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La tesi della nullità relativa.

EFFETTI DELLE INTESE VIETATE SUI CONTRATTI A VALLE: RICOSTRUZIONE CRITICA DELLE TESI PROSPETTATE

2.8. La tesi della nullità del contratto «a valle».

2.8.4. La tesi della nullità relativa.

Alla luce delle considerazioni svolte, e della molteplicità di soluzioni prospettate, è d’obbligo indagare ulteriormente sulla categoria della nullità negoziale e sulle sue possibili implicazioni.

A tale riguardo è opportuno prendere le mosse da un’altra tesi che è stata sostenuta, con riguardo alla sorte dei contratti «a valle», ossia quella della nullità di protezione172.

La tesi della nullità relativa o di protezione nasce dall’esigenza di accostare al rimedio risarcitorio anche un rimedio che vada ad incidere direttamente sulla pattuizione iniqua comportandone un riequilibrio, e la nullità di protezione sembrerebbe idonea proprio a contemperare le diverse esigenze che si pongono173.

Tale figura di nullità, in linea con il trend di derivazione comunitaria, è assoggettata ad una disciplina derogatoria di quella codicistica caratterizzata, in particolare, dalla relatività e dalla non rilevabilità d’ufficio, essendo prevista solo nell’interesse di una delle parti contraenti, cioè quella economicamente più debole, e

172 In tal senso: S. POLIDORI, Discipline delle nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, p. 39 ss.; A.

BERTOLOTTI, Illegittimità delle norme bancarie uniformi per contrasto con regole antitrust ed effetti sui “contratti a valle”, cit., p. 345 ss.; G. GIOIA, Vecchie intese e nuove nullità, cit., p. 23 ss.

173 Così I. PAGNI, La tutela civile antitrust dopo la sentenza n. 2207/2005, cit., pp. 337-342, la quale

afferma che: «nella materia in cui si discorre vi è spazio per entrambe le azioni: quella di nullità derivata, quante volte l’oggetto che nasce illecito nel primo contratto che dà corso alle intese rimanga tale lungo l’intera catena negoziale; e quella di risarcimento del danno extracontrattuale, in via sussidiaria quante volte non vi sia spazio per la prima forma di tutela (per difetto dei presupposti dell’invalidità, principale e derivata: ad esempio, per mancanza di un’intesa di natura negoziale dalla cui illiceità far derivare la nullità degli atti negoziali conseguenti, o perché l’oggetto dell’intesa non viene affatto replicato nei contratti a valle), o si voglia convenire in giudizio un soggetto diverso dal proprio contraente diretto, al quale non può essere imputata alcuna responsabilità». Per contro M. NEGRI, Il lento cammino della tutela civile antitrust, cit., 2005, p. 342 ss., sostiene la tesi opposta dell’incompatibilità tra invalidità negoziali e risarcimento del danno. Tale opinione si ritrova anche in C. LO SURDO, Il diritto della concorrenza, cit., p. 170.

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dalla parzialità necessaria174. Altra caratteristica della nullità di protezione, divergente dalla disciplina tradizionale della nullità, e sempre finalizzata a garantire la tutela del contraente debole, sta nel fatto che la nullità parziale del contratto o di singole clausole non importa la nullità dell’intero contratto, e ciò a prescindere dalla volontà ipotetica delle parti e dall’esistenza di norme imperative che sostituiscano, di diritto, le clausole viziate, come invece prevede l’art. 1419 c.c.175

Il codice del consumo art. 36 sembra assurgere oggi a statuto centrale della figura della nullità di protezione, giustificato dal disposto dell’art. 1421 c.c. che nell’incipit della norma fa salve diverse disposizioni di legge, per tutte le figure di nullità protettive, le quali possono essere fatte valere solo dal consumatore, alternativo alla nullità codicistica, la quale sembra inadeguata per la tutela degli interessi in gioco, ossia dei consumatori, parti deboli del rapporto contrattuale, ma anche della stabilità ed efficienza dei traffici e, quindi, del mercato176.

