato – come usuale in queste occasioni – un working group ad hoc con il compito di condurre le

negoziazioni, secondo i tempi e le modalità previste dalla COP1; negoziazioni che videro la loro

conclusione nella COP3, per culminare nel Protocollo di Kyoto (Protocollo), dal nome della città in

cui la stessa Conferenza delle Parti ha avuto luogo (

331

).

(326) Così infatti la versione originale dell’art. 2 dell’UNFCCC, (rubricato objective): «the ultimate objective of this

Convention and any related legal instruments that the Conference of the Parties may adopt is to achieve, in accordance with the relevant provisions of the Convention, stabilization of greenhouse gas concentrations in the atmosphere at a level that would prevent dangerous anthropogenic interference with the climate system». In aggiunta, l’art. 2 specifica

come tali obiettivi vadano raggiunti in un arco temporale sufficiente da: permettere l’adattamento degli ecosistemi; assicurare l’integrità della produzione alimentare; garantire uno sviluppo economico sostenibile. Sul punto v. la preziosa elaborazione di P. BIRNIE – A. BOYLE, International Law and the Environment, II ed., Oxford, Oxford University Press, 2002, 523 ss. e il commento puntuale di M. OPPENHEIMER – A. PETSONK, Article 2 of the

UNFCCC: Historical origins, Recent interpretations, in Climatic Change, 2005, vol. 73, 195-226.

(327) Art. 4, comma 2, lett. b) UNFCCC.

(328) Il principio si pone sotto un certo profilo come un corollario del principio di sviluppo sostenibile (su cui v. supra, cap. 1) e “chi inquina paga”, in un’ottica di equità intergenerazionale (Par. 23 del Preambolo all’UNFCCC). L’idea è dunque quella secondo cui ciascuno Stato, pur essendo compartecipe rispetto a quello che è stato definito un «common

concern of mankind» (Par. 6 del Preambolo all’UNFCCC), è tenuto a operare in misura proporzionale rispetto al suo

contributo (presente e passato) al cambiamento climatico stesso. Sul principio – messo in forte discussione nel tempo, visti i deludenti risultati raggiunti con il Protocollo di Kyoto e tendenzialmente superato dal recente Accordo di Parigi sul clima – v. per tutti

(329) Art. 4, par. 1, lett. b). Altri obblighi fondamentali sono quelli di: cooperazione; scambio di informazioni; monitoraggio e controllo delle emissioni non incluse nella normativa di cui al Protocollo di Montreal. I Paesi OCSE, inoltre, sottostanno a ulteriori obblighi specifici in termini di supporto finanziario e tecnologico ai Paesi in via di sviluppo. Sul punto si rimanda alla sintetica ma efficace esposizione di D. BODANSKY, op. ult. cit., 505 ss.

(330) Questo è il c.d. Berlin Mandate, di cui alla Decisione 1/CP.1 (FCCC/CP/1995/7/Add. 1).

(331) FCCC/CP/1997/L7/Add. 1. La bibliografia sull’argomento è immensa. Per un’analisi specifica con riferimento al contenuto dell’accordo si rimanda in termini generali a P. BIRNIE – A. BOYLE, op. cit., 526 ss.; P. SANDS, op. cit., 368 ss.;C. BREIDENICH – D. MAGRAW – A. ROWLEY – J.W.RUBIN, The Kyoto Protocol to the United Nations

Framework Convention on Climate Change, in AJIL, 1998, vol. 92, 315-331; P. CAMERON – D. ZILLMAN (a cura

di), Kyoto: from Principles to Practice, The Hague-London-New York, Kluwer International Law, 2001. Per la letteratura più recente, oltre ai numerosi contributi pubblicati sulle riviste specializzate Climate Law e Carbon &

Climate Law Review, v. invece R. L. ARCAS, op. ult. cit, in particolare 38 ss.; D. FREESTONE – C. STRECK, Legal Aspects of Carbon Trading: Kyoto, Copenhagen and beyond, Oxford-New York, Oxford University Press, 2009; W.

DOUMA – L .MASSAI – M. MONTINI, The Kyoto Protocol and Beyond: Legal and Policy Challenges of Climate

Change, L’Aja, TMC Asser Press, 2007. Per una lettura in chiave evolutiva dell’accordo v. l’interessante contributo di

H. VAN ASSELT – M. MEHLING – C. KEHLER SIEBERT, The Changing Architecture of International Climate

Change Law, in G. VAN CALSTER - W. VANDENBERGHE - L. REINS (a cura di), Research Handbook on Climate Change Mitigation Law, Cheltenham, Edward Elgar, 2015.

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