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I beni nel diritto europeo e nella giurisprudenza della Corte EDU

Parte III. Nuove oggettività giuridiche

Capitolo 2. Nuove frontiere mobili della proprietà

2.3. I beni nel diritto europeo e nella giurisprudenza della Corte EDU

Un quadro conoscitivo che ambisca a completezza ed esaustività rispetto alle traiettorie del

dibattito sulla teoria dei beni non può prescindere dalle indicazioni provenienti dall’ordinamento

giuridico sovranazionale.

Sotto questo profilo, va primariamente fatta menzione circa la forte influenza della disciplina

di rango primario contenuta nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta

di Nizza) e nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), come interpretata dalla Corte

di Giustizia Europea e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (

660

).

In termini generali, invero, nessuna disposizione si cura specificamente di definire la nozione

di bene, né tantomeno di paventarne una classificazione. La dimensione assiologica in cui le

previsioni incardinate nei documenti citati riposano, infatti, fa gioco acché la riflessione si innesti

attorno al diritto di proprietà, ormai compiutamente assurto a diritto fondamentale dell’uomo.

(657) Rieccheggia in tale contesto la nozione di proprietà regolatoria, su cui si sofferma H.W. MICKLITZ, Regulatory

Property Rights and Regulatory Private Law, cit., 240: «[T]here is no clear structure, no system, no coherence, there is

no “law on the regulation of property rights” or the like. Regulatory property law develops from the borders of property rights, from the innovative ends, from concrete policy driven objectives […]». Sul concetto di diritto privato regolatorio e sul rapporto di esso con le quote di emissione e i titoli energetici si ritornerà infra, p. IV, 2.1.

(658) Cfr. A. CANDIAN – A. GAMBARO – B. POZZO, op. loc. ult. cit., in cui si fa presente che: «[…] quello del “potere” proprietario non è mai stato un problema posto al centro dell’attenzione dei giuristi tecnici di common law. Ciò non dipende dalla loro particolare insensibilità sociale, ma dal fatto che essi potevano dedurre limiti impliciti nelle situazioni di appartenenza che i civilians potevano solo invocare da campi extra proprietari, e che infine si sono acconciati ad invocare solo dalle parole del legislatore».

(659) Sul punto si rimanda alla disamina puntuale di cui a infra, par. succ.

(660) Vale giusto qui la pena ricordare come le norme di diritto primario dell’Unione Europea – TUE, TFUE e Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) – nonché la CEDU costituiscano ad oggi parametro interposto di costituzionalità. Per quanto concerne la CEDU in particolare, il passaggio da parametro interpretativo non vincolante a fonte costituzionale (rectius: sub-costituzionale) per il tramite del rinvio operato dall’art. 117, comma 1 Cost., come modificato nel 2001, è avvenuto al lume delle celebri decisioni “gemelle” CORTE COST., 24.10.2007, nn. 348 e 349.

In questo senso, le fonti essenziali di riferimento possono essere individuate, in egual misura:

nei principi generali del diritto comunitario, come elaborati dalla Corte di Giustizia (

661

); nell’art.

1, Primo Protocollo Addizionale alla CEDU (

662

); nell’art. 17 della Carta di Nizza (

663

), la cui

interpretazione si può invero ricavare dalla giurisprudenza delle Corti di Strasburgo e Lussemburgo

(

664

).

Ebbene, tentando di ricondurre a sintesi l’intricato apparato concettuale e argomentativo sul

punto, si può affermare con sufficiente fermezza che il diritto di proprietà non solo fa parte della

costituzione economica europea, ma trova oggi a tutti gli effetti cittadinanza fra i diritti di libertà,

nel catalogo dei diritti cristallizzato nella Carta di Nizza, con significato e portata identici al diritto

garantito dalla CEDU (

665

). Ciò non obliterando tuttavia la forte influenza liberalista, da taluni

(661) Per quanto attiene al formante giurisprudenziale, si possono qui menzionare almeno due decisioni di particolare rilievo. Anzitutto, s.v. CORTE GIUST. CE, 14.5.1974. Nold, Kohlen e Baustoffgrosshandlung c. Commissione delle