Una volta ammesso che esiste nel nostro ordinamento una nuova categoria generale di nullità cd. di protezione, questa risulterebbe applicabile tutte le volte in cui ricorre la medesima ratio di protezione della parte debole del rapporto, che non è tuttavia il suo interesse particolare ma un interesse tutelato in quanto il soggetto debole

174 Si riscontra, quindi, un mutato quadro legislativo che ha imposto all’interprete un ripensamento in

merito alla categoria generale della nullità, la quale si presenta graduata in base all’interesse protetto dalla norma violata. La nullità di protezione si discosterebbe dalla nullità codiscistica in quanto non ne possiederebbe i caratteri essenziali, quali l’insanabilità, l’imprescrittibilità, l’assolutezza e la natura dichiarativa dell’azione. Tale impostazione avrebbe, quindi, il pregio di tutelare la parte contrattualmente più debole, al fine di evitare le conseguenze caducatorie della nullità mediante la conservazione del contratto, previa sostituzione della clausola colpita da nullità, consentendo al tempo stesso al consumatore di continuare ad avvalersi del contratto stipulato, e a beneficiare del bene o servizio acquistato, in ossequio al principio di conservazione del contratto, previa sostituzione della clausola nulla.

175 Critiche alla suddetta tesi sono state mosse da F. PARRELLA, Disciplina antitrust nazionale e

comunitaria, nullità sopravvenuta, nullità derivata e nullità virtuale delle clausole dei contratti bancari a valle, in Diritto della banca e del mercato finanz., 1996, p. 507 ss.pp. 545-546, il quale rileva le difficoltà insiste nel conciliare la nullità di protezione con la disciplina della nullità dettata in via generale dal codice civile. Contesta, in particolare, il carattere relativo della nullità, sulla base dell’assunto per cui la nullità sarebbe assoluta, e l’impossibilità di ricostruire la nullità parziale se non sulla base della volontà ipotetica delle parti, nonostante la legislazione speciale preveda diverse forme di nullità di protezione a tutela del contraente debole.

176 Secondo gli autori che seguono questa impostazione, l’istituto della nullità di protezione, con il proprio

statuto normativo, previsto dal legislatore comunitario per una serie di fattispecie - quali il patto che realizza l’abuso di dipendenza economica, previsto dall’art. 9 della l. 192 del 1998 sulla subfornitura, la disciplina sulle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, ecc. - sarebbe applicabile in via analogica anche ai contratti stipulati tra imprese e consumatori nella prospettiva di valutare la congruenza economica dello scambio. Si veda in proposito: G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995, p. 49 ss., il quale rileva che «la sommaria ricognizione sin qui svolta consente di delineare l’ipotesi che la nullità abbia assunto quanto a fondamento sostanziale e trattamento, natura di tecnica speciale, non eccezionale, per la tutela di un contraente, sicché si renda possibile l’integrazione analogica del sistema».

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è esponente di una categoria sociale meritevole di tutela177.

Nel caso che qui ci occupa, la nullità dei contratti che l’impresa collusa stipula con i propri clienti sarebbe, dunque, prevista solo a vantaggio del consumatore quale parte contrattualmente più debole, l’unico legittimato a farla valere e, sempre nel suo esclusivo interesse, colpirebbe solo le clausole affette da nullità, in quanto riproduttive dell’intesa illecita a monte, garantendo la conservazione del contratto.

Pur essendo la sanzione della nullità prevista per proteggere interessi di rilevanza pubblicistica, ossia per reprimere condotte anticoncorrenziali tenute sul mercato, in violazione del divieto che impone alle imprese di astenersi dal porre in essere tale tipo di condotte, sussiste l’esigenza di tutelare anche l’interesse della parte contrattualmente più debole – sia esso consumatore, subfornitore o impresa danneggiata dall’intesa -, leso dal singolo contratto cui ha preso parte, il quale dovrebbe essere eliminato solo ad istanza della parte che ha realmente interesse178.

Ma come più volte si è sottolineato, il contraente quasi mai ha interesse alla eliminazione totale del contratto ma, all’opposto, mira alla conservazione del medesimo, - rappresentando il mezzo con il quale, spesso, si procura beni o servizi di prima necessità, difficilmente sostituibili - previa correzione mediante sostituzione della clausola viziata179.

La nullità radicale, viceversa, comporterebbe la totale caducazione del contratto con obblighi restitutori ed inoltre, essendo la relativa legittimazione a farla valere assoluta, anche l’impresa che ne è autrice potrebbe invocarla, con pesanti conseguenze

177 M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali. Per una teoria della

moderna nullità relativa, Padova, 2008, p. 1 ss. e 322 ss., il quale evidenzia come «attualmente, la categoria delle nullità di protezione è testimone evidente della cd. frantumazione della nullità, vale a dire di come non esista più una nullità intesa come vizio originario del contratto, che possa essere fatto valere da tutti e che possa essere sempre rilevato d’ufficio da parte del giudice. Al contrario, si deve ritenere che esista una variegata tipologia di figure di nullità del contratto nell’ambito delle quali rientrano sia le nullità assolute che, poste a tutela degli interessi inderogabili dell’ordinamento, possono essere rilevate dalle parti e dai terzi interessati oltre che, d’ufficio, dal giudice; sia le altre nullità a legittimazione ristretta che, poste a tutela di alcuni ceti sociali e/o di soggetti spesso determinati per status, possono essere rilevate solo da questi con il conseguente temperamento della rilevabilità d’ufficio».

