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Il nuovo angolo visuale del civilista nell’era dello Stato regolatore

Parte III. Nuove oggettività giuridiche

Capitolo 1. Passato, presente e futuro della teoria dei beni

1.2. L’incerta evoluzione nella teoria dei beni

1.2.2. Il nuovo angolo visuale del civilista nell’era dello Stato regolatore

La traiettoria involutiva seguita della teoria dei beni rappresenta un dato riconosciuto dalla

migliore dottrina, di cui non possiamo fare a meno di prendere atto. Ciò che preme dunque operare

all’esito di questo breve itinerario interpretativo è comprendere quali rappresentino i veri snodi

critici a cui è necessario prestare attenzione, anche e soprattutto in un’ottica di riassestamento

dell’elaborazione concettuale sul tema.

In questo senso, va premessa la complessità finanche a ipotizzare un approccio sistematico al

discorso dottrinale (

568

). Piuttosto, nella trattazione si opterà per l’osservazione puntuale – peraltro

negli Stati Uniti la discussione ha acquisito piena consistenza scientifica in tempi decisamente più moderni, anche e soprattutto per mezzo dell’influente operato del pensiero di law and economics (cfr. per tutti J.H. MERRYMAN,

Policy, Autonomy and the Numerus Clausus in Italian and American Property Law, in AJCL, 1963, vol. 12, 224 ss. e,

per un contributo più recente, T.W. MERRILL – H.E. SMITH, Optimal Standardization in the Law of Property: The

Numerus Clausus Principle, in Yale Law Journal, 2000, vol. 110, 1 ss..Purtuttavia, come rimarca acutamente lo stesso Resta, l’attenzione dedicata dai common lawyers a un paradigma «tipicamente civilian» non è invero guidato da una qualsivoglia deriva neodogmatica, bensì dall’avvertita necessità di limitare quanto possibile il proliferare di forme d’appartenenza esclusiva con riferimento allec.d. intangible properties – categoria che ad oggi caratterizza in common

law proprio le quote di emissione, cfr. infra, 2.2.

(566) Cfr. V. ZENO ZENCOVICH, op. loc. ult. cit.; questa è la teoria altresì di D. MESSINETTI, op. cit., 816-817, per cui«l’autonomia di una teoria generale della cosa in senso giuridico emerge in relazione alla possibilità di individuare beni giuridici che non siano cose, ossia oggetto di godimento e appropriazione esclusiva. È in questa prospettiva che si legittima la necessità, dal punto di vista concettuale, di distinguere in maniera specifica la categoria delle cose […] da quella dei beni». Merita infine di essere riportata l’opposta opinione di O.T. SCOZZAFAVA, I beni, cit., secondo il quale elemento discriminante al fine qualificatorio dei beni siano le loro caratteristiche, anziché la natura del diritto insistente sulla cosa. L’idea invero sembra affiorare ab origine dal pensiero di S. PUGLIATTI, La proprietà e le

proprietà, cit., 250-252, secondo il quale «[…] la proprietà delle cose materiali si risolve in una tutela generale di

estensione massima, in corrispondenza agli interessi che il diritto prende in considerazione. […] viceversa la c.d. proprietà dei beni immateriali costituisce una generalizzazione verbale colla quale si designano diverse forme specifiche di tutela che hanno come basi particolari interessi»; ragion per cui unica analogia in tal senso fra il diritto dominicale di cui si è titolari con riferimento a beni materiali e immateriali risiederebbe «[…] nel profilo assai generale per il quale possono le due figure collocarsi nella categoria dei diritti assoluti», riportando il tal senso l’opinione di F. FERRARA,

Trattato di diritto civile italiano, Roma, 1921, 372, che ritiene si possa parlare di «forme moderne di diritti patrimoniali

con carattere assoluto».

(567) P. GROSSI, I beni: itinerari fra moderno e pos-moderno, cit., 1060.

