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Il cambiamento di prospettiva della Corte di Cassazione: la sentenza delle Sezioni Unite n 2207/2005.

EFFETTI DELLE INTESE VIETATE SUI CONTRATTI A VALLE: RICOSTRUZIONE CRITICA DELLE TESI PROSPETTATE

2.6. Il cambiamento di prospettiva della Corte di Cassazione: la sentenza delle Sezioni Unite n 2207/2005.

La svolta della nostra giurisprudenza nazionale è segnata dalla sentenza n.

2207/2005108, con cui le Sezioni Unite della Cassazione hanno riconosciuto definitivamente il diritto del consumatore di essere risarcito per il danno subito a seguito del comportamento anticoncorrenziale delle imprese ex art. 33 legge antitrust nazionale, di competenza della Corte d’Appello in unico grado, territorialmente competente109.

La suddetta sentenza ha segnato un progresso molto importante per quanto riguarda gli interessi tutelati dalla normativa antitrust poiché ha statuito che “la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia un interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico

107 La Corte di Giustizia, già a partire dagli anni ’60 e, soprattutto, dalla nota sentenza Van Gend & Loos

del 1963, a proposito delle norme del Trattato, poi ribadito anche a proposito dei regolamenti, e più tardi anche delle direttive self executing, aveva stabilito l’importante principio della diretta applicabilità delle norme comunitarie da qualunque giurisdizione nazionale.

108 Cass. S.U., 4 febbraio 2005, n. 2207, in Foro it., 2005, I, p. 1015 ss., con nota di A. PALMIERI – R.

PARDOLESI, L’antitrust per il benessere (e il risarcimento del danno) dei consumatori.

109 Anche rispetto a questa sentenza vi sono stati molteplici commenti da parte della dottrina.

Tra gli altri, si veda: B. LIBONATI, Responsabilità extracontrattuale per violazione di norme antitrust, in Danno e resp., 2005, p. 506 ss.; C. COLANGELO, Antitrust, cartelli e consumatori: l’epilogo dell’affare Rc Auto, in Foro it., 2005, I, p. 1014; M. LIBERTINI, Le azioni civili del consumatore contro gli illeciti antitrust, in Corr. giur., 2005, p. 1093 ss.; M. NEGRI, Il lento cammino della tutela civile antitrust: luci ed ombre di un atteso grand arrêt, ibidem, p. 342; I. PAGNI, La tutela civile antitrust dopo la sentenza 2007/05: la Cassazione alla ricerca della difficile armonia nell’assetto dei rimedi del diritto della concorrenza, ibidem, p. 337.

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pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata. La violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c.c.; il consumatore finale che subisce un danno da una contrattazione che non ammette alternative per effetto di una collusione a monte, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno di cui all’art. 33 della Legge n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da questa ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della Corte d’Appello”110.

La Suprema Corte di Cassazione riconosce, quindi, che la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto ma è la legge di tutti i soggetti che abbiano un interesse concreto al corretto funzionamento del mercato111. Il consumatore che ha acquistato il bene o il servizio interessato dalla violazione può pretendere il risarcimento della differenza tra il prezzo pagato e quello che avrebbe pagato se non ci fosse stata l’intesa illecita (cd. sovrapprezzo anticompetitivo)112.

Dal punto di vista della Corte, quindi, benché l’oggetto immediato della tutela della legge antitrust non sia il pregiudizio subito dal concorrente – in caso contrario,

110 Le Sezioni Unite della Cassazione ribaltano il precedente orientamento della Corte anche sotto altri

due profili: quello della competenza a conoscere delle azioni di risarcimento del danno antitrust, attribuita alla Corte d’Appello, come previsto dall’art. 33, l. 287/90, diretta conseguenza del riconoscimento, in capo ai consumatori, della legittimazione ad attivare le tutele previste dalla stessa norma; quello della sorte dei contratti a valle, rilevando come “le due questioni proposte, quella relativa alla legittimazione ad agire e quella relativa alla posizione giuridica dei contratti conclusi tra impresa assicuratrice e cliente “a valle” dell’accordo illecito tra gli imprenditori, costituiscono aspetti del medesimo problema. Ciò in quanto la posizione giuridica del terzo, estraneo all’intesa, che afferma di averne subito gli effetti, ne determina la legittimazione ad agire”.