178 La dottrina è ormai tendenzialmente incline ad ammettere che uno stesso fatto materiale rilevi sia

come fattispecie generatrice di responsabilità aquiliana sia come integrante gli estremi di una violazione contrattuale. Così G. VETTORI, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Riv. dir. priv., 2003, p. 249 ss.

179 A. BERTOLOTTI, Qualche ulteriore considerazione su intese vietate, contratti “a valle” e sanzione di

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sull’efficienza e sulla certezza dei traffici180.

Per questo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti tendono a riconoscere al consumatore una tutela prettamente risarcitoria, garantendogli la reintegrazione patrimoniale del pregiudizio economico subito181.

2.8.4.1. Critica.

Tuttavia, al fine di accogliere questa tesi, occorre valutare se la disciplina della nullità di protezione, ora contenuta nell’art. 36 cod. cons., sia applicabile ai contratti «a valle», direttamente o in via analogica.

Mentre parte della dottrina ritiene che l’art. 36 cod. cons. sia applicabile in via analogica182, altri nega che l’applicazione analogica possa essere predicata nel caso di specie perché presupporrebbe una lacuna normativa che deve essere riempita, laddove invece la disciplina della nullità è quella dettata in via generale dagli artt. 1418 e ss. c.c. che non distinguono tra le fonti della nullità, salvo deroghe espresse contenute in altre leggi.

Chi ne sostiene l’applicabilità tende a superare la citata obiezione evidenziando come lo statuto della nullità di protezione, relativa, nel senso che può essere fatta valere solo dalla parte debole del rapporto e parziale, perché circoscritta alle sole clausole contrattuali che riproducono le condizioni fissate a monte dell’accordo anticoncorrenziale, è posto a tutela del contraente debole che risulterebbe privo di tutela se fosse riconosciuta anche all’impresa la legittimazione a farla valere e se comunque l’invalidità colpisse l’intero negozio, ed è dunque suscettibile di essere applicata a

180 V. SCALISI, Nullità ed inefficacia nel sistema europeo dei contratti, cit., pp. 210-211, il quale afferma

che: «la nullità dei contratti “a valle” rientra di pieno diritto nel concetto di nullità relativa, o nullità di protezione della parte debole del negozio, unica legittimata a farla valere, in modo da evitare che sia l’altra parte a poter paralizzare il contratto. Se, d’altra parte, si interpretasse la nullità come assoluta, dovrebbero considerarsi legittimati a farla valere solo i diretti interessati, ossia gli imprenditori concorrenti lesi dall’intesa». Ciò determinerebbe secondo S. BASTIANON, Antitrust e tutela civilistica: anno zero, in Danno e resp., 2003, p. 397, un’ingiustificata disparità di trattamento, perché si escluderebbe la legittimazione del consumatore che è stato parte del contratto e la si riconoscerebbe a terzi, solo in quanto imprenditori lesi ai sensi dell’art. 2 della legge, ma che non sono stati parti del contratto.

181 Vi sono dei casi, poi, in cui la nullità del contratto “a valle” risulta esclusa in modo evidente: si pensi

al caso dei contratti posti in essere in esecuzione di un’intesa vietata relativa alla ripartizione dei mercati, in cui ciascuna impresa si astiene dall’intervenire nell’ambito territoriale riservato alle altre. In tale ipotesi, ad essere in contrasto con la normativa antitrust non sono tanto i contratti posti in essere da ciascuna impresa nella zona ad essa riservata, ma l’illecito si consuma già con l’astensione delle altre imprese dallo stipulare contratti nelle zone assegnate ai propri concorrenti.

182 G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit., p. 50; G. D’AMICO, Nullità virtuale-nullità di protezione

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qualsiasi contratto stipulato dal consumatore, a prescindere dal fatto che tale contratto sia previsto dal codice civile o da altra legge183.

Tuttavia, un’indagine che voglia essere rigorosamente positiva non può superare il dato normativo e basarsi esclusivamente su una ratio protezionistica.