(568) Anche in questo caso, infatti, si incappa inesorabilmente nel problema di fondo che connota l’intera elaborazione dottrinale che della teoria in discorso costituisce l’essenza. In questo senso, A. GAMBARO, La proprietà, cit., 45, fa espressamente riferimento al consolidarsi di una vera e propria “neo-sistematica”, «[…] che facoltizza ogni giurista che

non a scopo meramente esemplificativo – di talune fattispecie le quali, in base alla loro ontologica

capacità di esprimere una relazione di esclusiva da parte del soggetto che ne esercita l’appartenenza,

detengono quindi tutti i canoni per essere considerati come oggettività giudiriche (

569

); sì da trarne

elementi rilevanti con riferimento all’oggetto del presente studio (

570

).

Persistente il surriportato vulnus dal punto di vista logico-interpretativo, un breve – ma

incisivo – ragionamento in chiave prospettica può a mio avviso trovare fondamento nelle argute e

lungimiranti parole di A. Gambaro. L’A., esprimendosi in tempi non sospetti con riguardo alle

frontiere del diritto dei beni, afferma perentoriamente che «[…] le categorie ordinanti presentano

bordi sfumati sui quali si collocano oggetti di difficile classificazione»; ciò discenderebbe dal fatto

che «[…] le discipline giuridiche sono in continuo divenire altro da ciò che sono attualmente» (

571

).

Di conseguenza, egli rivendica la tensione a un approccio dinamico, che tenga conto in ottica

assiologica non solo e non tanto del dato dogmatico, bensì del dato esperienziale, nonché soprattutto

dei diversi formanti, dell’intreccio delle loro azioni e degli effetti (

572

). D’altra parte, il caveat

sotteso all’opinare altrimenti è la profilazione circa un’ineluttabile divaricazione fra la realtà

definita dal mondo dell’economia e dell’impresa, che giornalmente produce “specificazioni” di

utilità immateriali – talora risibili nelle dimensioni, tanto da essere difficilmente catturabili, come i

floridi ritrovati del settore biotecnologico, talaltra interamente virtuali, come i c.d. big data – e il

sistema normativo di regolazione dei beni, ancorato invece ad una concezione fisicista e terragna

dell’appartenenza.

In questo senso, merita un cenno particolare il recente contributo di U. Morello che,

riprendendo il percorso già tracciato sul tema dallo stesso Gambaro (

573

), ha ragionato su una

prenda parte al lavoro teorico ad edificare un sistema concettuale suo proprio». Tale attitudine si manifesterebbe peraltro, secondo l’A., con enfasi ancora maggiore allorquando ci si approccia alla trattazione monografica: «a questo livello l’originalità della visione e l'indipendenza di pensiero fanno normalmente aggio sull’adesione ad una corrente di pensiero e ciò dispensa gli autori da ogni ricognizione di quelle concretamente riscontrabili in ciascun momento. Questa beata situazione di libertà si riscontra sia in opere monografiche sia in articoli di pura dottrina sia in parti di trattati e voci enciclopediche». Con il risultato, come rimarca fuor di metafora lo stesso Gambaro, che «[…] ogni impostazione segue la propria rotta senza intessere alcn dialogo con le altre a guisa di transatlantici che si incrocino a distanza nell’alto oceano» (ID., I beni, cit., 3).

(569) Si può – anzi, si deve – in questo senso rimandare alla rilevante espressione di A. TRABUCCHI, op. cit., 528, il quale usa il termine «quiddità oggettiva» proprio per riferirsi all’esclusività della posizione giuridica soggettiva ricoperta dal soggetto che esercita una determinata situazione di appartenenza sull’oggetto del diritto.

(570) Questo sarà infatti l’oggetto dell’approfondimento condotto specificamente infra, 3.

(571) Cfr. A. GAMBARO, op. ult. cit., 173, citando peraltro l’eminentissima opinione di R. SACCO, Introduzione al

diritto comparato, V ed., Torino, Utet, 1992, 43 ss.; A. FALZEA, Sistema culturale e sistema giuridico, in AA.VV., La sistematica giuridica. Storia, teoria e problemi attuali, Roma, Ist. Enc. It.,1991, 46 ss.