111 In linea con l’evoluzione giurisprudenziale sul danno ingiusto, pervenuta sino a disancorare la

risarcibilità del danno dalla lesione di un diritto soggettivo, le S.U. ribadiscono che: «l’area della risarcibilità non è, quindi, definita da altre norme recanti divieti e, pertanto, costitutive di diritti, bensì da una clausola generale, espressa dalla formula danno ingiusto, in virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, ossia inferto in difetto di una causa di giustificazione. Ne consegue che la norma sulla responsabilità aquiliana non è norma (secondaria) volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bensì una norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui».

Una conferma in tal senso si rinviene anche nell’art. 4, comma 1, della l. 287/90 ove, in materia di autorizzazione delle intese, si fa riferimento a quelle che diano luogo a miglioramenti delle condizioni di offerta ed abbiano effetti tali da comportare un sostanziale beneficio per i consumatori.

112 C. Giust. CE, 13 luglio 2006, Manfredi, dal C-295/04 al C-298/04, in Racc. 2006, I-6619; Cassazione

civile 2305/2007, in Danno e resp., 2007, p. 755 ss., nonché in Corr. giur., 2005, p. 1093 ss., con nota di M. LIBERTINI, Le azioni civili del consumatore contro gli illeciti antitrust.

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l’intesa sarebbe sanzionata sempre e non solo quando è idonea ad impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante113 – ma il mantenimento della struttura concorrenziale del mercato, non si può negare il carattere plurioffensivo del comportamento vietato, potendo ledere anche il patrimonio del singolo, a prescindere dal fatto che sia concorrente o meno dell’autore dell’intesa vietata.

La Corte sostiene, inoltre, che “Il consumatore, che è l’acquirente finale del prodotto, chiude la filiera che inizia con la produzione del bene. La funzione illecita di un’intesa si realizza con la sostituzione del suo diritto di scelta effettiva tra prodotti in concorrenza con una scelta apparente”. E ciò quale che sia lo strumento che conclude tale percorso illecito. A detto strumento non si può attribuire un rilievo giuridico diverso da quello della intesa che va a strutturare, giacché il suo collegamento funzionale con la volontà anticompetitiva a monte lo rende rispetto ad essa non scindibile”114.

Ne consegue che la funzione anticoncorrenziale viene realizzata non solo con l’intesa a monte ma anche con il contratto «a valle», che di essa costituisce lo sbocco necessario a realizzarne gli effetti e che, essendo omologato agli altri contratti offerti sul mercato è tale, ad avviso della Corte, da eludere la possibilità di scelta da parte del consumatore.

113 A tal proposito le S.U. del 2005 sottolineano come la legge antitrust non si occupa dell’intesa tra i

barbieri di un piccolo paese a conferma dell’assunto per cui oggetto immediato della tutela della normativa non è il pregiudizio del concorrente ma il mantenimento della struttura concorrenziale del mercato, anche se poi tale pregiudizio viene riparato con la repressione dell’intesa. Nell’ottica della Corte, quindi, la struttura concorrenziale del mercato non viene intaccata quando, pur essendo posto in essere un comportamento astrattamente conforme alla fattispecie vietata, esso non sia in concreto, per la sua dimensione, in grado di incidere sulla struttura del mercato.