Comunita europee, causa 4/73, in Raccolta, 1974, 491 ss., in cui si afferma come: «[B]enché l‘ordinamento

costituzionale di tutti gli stati membri tuteli il diritto di proprietà e di analoga tutela fruisca il libero esercizio del commercio, del lavoro e di altre attività economiche, i diritti così garantiti, lungi dal costituire prerogative assolute, vanno considerati alla luce della funzione sociale dei beni e delle attività oggetto della tutela. Per questa ragione, la garanzia concessa ai diritti di tal sorta fa generalmente salve le limitazioni poste in vista dell'interesse pubblico […]». Di guisa che «Nell'ordinamento giuridico comunitario, appare legittimo sottoporre tali diritti a taluni limiti giustificati dagli obiettivi d’interesse generale perseguiti dalla comunità, purché non resti lesa la sostanza dei diritti stessi. Per quanto riguarda in particolare la tutela dell’impresa, non la si può comunque estendere alla protezione dei semplici interessi o possibilità d‘indole commerciale, la cui natura aleatoria è insita nell' essenza stessa dell'attività economica» (p. 14 della trattazione sul merito). Nell’altro leading case in materia, ID., 13.12.1979, Liselotte Hauer c. Land

Rheinland e Pfalz, causa 44/79, in Raccolta, 1979, 3727 ss., la Corte giunse a stabilire che taluni limiti ad impiantare

nuovi vigneti imposti ai viticoltori dal diritto derivato sarebbero «giustificat[i] dagli scopi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e che consistono nella riduzione, a breve termine, delle eccedenze produttive e nella preparazione, a scadenza più lontana, della riorganizzazione della viticoltura europea», non ledendo quindi il diritto di proprietà. Le statuizioni di principio ivi riportate sono poi state incorporate dapprima nell’art. 6 TCE, e infine nell’art. 6, par. 3 TUE («I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali»). Per un efficace excursus sulla giurisprudenza europea in materia cfr. A MOSCARINI, Proprietà privata e tradizioni costituzionali comuni, Milano, Giuffrè, 2006, 265 ss.

(662) La disposizione così stabilisce: «[O]gni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende».

(663) Rubricato “Diritto di proprietà”, di cui si riporta per comodità il testo: 1. Ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale. 2. La proprietà intellettuale è protetta.

(664) Cfr. le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, elaborate dal praesidum della Convenzione (in

G.U.UE, 14 dicembre 2007, C 303/17).

(665) Cfr. ancora una volta i documenti esplicativi della Carta, in particolare le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti

fondamentali, Spiegazione relativa all‘Articolo 17 – Diritto di proprietà, in G.U.UE, 14 dicembre 2007, C 303/24. In

tal senso v. per tutti A. LUCARELLI,Art. 17. Diritto della proprietà, in R. BIFULCO –M.CARTABIA –A.CELOTTO (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Il Mulino, Bologna, 2001, 139 ss. La dottrina sul punto ha sviluppato chiaramente un dibattito di notevoli dimensioni, da cui merita estrapolare tre illustri opinioni. Da una parte quella di M. COMPORTI, Relazione introduttiva, in ID. (a cura di), La

proprietà nella Carta europea dei diritti fondamentali, Atti del convegno di studi organizzato presso l’Università di

Siena, Milano, Giuffrè, 2005, 5 e ID., La proprietà europea e la proprietà italiana, in Riv. dir. civ., 2008, n. 2, 10191 che, seppur non condividendo l’opportunità circa tale processo di trasmigrazione della proprietà dai diritti economici-sociali a quelli civili fondamentali, rimarca come ciò costituisca un fatto potenzialmente generatore di nuovi principi

definita “protocapitalistica”, che ambedue le giurisprudenze sovranazionali hanno accolto nei loro

arresti in materia (

666

).

D’altra parte, sarebbe un grave errore considerare che le norme europee vigenti non

riguardino, direttamente o indirettamente, i beni giuridici (

667

). Sotto questo profilo, il rapporto di

reciprocità esistente fra le regole contenute nella Carta di Nizza e nella CEDU – sancito dagli artt.

52, par. 3 della Carta e 6 TUE – impone altresì lo spostamento dell’orizzonte focale verso la

cospicua elaborazione sviluppatasi attorno all’art. 1, Prot. 1 CEDU (

668

).

generali sia dal punto di vista sistematico sia ermeneutico. Dall’altra, invece, M. TRIMARCHI, I beni e la proprietà, in A. TIZZANO (a cura di), Il diritto privato dell’Unione Europea, Torino, Giappichelli, 2006, 180, ritiene siffatto cambio di paradigma antistorico e contrario all’impostazione per la quale i diritti fondamentali potrebbero essere soltanto quelli di natura personale, e non patrimoniale; ancor più critico P. GROSSI,Il diritto civile tra le rigidità di ieri e le mobilità di oggi, in M. LOBUONO (a cura di), Scienza giuridica privatistica e fonti del diritto – Quaderni di diritto privato,

Cacucci, Bari, 2009, 29, il quale afferma che «la Carta pecca di individualismo, lasciando un minimo spazio all’io sociale e collettivo del cittadino europeo».