(572) Cfr. sul punto altresì l’eminente opinione di A. ZOPPINI, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di

impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, I, 523 ss., il quale mette in guardia l’interprete

dall’assumere, di fronte alla crisi del diritto statuale causata dall’eterogeneità dei fenomeni e la proliferazione di sempre nuovi interessi un atteggiamento statico, come incantato da una «vuota idolatria per i concetti affermatisi nella tradizione, con cui si finisce col confondere la natura delle cose».

(573) Il riferimento è ad A. GAMBARO, La proprietà, cit., 67 ss. e ID., Note sul principio di tipicità dei diritti reali, in

possibile “evoluzione” delle teorie sul numerus clausus dei diritti reali (

574

). Proseguendo nella sua

analisi, egli rimarca «[…] l’affermarsi nella prassi e nella giurisprudenza di nuove figure certamente

inquadrabili tra i diritti reali, nell’ambito di un movimento evolutivo ormai da tempo consolidato»,

che condurrebbe i giuristi più sensibili a desumere con chiarezza «[…] la tendenza ad ammettere

nuovi diritti reali inquadrandoli tuttavia in diritti reali tipici, e consentendo quindi con larghezza la

possibilità di modifiche importanti anche in ordine agli elementi ritenuti essenziali di un diritto

reale» (

575

). Un riferimento concreto di tale linea evolutiva si riscontrerebbe: nella multiproprietà;

nei diritti di godimento perpetuo di posti auto, giardini e terrazzi su proprietà condominiali. Ma

soprattutto, nel complesso di regole derogatorie rispetto al regime classico dell’appartenenza che si

possono rinvenire nella c.d. “proprietà fondata su concessioni” (

576

).

Ecco dunque che volgendo lo sguardo ai possibili itinerarî evolutivi che si profilano

all’orizzonte del civilista, quanto detto consente di intravedere anzitutto il – da taluni agognato –

temperamento del numerus clausus dei diritti reali (

577

). In particolare, oggetto di superamento

sarebbe il divieto posto al giurista di modificare i caratteri “sostanziali” od “essenziali” dei diritti

reali tipici, pur non potendosi – ancora – valicare il sacro confine costituito dall’ammissibilità

nell’ordinamento circa diritti reali del tutto nuovi. Movendo da tale prospettiva – non scevra,

peraltro, da analogie con le proposizioni pugliattiane in materia di proprietà (

578

) – ne discende la

carenza a livello dogmatico del principio in esame, cui va riconosciuta un’operatività più generica,

sì da approdare ad un diverso sistema, già da alcuni definito “quasi chiuso” (

579

). In un contesto

assiologico siffatto, spetterebbe da una parte al giudice valutare in concreto l’ammissibilità di nuove

figure di diritti reali, dall’altra al giurista raggruppare le nuove figure emerse nella prassi e nella

giurisprudenza (

580

).

In realtà non difetta nel nostro ordinamento una tensione in senso opposto, ferma nel

sostenere l’idea che l’attribuzione dei diritti di esclusiva continui ad essere regolata in modo

sostanzialmente tipico. Di ciò sarebbe riprova la refrattarietà del legislatore a introdurre disposizioni

di carattere generale dedicate ai beni immateriali– diversamente da come è avvenuto, per certi versi

(574) U. MORELLO, Tipicità e numerus clausus dei diritti reali, cit., 81. (575) Ibidem.

(576) Ibidem. In questo senso, merita attenzione il parallelismo tra la scelta del legislatore europeo in materia di multiproprietà e quote di emissione, laddove in entrambi i casi la scelta volontariamente perseguita è stata quella di rifuggere da ogni azzardo qualificatorio circa i diritti che formano oggetto del contratto, preferendo invece soffermarsi sui profili attinenti al corretto funzionamento del mercato. Sul punto cfr. infra, p. IV, 2.

(577) Definisce il principio «poco più che un pregiudizio» R. NICOLÒ, voce «Diritto civile», in Enc. del dir., XII, Giuffrè, 1964, 908. Sul punto v. anche l’opinione di D. MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano, 1970, 124.