114 Le S.U., sulla base di tali premesse, affermano che l’assicurato che intende esercitare l’azione

risarcitoria deve dimostrare un adeguato nesso di causalità tra il comportamento anticoncorrenziale e il danno ingiusto. La giurisprudenza si era, per contro, dimostrata discordante sul punto posto che, accanto ad alcune pronunce che avevano ritenuto l’aumento dei prezzi della polizza una conseguenza normale dell’intesa tra compagnie assicurative, altre avevano ritenuto, per contro, non sussistere il nesso di causalità e, per tale ragione, avevano respinto le domande risarcitorie degli assicurati, ritenendo che l’intesa non poteva essere considerata la causa immediata e diretta del danno (aumento della polizza) subito dagli assicurati, i quali avrebbero avuto la possibilità di stipulare altro contratto di assicurazione con altra impresa, e quindi evitare il danno. La Corte di Cassazione ha, invece, ritenuto che il giudice è legittimato ad accertare il nesso di causalità tra la condotta anticoncorrenziale e il danno ingiusto ricorrendo a presunzioni o a criteri di alta probabilità logica che fa derivare il danno dall’intesa illecita, essendo sufficiente per l’assicurato, allegare la polizza e l’accertamento amministrativo dell’intesa e consentendo alla controparte di produrre elementi di prova contrari, ossia dimostrare che l’aumento della polizza sia dipeso da altri fattori, diversi dall’intesa, in grado di spezzare il nesso di causalità.

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Pertanto la Corte stabilisce che “La previsione del risarcimento sarebbe meramente retorica se si dovesse ignorare, considerandolo circostanza negoziale distinta dalla “cospirazione anticompetitiva” e come tale estranea al carattere illecito di questa, proprio lo strumento attraverso il quale i partecipi alla intesa realizzano il vantaggio che la legge intende inibire”.

Quello che le SU vogliono dire in sostanza è che, poiché l’intesa a monte e il contratto a valle condividendo la stessa funzione, ossia quella di realizzare l’alterazione del mercato concorrenziale115, non possono non condividere anche la stessa sorte e, quindi, non essere considerati parimenti illeciti, dando luogo al diritto del consumatore leso ad ottenere il risarcimento dei danni patiti.

È la stessa Corte che afferma che “… l’accertamento della nullità (di un’intesa) è il presupposto della eliminazione del pregiudizio in una prospettiva esplicitamente risarcitoria”, senza tuttavia chiarire quale sia la sorte del contratto che l’impresa stipula a valle con il consumatore, lasciando aperta la questione sulla sua validità o invalidità.

Peraltro, così come l’intesa da sola non è in grado di alterare l’equilibrio del mercato, analogamente anche il singolo contratto non è in grado autonomamente di produrre l’effetto anticoncorrenziale di cui all’art. 2 che si realizza, invece, con la diffusa e ripetuta stipulazione di contratti il cui contenuto è conforme alle regole stabilite nel cartello116.

Per contro, se si ha riguardo al versante europeo, pur non essendo prevista neanche ivi una disciplina espressa sulla sorte dei contratti «a valle», è pacifico che la Commissione europea possa eliminare direttamente le conseguenze pregiudizievoli dei comportamenti contrari alla concorrenza, imponendo alle imprese di rinegoziare le

115 G. GIOIA, Vecchie intese e nuove nullità, in Giust. civ., 2000, p. 12, secondo cui: «l’intesa non dà

vantaggi immediati ad alcuna delle parti, ma attraverso la successiva attuazione, finisce indirettamente con l’avvantaggiare tutte le parti. In questo caso, la funzione del contratto non si esaurisce con l’esecuzione delle obbligazioni delle parti, la quale costituisce, invece, la premessa di un’attività ulteriore, la cui realizzazione rappresenta la finalità del contratto e l’interesse delle parti».

116 Si veda al proposito G. ROSSI, Effetti della violazione di norme antitrust sui contratti tra imprese e

clienti: un caso relativo alle norme bancarie uniformi, in Giur. it., 1996, p. 212 ss.

Ciò risulta evidente con riferimento alle n.b.u. predisposte dall’ABI e trasfuse, da parte delle singole banche ad essa aderenti, nei contratti conclusi con la propria clientela. Tali norme sono state ritenute in contrasto con l’art. 2 legge antitrust italiana da parte della Banca d’Italia.

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clausole del contratto o riconoscendo ai clienti il diritto di recedere dal contratto medesimo117.

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