Più recentemente, si è denotato come l’evidente nesso fra l’art. 17 Carta di Nizza e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, nonché la valutazione in termini di assolutezza, ancorché legata alla funzione sociale, attribuita al diritto dominicale da parte della Costituzione tedesca, assurgano la proprietà medesima alla stregua di un diritto fondamentale inviolabile, qualora essa abbia ad oggetto beni che, come quelli personali, abbiano la funzione di assicurare al titolare un ambito di libertà nella sfera economica e di consentirgli a questo modo un'autonoma realizzazione della propria vita. Esso, quindi, potrà al più essere limitato per interesse pubblico e comunque senza la lesione delle prerogative sostanziali del diritto, al lume dell’art. 52, par. 3 della stessa Carta di Nizza (cfr. R. ROLLI, La

proprietà come diritto dell’uomo?, in Contr. e impr., 2011, nn. 4-5, 1014 ss.). Sul punto cfr. inoltre M. JAEGER, Il diritto di proprietà quale diritto fondamentale nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in Eur. e dir. priv., 2011,

n. 2, 349 ss., il quale eccepisce alla surriportata eccezione di Trimarchi la de-gerarchizzazione propria della Carta di Nizza, dei valori ivi inclusi, in un’ottica di eguale promozione dei diritti fondanti la persona (idem, 359). Egli quindi giunge ad concludere che il diritto dominicale trova in ambito UE una tutela «[…] non assoluta ma relativa, nel senso che essa si realizza nel bilanciamento con gli interessi generali» (idem, 364), che si risolve in sostanza «[…] nel bilanciamento tra gli interessi generali e quelli delle imprese, […] in vista della realizzazione degli scopi previsti dai trattati» (idem, 352).

(666) L’espressione è di L. NIVARRA, La proprietà europea tra controriforma e “rivoluzione passiva”, in Eur. e dir.

priv., 2011, n. 3, 575 ss., spec. 580-581, il quale afferma icasticamente come la recente elaborazione delle Corti

sovranazionali sia connotata da un «[…] autentico delirio di purezza liberista», nell’ottica di una sistematica prevalenza da parte delle libertà economiche sui diritti sociali, fino ad arrivare «[…] all’irreversibile superamento dell’idea che il nucleo delle attribuzioni dominicali possa essere interferito da un limite interno», così determinando il definitivo tramonto della funzione sociale. In questo senso, s.v. per tutte le decisioni nel già citato caso Nold. L. DANIELE, La

tutela del diritto di proprietà e del diritto al libero esercizio delle attività economiche nell’ordinamento comunitario e nel sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Dir. un. eur., 1998, n. 1, 56, rimarca che l’azione

dell’allora Comunità Europea non incide soltanto sul diritto di proprietà, ma altresì sul diritto al libero esercizio delle attività economiche, nella misura in cui il professionista non è in grado di utilizzare i beni per svolgere la propria attività. Cfr. sul punto anche M. FRAGOLA, Limitazioni e contenuto minimo della proprietà nel sistema italo-europeo, Napoli, ESI, 2002, 130 ss..

(667) Cfr. in particolare M. TRIMARCHI, Proprietà e diritto europeo, in Eur. e dir. priv., 2002, 710-711, il quale rimarca ulteriormente come una visione siffatta si rivelerebbe palesemente antistorica e «avulsa dagli sviluppi del diritto privato europeo»; giacché se da una parte è vero che l’istituto dominicale non può superare formalmente il vaglio di sussidiarietà ex art. 345 TFUE (già art. 295 TCE), è altresì vero che ad oggi tale norma va intesa sì nel senso di una collocazione della competenza legislativa nel dominio esclusivo delle legislazioni statali, ma nella misura in cui non ricorrano finalità di preminente interesse europeo, tra cui non possono fare eccezione, per quanto qui di rilievo, quelle legate alla tutela dell’ambiente e del cambiamento climatico ex artt. 3 TUE e 191-194 TFUE (cfr. su questo punto

supra, p. II, 1, in premessa).