(578) Su cui non si può che rimandare il lettore alla precedente riflessione espressa supra, 1.1.

(579) Sistema di cui fornisce icastica rappresentazione S. VAN ERP, A Numerus Quasi-Clausus of Property Rights as a

Constituive Element of Future European Property Law?, cit..

paradossalmente, nel sistema americano (

581

). Peraltro, va denotato come gli appena richiamati

interventi normativi – che potremmo definire di stampo “speciale” – si rivelano sovente affetti da

incoerenza e lacunosità; talché il redivivo principio del numerus clausus, per opinione della

migliore dottrina, osterebbe non solo alla creazione per via giurisprudenziale di nuovi diritti tipici,

ma anche all’interpretazione analogica (od estensiva) onde ricomprendere nell’alveo della tutela

situazioni non disciplinate, ovvero per ricondurre a sistema quelle disciplinate solo parzialmente

(

582

).

Ecco che si approssima dunque all’orizzonte quel processo dissociativo fra il bene e la cosa,

accompagnato parallelamente da quello fra teoria dei beni e teoria della proprietà, tale che il bene

stesso acquisisce gradualmente un valore a sé stante, rinviando a situazioni di tipo non reale,

finanche a rappresentare «poco più che un’espressione simbolica» (

583

).

Al di là dei disordini teorici e delle questioni nominalistiche di cui si è dato conto, altro

profilo di novità – invero a mio avviso particolarmente incisivo – che si staglia agli occhi del

civilista oltre la debole iridescenza della teoria dei beni riguarda il rapporto fra il termine oggettivo

e quello soggettivo, costitutivi della posizione giuridica soggettiva di stampo patrimoniale. Se è

vero, infatti, che all’esito di una (faticosa) rivisitazione in chiave ermeneutica dell’art. 810 cod. civ.,

si è giunti a includere nella categoria giuridica: beni entità prive di rilevanza e interesse per il

soggetto all’esito di un procedimento qualificativo che parta necessariamente da un sostrato

materiale (

584

); non si può negare innovatività alle parole di N. Lipari, allorchè egli rivendica

manifestamente l’inversione del paradigma costituito dal rapporto soggetto-oggetto di diritto. Tale

inversione è dovuta essenzialmente allo spostamento dell’indagine «dal momento acquisitivo o di

potere esclusivo del titolare, che trova la sua massima espressione nel diritto di proprietà, al profilo

del rapporto obbligatorio» (

585

).

Vaticinando un’analoga inversione prospettica, il bene viene a scolorire nel suo aprioristico

connotato di estremo oggettivo di un diritto soggettivo, discernibile essenzialmente con riferimento

alle attribuzioni conferitegli da parte del legislatore, ovvero, motu proprio, dall’autonomia privata.

In altre parole, il bene non preesiste alla qualificazione giuridica, ma viene creato in funzione degli

(581) Cfr., ad esempio, lo Uniform Commercial Code (UCC), in cui all’art. 9 (Secured Transactions), Par. 9-102 (42), è specificamente enucleata la categoria dei «General Intangible», i quali hanno per oggetto «any personal property,

including things in action, other than accounts, chattel paper, commercial tort claims, deposit accounts, documents, goods, instruments, investment property, letter-of-credit rights, letters of credit, money, and oil, gas, or other minerals before extraction. The term includes payment intangibles and software».

(582) Cfr., per tutti, con riferimento ai diritti della proprietà intellettuale, M. RICOLFI, Il diritto d‘autore, in Trattato di

Diritto Commerciale, Padova, 2001, 460 ss..