Ne consegue che, trattandosi di un’ipotesi eccezionale rispetto alla nullità codicistica, della quale non ne possiede le caratteristiche fondamentali quali l’insanabilità, l’imprescrittibilità, l’assolutezza e la natura dichiarativa dell’azione, è insuscettibile di applicazione analogica, sicché il fatto di operare a tutela della parte contrattualmente più debole, non può giustificare l’applicabilità di un regime derogatorio rispetto alla disciplina generale184.

L’impostazione suddetta risulta avvalorata tanto dall’art. 15 delle preleggi che espressamente vieta l’applicazione dell’analogia alle norme eccezionali, ossia alle norme che derogano a regole generali, sia dall’art. 1421 c.c. che nell’incipit della norma fa salve diverse disposizioni di legge, con la conseguenza che le figure di nullità protettive, derogano alle disposizioni di legge di cui agli art. 1418 e ss., debbono essere espressamente previste in altre leggi185.

183 In tal senso si veda A. BERTOLOTTI, Qualche ulteriore considerazione su intese vietate, cit., p. 1213, il

quale afferma che: «la nullità del contratto “a valle” sembra rientrare di pieno diritto nel concetto di nullità relativa, o nullità di protezione della parte debole del negozio, unica legittimata a farla valere, in modo da evitare che sia l’altra parte a poter paralizzare il contratto». Favorevole all’applicazione della disciplina speciale della nullità anche M. NEGRI, Risarcimento del danno da illecito antitrust e foro per la tutela del consumatore, cit., p. 755 ss. Contro l’applicazione analogica della “nullità virtuale di protezione” si veda: P. SCHLESINGER, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, p. 229 ss.; G. VILLA, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, p. 121. Secondo l’Autore, infatti, «le nullità di protezione discendono da previsioni testuali di legge e non sono suscettibili di applicazione analogica».

184 A sostegno della tesi opposta: G. PASSAGNOLI, op. cit., p. 78 ss.

185 Contrario all’applicazione della disciplina speciale alle ipotesi di nullità dei contratti stipulati tra

imprese e consumatori M. ONORATO, Nullità dei contratti, cit., p. 199 ss., il quale rileva come l’applicazione analogica al caso in questione non sia configurabile posto che la stessa presupporrebbe una lacuna normativa che non esiste, essendo sempre applicabile la disciplina dettata dagli artt. 1419 ss. c.c. applicabile ad ogni contratto salvo deroghe espressamente previste in altre leggi. Inoltre, sempre secondo l’Autore, l’art. 36 cod. cons. non sarebbe applicabile neanche in via diretta, poiché tale nullità sarebbe circoscritta alle clausole vessatorie, mentre l’invalidità dei contratti “a valle” deriva dall’avere un contenuto uniforme a quelli stipulati dalle altre imprese colluse con gli utenti e non perché fatto di clausole vessatorie come richiesto dall’art. 36. Dunque, quando il contratto presenta clausole vessatorie, si applica la regola della nullità parziale di cui all’art. 36; quando invece non le contiene si applicherebbe la disciplina generale di cui all’art. 1419 c.c.

67 2.9. I rimedi diversi dalla nullità. 2.9.1. La tesi dell’annullabilità.

Alla luce di quanto osservato, la dottrina è stata indotta a prospettare diverse tesi, tra cui quella che riconosce l’annullabilità dei negozi stipulati dal consumatore finale per vizio del consenso, poiché il consumatore, controparte contrattualmente più debole, subirebbe un abuso perpetrato dall’impresa collusa con cui ha contrattato, con applicazione analogica di tale rimedio alla fattispecie dei contratti «a valle»186, e della relativa disciplina contenuta negli artt. 1425 e ss. c.c.

La dottrina sostenitrice della tesi dell’annullabilità parte dal presupposto che la nullità del contratto «a valle», per i caratteri che la contraddistinguono quali la legittimazione assoluta, la rilevabilità d’ufficio, le regole in materia di nullità parziale, nonché per le pesanti conseguenze caducatorie che comporta, portando appunto alla inefficacia totale dell’atto, risulta un rimedio del tutto inadeguato a tutelare il contraente che ha subito un comportamento abusivo perpetrato dall’altro187.

Stante il principio di tipicità dei vizi della volontà nonché l’impossibilità di estendere in via analogica la disciplina specificatamente prevista per una singola ipotesi di annullabilità188, il problema viene risolto non mediante l’applicazione analogica di uno specifico vizio del consenso, quale la violenza o il dolo, all’abuso di cui si discute, ma in forza dell’applicazione del rimedio generale dell’annullabilità, ritenuta applicabile tutte le volte in cui ricorra il medesimo (o analogo) sopruso di una parte in danno dell’altra189.