(668) Va qui premesso che la giurisprudenza di Strasburgo sull’art. 1, prot. 1 CEDU è fra le più corpose in termini assoluti. Sarà dunque mia premura riportare solamente i passaggi di più stretto rilievo ai fini della trattazione. Ad ogni modo si rimanda, oltreché alla commentaristica, agli esaustivi contributi sul punto di F. BUONOMO, La tutela della

proprietà dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 2005; M.L. PADELLETTI, La tutela della proprietà privata nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Milano, Giuffrè, 2003; B. CONFORTI, La

La disposizione ultima citata si compone a sua volta di tre proposizioni normative «non prive

di un rapporto reciproco

»

(

669

), in cui l’analisi viene concentrata – in particolare nella prima e nella

terza di esse – sulla nozione di “bene” (oggetto di proprietà), anziché su quella di “diritto” (di

proprietà) (

670

); avvicinando pertanto un concetto di proprietà sistematicamente ben più ampio

rispetto a quello tipico degli ordinamenti di civil law (

671

). Di riflesso, la Corte stessa ha sempre

manifestato riluttanza ad enucleare una compiuta nozione di proprietà, vieppiù dilatando quella di

bene. Di modo che ad oggi, per opinione concorde della dottrina, quest’ultima deve intendersi

autonoma rispetto alle qualifiche formali operate dal diritto interno (

672

), sussistente in presenza di

un interesse o diritto avente natura patrimoniale (

673

).

giurisprudenza della Corte di Giustizia di Strasburgo in tema di proprietà, in M. COMPORTI (a cura di), op. cit., 105

ss.

(669) V. A. MOSCARINI, op. cit., 229. Sul punto, la Corte ha specificato che: «Article (P1-1) comprises three distinct rules. The first rule, which is of a general nature, enounces the principle of peaceful enjoyment of property; it is set out in the first sentence of the first paragraph. The second rule covers deprivation of possessions and subjects it to certain conditions; it appears in the second sentence of the same paragraph. The third rule recognises that the States are entitled, amongst other things, to control the use of property in accordance with the general interest, by enforcing such laws as they deem necessary for the purpose; it is contained in the second paragraph» (CORTE EUR. DIR. UOMO, 23.9.1982,

Sporrong e Lönnroth c. Svezia, ric. 7152/75, p. 61 e ID., 21.2.1986, James e altri c. Regno Unito, ric. 8793/79).

(670) Come la Corte EDU ha fin dai primordi avuto modo di specificare, l’art. 1, prot. 1 CEDU «[…] riconoscendo a ciascuno il diritto al rispetto dei propri beni, garantisce in sostanza il diritto di proprietà» (CORTE EUR. DIR UOMO, 13.6.1979, Marckx c. Belgio, ric. 6833/74, p. 63).

(671) Cfr. in questo senso A. MOSCARINI, op. cit., 264-265 e S. FERRERI, Il diritto di proprietà sui beni culturali al

vaglio della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Eur. e dir. priv., 2001, n. 1, 183, il quale afferma espressamente

come il concetto di proprietà in ambito Cedu si rifaccia sicuramente «[…] a una nozione più ampia di quella alla quale sono assuefatti i giuristi della tradizione francesizzante», accostandosi meglio «ai “property rights” di discendenza anglo-americana, idonei ad includere poste positive nel bilancio di un soggetto come licenze di commercio, concessioni di sfruttamento, brevetti, addirittura crediti». Va inoltre segnalato come la disposizione, già di per sé complessa da approcciare da un punto di vista esegetico, sia foriera di ulteriori avversità per l’interprete nella misura in cui si riscontra l’uso di termini giuridici concettualmente diversi, a seconda della lingua utilizzata. Basti pensare che, laddove nella versione francese, nel – fondamentale – primo periodo si parla di «respect de ses biens», in quella inglese il lemma corrispondente è «peaceful enjoyment of his possessions». Non potendosi all’evidenza riscontrare corrispondenze biunivoche fra i concetti giuridici sottostanti la nozione di “bien” e “possession”. Purtuttavia, tale impasse terminologico è stato celermente superato dalla Corte, che fin dalle prime pronunce ha provveduto ad attribuire ai diversi termini utilizzati significato equivalente; in particolare qualificando la seconda nel significato – altrettanto non univoco – di property, anche in virtù dell’inequivocabile formulazione in tal senso dell’art. 17 della Carta di Nizza (cfr. CORTE EUR. DIR. UOMO, 13.6.1979, Marckx c. Belgio, p. 63). Sul punto cfr. in chiave fortemente critica cfr. E. SCHWELB, The Protection of the Right of Property of Nationals under the First Protocol to the European

Convention on Human Rights, in AJCL, 1964, vol. 13, 52 ss.