(583) Questo il tratto evolutivo icasticamente delineato da P. GROSSI, op. ult. cit., 1066, richiamando altresì il pensiero di A. GAMBARO, Dalla new Property alle new Properties, in Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Atti del convegno di studio in onore del prof. Angelo Falzea tenutosi a Messina il 4-7 giugno 2002, Milano, Giuffrè, 2004. (584) Cfr. supra, 1.2.

interessi che si intende soddisfare, siano essi di natura privata, ovvero pubblica (

586

).L’interesse su

cui fa perno la situazione giuridica soggettiva si individua con riferimento a un’accezione di stampo

oggettivistico, anziché soggettivistico; esso assurge a tensione da parte di un soggetto giuridico a

creare un bene, conferendo ad esso rilevanza giuridica ex novo, anziché farla emergere – per così

dire, maieuticamente – attraverso la previa verifica circa la sua idoneità, tradizionalmente accolta

come criterio ordinante nella teoria dei beni.

Orbene, pare logico a questo punto collocare le feconde e innovative riflessioni di stampo

teorico-giuridico testé riportate nell’alveo del dibattito su quella che è stata illustremente appellata

proprietà regolamentata, frutto dell’intervento del c.d. “Stato regolatore” (

587

). Ritrovandosi

l’interprete in tal modo ad incrociare le vie della teoria dei beni con quelle di un’altra categoria

ordinante, bensì altrettanto foriera di nuove elaborazioni: il contratto (

588

).

Come sottolinea lo stesso Lipari, le modificazioni del sostrato socio-economico avvenute

negli ultimi cinquanta-sessant’anni ha sostanzialmente causato la deflagrazione del sintagma

contenuto nell’art. 1321 cod. civ. (

589

). Vieppiù, per quanto caro alla presente trattazione, sarebbe

improprio disconoscere l’assoggettamento del contratto medesimo a un vero e proprio

procedimento di reificazione. Esso non si limita più a comporre gli interessi delle parti, ma «spesso

concorre a determinarne la nascita, cioè a configurare un punto di riferimento oggettivo del

(586) Idem, 122. Come ribadisce l’A., «[N]on è più soltanto il diritto che nasce in funzione della posizione giuridica rispetto al bene, ma è altresì il bene che emerge in chiave giuridica in conseguenza della proiezione dinamica del

soggetto a realizzare un certo interesse» (Idem, 123, corsivo mio). Cfr. inoltre sul punto O.T. SCOZZAFAVA, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, cit., 62-63, secondo cui il riferimento alla nozione di interesse non implica

necessariamente che assumano rilevanza per il diritto solamente beni economici, giacché il diritto medesimo va a tutelare anche interessi di altra natura: ecco quindi che la nozione di bene in senso giuridico differisce da quella di bene in senso economico. Tale affermazione acquisisce ancora maggiore rilievo sistematico se si accoglie – come la maggior parte degli interpreti – la tradizionale impostazione secondo la quale la ratio ispiratrice del dettato codicistico fosse quello di «costruire un contraltare alla categoria delle posizioni giuridiche soggettive assumendo come prospettiva l’analisi dei loro oggetti, le loro scansioni interne ed in definitiva il realismo delle cose che si impone con la sua logica sempiterna rispetto alla mutevolezza delle volontà soggettive e che quindi istituisce i confini entro i quali quest’ultima possa giuridicamente esplicarsi» (v. A. GAMBARO, I beni, cit., 2). Per una disamina autorevole dell’interesse e della sua maturazione con riferimento alla sua traduzione positiva da parte della norma giuridica si rimanda a A. FALZEA, voce «Comportamento», in Enc. del dir., VIII, 1961, 135 ss., ora in Enc. del dir., voce «Manifestazione», vol. XXV, 1975, 442 ss.; V. SCALISI, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Milano, Giuffrè, 1998, 44-53.

(587) Sotto questo profilo si rimanda a quanto si dirà più specificamente infra, p. IV, 1.1 e 1.2.