2.9.1.1. Critica.

Anche questa tesi, in realtà, presta il fianco a diverse obiezioni.

La prima critica avanzata alla tesi in esame consiste nel fatto che il consenso del consumatore non è per nulla viziato, in quanto egli ha concluso il contratto in modo

186 A tal proposito si veda M. MELI, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese

anticoncorrenziali, cit., p. 190 e ss.

187 G.T. ELMI, La tutela di fronte all’A.G.O., cit., p. 334 propende per un’applicazione analogica del

rimedio dell’annullabilità alla fattispecie dei contratti a valle, in particolare ritenendo che l’esistenza di una collusione a monte determini la sussistenza di un vizio del consenso del contraente a valle, incidendo sul processo di formazione della sua volta che viene, per l’appunto, a formarsi in modo viziato.

188 M. MELI, op. cit., ritiene che si tratterebbe di una “forzatura” del dato testuale.

189 M. MELI, op. cit., p. 196. Per l’autrice: «non si tratta di desumere da una regola di responsabilità (il

comportamento scorretto) una conseguenza sul piano dell’invalidità negoziale, ma di ricondurre l’ipotesi di abuso a quelle dei vizi del consenso eteroindotti, evidenziandone l’identità di ratio».

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consapevole, e se pure le condizioni praticate dall’impresa avrebbero potuto essere diverse qualora si fossero formate in un regime liberamente concorrenziale, non si può dire che esse non siano state conosciute e volontariamente applicate dal consumatore190.

In secondo luogo, essa non risulta soddisfacente a spiegare quelle ipotesi in cui non via stato un approfittamento dello stato di dipendenza economica della parte contrattualmente più debole al fine di addivenire alla stipula del contratto191.

Ma la principale difficoltà che si incontra con questa tesi, consiste nell’individuare il fondamento normativo dell’annullabilità, che non può essere rinvenuto nella disciplina codicistica192.

Per tali contratti, infatti, è già prevista una disciplina, contenuta appunto nella legge antitrust che, in quanto speciale, prevale su quella generale contenuta nel cod. civ. relativamente alle cause di annullabilità193.

La tesi in questione è quindi da rigettare.

Altra parte della dottrina ritiene, invece, applicabile la disciplina del dolo incidente di cui all’art. 1440 c.c.194, rimedio che consentirebbe la conservazione del contratto – ne è infatti escluso l’annullamento – e l’applicazione del solo rimedio risarcitorio, peraltro non limitato all’interesse negativo195, ma riferito alle migliori condizioni contrattuali a cui sarebbe stato possibile concludere il negozio «a valle», in assenza dei raggiri della controparte che abbia agito in mala fede, (che è pari alla differenza fra le condizioni contrattuali che si sarebbero avute ove non ci fosse stata l’attività ingannatoria, e quelle che in concreto si sono avute per effetto di tale attività)196, sul presupposto che l’eliminazione del contratto non soddisfi il reale

190 C. LO SURDO, Il diritto della concorrenza tra vecchie e nuove nullità, cit., p. 191, per il quale «(…)

non sembrano affatto integrati gli estremi del dolo civilistico».

191 M. LIBERTINI, Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2002, pp. 451-

458.

192 F. LONGOBUCCO, Violazione di norme antitrust e disciplina dei rimedi nella contrattazione a valle,

Napoli, 2009, p. 138 ss.

193 M. ONORATO, op. cit., p. 157.

194 Tradizionalmente l’art. 1440 c.c. è stato considerato norma eccezionale, in quanto prevede il

risarcimento del danno nonostante la validità del contratto, quindi insuscettibile di applicazione analogica, stante il disposto dell’art. 14 preleggi, sicché la violazione delle regole di validità non comporterebbe il risarcimento del danno quando il contratto sia stato validamente concluso.

195 Il danno risarcibile nei limiti dell’interesse negativo deriva dal pregiudizio afferente all’aver confidato

nella conclusione di un contratto che non è stato stipulato, nell’aver impiegato risorse nella conclusione di un contratto inutile (invalido o inefficace), infine ancora nell’aver concluso un contratto a condizioni che sarebbero state diverse qualora non si fosse manifestata l’ingerenza antigiuridica della condotta di un terzo. In tal senso v. C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. III, Milano, 2000, p.175.

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