(672) V. sul punto ex multis V. COLCELLI, Situazioni giuridiche soggettive e Convezione Europea dei diritti dell’uomo, Perugia, 2010, spec. 69 ss.. Il carattere autonomo della nozione di bene è stato affermato chiaramente dalla Corte in più occasioni, tra cui spiccano CORTE EUR. DIR. UOMO, 7.6.2012, Centro Europa 7 s.r.l. e Di Stefano c. Italia, ric. 38433/09, spec. p. 171, rispetto al quale si rimanda inoltre al commento di S. PRADUROUX, Una costellazione

europea: la proprietà e i beni nel quadro dei parametri di legalità enunciati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,

in NGCC, 2012, n. 12, 20766 ss.; ID, 27.8.2015, Parrillo c. Italia, ric. 46470/11, spec. p. 215; ID., Depalle c. Francia, ric. 34044/02, spec. p. 68 e, da ultimo, il da più parti citato caso ID., 23.9.2014, Valle Pierimpié Società Agricola S.p.A.

c. Italia, ric. 46154/11, con riferimento alla già citata giurisprudenza interna della Cassazione sulle valli da pesca di

Venezia (cfr. supra, 1.3), ove la Corte ha ritenuto sussistente un interesse sostanzialmente tutelato dalla CEDU in capo alla società ittica, indipendentemente dal prefigurato regime di demanialità o collettività delle valli da pesca medesime, condannando quindi l’Italia a risarcire i danni morali e materiali derivanti dall’espropriazione del terreno in questione. Sul punto specificamente si rimanda inoltre a C. ANGIOLINI, L’interpretazione estensiva dell’art. 1, prot. 1, CEDU:

fra tutele proprietarie e beni comuni, in NGCC, 2016, II, 2, 20328 ss.. Per quanto riguarda la riflessione dottrinale,

paiono sagge le parole di U. MATTEI, La proprietà, cit., 116-117, il quale sottolinea come l’eccessiva funzionalizzazione della proprietà operata dai privatisti europei continentali nella seconda metà del Secolo scorso, tesa a

In termini generali, tale sforzo ermeneutico è stato condotto trascendendo la surriportata

nozione di nuovi beni o nuove proprietà, bensì orientando l’attenzione sulle entità suscettibili di

determinare forme di ricchezza (

674

); così approssimando piuttosto la nozione di choses in action dei

sistemi di common law (cfr. supra, par. prec.) (

675

); finanche adottando una definizione generale di

bene di per sé originale, un unicum, nella misura in cui è ricondotta indistintamente a situazioni

decisamente eterogenee, accomunabili sotto l’egida del valore patrimoniale del diritto (o interesse)

fatto valere dal ricorrente (

676

).

L’elaborazione della Corte in materia si può didascalicamente estrinescare nei seguenti

passaggi. In via di prima approssimazione, l’indagine si è focalizzata sul conferire attenzione alle

situazioni giuridiche soggettive comunemente ricondotte al paradigma proprietario quale diritto

assoluto (

677

), anche con riferimento a beni immateriali (

678

); sebbene preferibilmente in presenza di

fornire nuova linfa alla riflessione sulla teoria dei beni, abbia invero aperto la strada alla proliferazione del funzionalismo tipico del modello anglo-americano nell’ambito dell’elaborazione circa quello di “proprietà europea”; sì da accantonare definitivamente il principio della funzione sociale, da ritenersi «il frutto di una stagione civilistica conclusa» (cfr. ID., Miraggi transatlantici. Fonti e modelli nel diritto privato dell’Europa Colonizzata, in Quaderni

fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2002, n. 31, 401).

(673) Questa la conclusione cui giunge S. PRADUROUX, La tutela del diritto di proprietà nello spazio europeo:

riflessioni intorno al dialogo tra la corte di Strasburgo e le corti italiane in materia di tutela dei beni, in Riv. dir. civ.,

2016, n. 5, 1390, citando peraltro l’eminente opinione di S. BARTOLE – B. CONFORTI – G. RAIMONDI,

Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, Cedam,

2001, 804 ss..

(674) Questo aspetto è cruciale nella ricostruzione della Corte EDU, ed è messo bene in evidenza per tutti da A. IANNARELLI, Beni, interessi, valori, cit., 292 ss.. Si noti, in questo senso, come una concezione siffatta sia stata oggetto di analisi in tempi ormai remoti anche dal – sempre profetico (cfr. supra, 1.1) S. Pugliatti, il quale però soleva attribuire questa prospettiva all’analisi economica del fenomeno proprietario (v. S. PUGLIATTI, voce «Beni (teoria generale)», in Enc. del dir., IV, 1959, Milano, Giuffrè, 186 ss.). In questo senso, tale nozione non può che richiamare alla nostra attenzione il fatto che il codice civile domestico richiama la medesima soprattutto con riferimento all’art. 2740 cod. civ., il quale abbraccia a sua volta una nozione ben più ampia di beni, nel senso di situazioni giuridiche aventi

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