(588) Sembra opportuno in questa sede riportare le sagge parole di F. Galgano, tratte da un interessante saggio pubblicato su Contratto e Impresa. Con riferimento al rulo del contratto rispetto alla globalizzazione dell’economia, lo studioso afferma: «[L]’avvento della società postindustriale non reclama, come reclamò l’avvento dell’era industriale, profonde riforme legislative: il quadro del diritto codificato resta immutato. Ma resta immutato perché sono altri, non le leggi, gli strumenti mediante i quali si attuano le trasformazioni giuridiche. Il principale strumento di innovazione giuridica è il contratto. Le concezioni classiche del diritto non collocano il contratto fra le fonti normative; ma, se continuassimo a concepire il contratto come mera applicazione del diritto, e non come fonte del diritto nuovo, ci precluderemmo la possibilità di comprendere in qual modo muta il diritto del nostro tempo» (F. GALGANO, Diritto ed

economia alle soglie del nuovo millennio, in Contr. e impr., 2000, n. 1, 197).

(589) Cfr. N. LIPARI, op. cit., 147, secondo cui «si sono venuti frantumando tutti i criteri di classificazione delle operazioni economiche che siamo soliti definire come contratti secondo il paradigma formalmente recepito dall’art. 1321 cod. civ.». Il tema è di indubbio fascino. Tuttavia, una sua analisi dettagliata esulerebbe dal precipuo scopo di questa ricerca.

possibile assetto di interessi che prima del contratto non esisteva» (

590

), fino a divenire – all’esito di

un percorso circolare che sarebbe condurrebbe a una certa impasse per chi risulta invece affezionato

al richiamo dogmatico – bene in senso giuridico (

591

).

Il precipitato della “tempesta perfetta” generata dall’intreccio dei fenomeni sopra riportati

(parziale crisi del numerus clausus dei diritti reali; rivoluzione in senso copernicano della diadi

oggetto-soggetto del rapporto giuridico; presenza sempre più arcigna di uno Stato regolatore,

nonché di un ipertrofismo della normativa sovranazionale; progressiva reificazione del contratto)

trova emersione nel dilemma logico-sistematico generato dal corretto inquadramento delle entità

che hanno dapprima assunto la generica denominazione di nuovi beni o new properties e di recente

quella – meno esotica e maggiormente puntuale – di «beni ad utilità definita», in quanto costituiti al

precipuo fine di originare un mercato – e garantirne il corretto funzionamento (

592

). Nei

micro-sistemi definiti dai c.d. environmental markets, la semplice attribuzione di rilevanza giuridica

all’entità che ne costituisce elemento unitario, ancorché immateriale, è concepita in stretta vicinanza

con la sua negoziabilità (

593

). Diversamente da quanto accade ad es. nei mercati finanziari, i

meccanismi in esame consistono di un ulteriore fattore: il raggiungimento di un preciso obiettivo in

termini di protezione ambientale, ragguagliabile precipuamente nell’effettiva implementazione del

cap alle emissioni o all’energia prodotta/risparmiata nell’arco temporale di riferimento (

594

).

(590) N. LIPARI, op. loc. ult. cit.. Quanto detto sembra peraltro riverberarsi in maniera particolarmente sensibile sulle contattazioni in ambito energetico, ove si assiste alla proliferazione di accordi – come quello di rendimento energetico, o Energy Performance Contract (EPC), introdotto originariamente dal d. legis. n. 115/2008 e poi riformato dal d. legis. n. 102/2014 – in cui, anziché prodursi una reale modificazione dell’assetto di interessi privati delle parte, si procede all’individuazione di una funzione che rileva per l’ordinamento in quanto misurabile (cfr. A. ZOPPINI, L’efficienza

energetica: spunti di diritto privato, cit., 360). Non casualmente, infatti, gli EPC sono oggetto di crescente interesse da

parte della civilistica italiana, riscontrabile in un – direttamente proporzionale – numero di pubblicazioni sul punto, fino al recente approdo nella trattatistica (cfr. G. BELLANTUONO, I contratti dell’energia: mercato al dettaglio; fonti

rinnovabili; efficienza energetica, nel Trattato dei contratti, diretto da ROPPO, V, Milano, Giuffrè, 2014, 1393-1397);

cfr. inoltre, tra gli altri, i recenti contributi di M. MAUGERI, Il contratto di rendimento energetico e i suoi “elementi

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