• Non ci sono risultati.

La funzione della causalità giuridica nel nostro ordinamento al fine di selezionare le conseguenze dannose risarcibili di un illecito antitrust.

ESPERIENZE A CONFRONTO

4.3. La funzione della causalità giuridica nel nostro ordinamento al fine di selezionare le conseguenze dannose risarcibili di un illecito antitrust.

Come si è avuto modo di constatare, il problema di individuare i soggetti che possono vantare un danno risarcibile in quanto causalmente collegato all’illecito antitrust viene risolto dal diritto della concorrenza americano attraverso le regole dell’antitrust injury e della remoteness o proximate cause399, in base alle quali i privati

possono ottenere il risarcimento dei danni subiti a condizione che sussista un nesso di causalità tra il comportamento posto in essere dal convenuto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e gli effetti anticompetitivi che ne derivano e che il danno da essi subito derivi dagli effetti anticompetitivi tipici della violazione che la normativa antitrust intende prevenire, e che comunque i danneggiati non si trovino ad una distanza eccessiva dagli autori dell’infrazione.

399 La Section 4 del Clayton Act si limita ad affermare, analogamente alla Corte di Giustizia nel noto e più

volte richiamato caso Courage, nonché nei vari documenti della Commissione e da ultimo nella Direttiva del 2014, che «chiunque abbia subito un danno nella sua attività commerciale o nella sua proprietà a causa di una condotta antimonopolistica ha diritto di chiederne ed ottenerne il risarcimento».

Gli ulteriori criteri in questione sono stati appunto elaborati dalla giurisprudenza per delimitare i soggetti legittimati ad agire per il risarcimento. La regola della proximate cause si pone in completa antitesi rispetto all’indagine compiuta da parte dei giuristi continentali, posto che per stabilire quali conseguenze risarcire prescinde del tutto dall’accertamento della causalità dal punto di vista naturalistico, basandosi su un criterio puramente giuridico, per lo più individuato nella efficienza economica. In base al realismo americano il problema della causalità si risolve in una valutazione di opportunità, mentre i vari criteri utilizzati per il suo accertamento «non solo non forniscono all’operatore un criterio per decidere, ma anzi rimettono all’arbitrio dell’operatore l’adozione di un criterio di decisione piuttosto che un altro». Tali considerazioni sono proprie di G. TARELLO, Il realismo giuridico americano, Milano, 1962, p. 131.

147

È evidente come, applicando i suddetti criteri, sia possibile selezionare quali, tra i possibili danni conseguenti ad illeciti antitrust, meritano di essere risarciti, restando esclusi, ad es., quei danni che risultano da effetti pro-competitivi delle condotte contrarie alla normativa a tutela della concorrenza, come nel caso ARCO e nel caso Brunswick.

Ricordiamo, infatti, come in quest’ultimo caso, la Corte ha riconosciuto che una concertazione contraria alla normativa antitrust (come quella del caso in questione) è idonea a produrre una serie di conseguenze pregiudizievoli di diversa natura, ma solo quei danni che derivano dagli effetti anticoncorrenziali assumono la qualifica di antitrust injury e pertanto possono essere presi in considerazione in un’azione ai sensi della Sezione 4 del Clayton Act.

Nel caso concreto, la Corte ha osservato che gli attori reclamavano i profitti che avrebbero conseguito nel caso in cui i quattro impianti di bowling fossero falliti, in assenza dell’acquisizione; pertanto, le perdite subite traevano origine da un aspetto pro- competitivo dell’operazione di acquisizione, cioè il salvataggio degli operatori acquisiti dal rischio di fallimento, senza che i danni potessero in alcun modo essere ricondotti a ciò che rendeva l’acquisizione contraria alle norme sulla concorrenza, ossia la creazione di un potere di mercato in capo a Brunswick.

Ciò posto, è d’obbligo interrogarsi sulla possibilità di utilizzare tale criterio anche nel nostro ordinamento, al fine di individuare un criterio di carattere generale, utile a selezionare i soggetti che, tutti astrattamente legittimati, possono avere concretamente accesso alla tutela risarcitoria, tenuto conto dell’estrema diversità dei due sistemi.

Va detto, anzitutto, che il requisito dell’antitrust injury svolge una funzione assimilabile a quella svolta nel nostro ordinamento dalla clausola dell’ingiustizia del danno e dal criterio della causalità giuridica, seppure sono diverse le finalità perseguite nei due sistemi, consistenti nell’individuazione del più efficiente attore privato nelle cui mani concentrare l’azione risarcitoria civile, in funzione deterrente, poiché egli svolge un ruolo pubblico, sostituendosi agli organi amministrativi400, nel primo; essenzialmente compensativa del danno subito dalla vittima, nel secondo.

148

Inoltre, diversamente dal sistema americano, né la disciplina nazionale né, in ambito europeo, la nuova direttiva sulle azioni di risarcimento del danno antitrust, forniscono utili indicazioni al fine di circoscrivere l’ambito dei soggetti titolari del diritto di agire in giudizio per il risarcimento dei danni antitrust, limitandosi quest’ultima a riaffermare401 che chiunque abbia subito un danno anticoncorrenziale ha diritto di essere risarcito e a dettare alcune regole in tema di passing on, lasciando quindi aperta e non risolta la questione.

L’attuale inefficacia delle azioni risarcitorie antitrust è dunque ascrivibile, principalmente, alla notevole incertezza del diritto402.

Le regole elaborate dal sistema americano consentono di circoscrivere in qualche modo l’ambito dei soggetti che abbiano subito un danno anticoncorrenziale causalmente riconducibile all’illecito antitrust, cioè un danno che rientra nello scopo delle norme antitrust, purché siano stati direttamente lesi dalla pratica anticoncorrenziale403.

Tuttavia, nel nostro sistema di responsabilità civile, il riferimento che appare senz’altro più adeguato, per selezionare le conseguenze dannose risarcibili degli atti illeciti è quello che rimanda al tema della causalità, ed in particolare alla causalità giuridica.

Quanto sin qui osservato pone in luce, dunque, l’estrema rilevanza di un’indagine avente ad oggetto l’accertamento del legame causale intercorrente tra illecito anticoncorrenziale ed evento dannoso anche nel nostro ordinamento.

Per ottenere il risarcimento del danno derivante da un illecito anticoncorrenziale, infatti, il danneggiato dovrà dare la prova non solo dell’esistenza di una violazione della disciplina della concorrenza, ma anche di aver subito un danno, nonché l’esistenza di un collegamento causale tra la violazione della disciplina antitrust lamentata ed il danno subito.

La prova della violazione della normativa antitrust, infatti, se è sufficiente per ottenere la condanna dell’autore dell’illecito alla sanzione irrogata dall’Autorità amministrativa, non lo è invece per dar luogo al risarcimento del danno antitrust.

401 Come già previsto nel Libro Bianco, par. 2.6, p. 8 con la precisazione che anche i consumatori finali,

acquirenti indiretti, hanno diritto al risarcimento dei danni antitrust.

402 M. COLANGELO, Le evoluzioni del private enforcement: da Courage al Libro Bianco, in Europa e dir.

priv., 2008, 3, p. 675.

149

La giurisprudenza esclude in modo unanime la teoria del danno in re ipsa, che consentirebbe al giudice di basarsi esclusivamente sul provvedimento amministrativo per considerare provato il danno antitrust, nelle cause risarcitorie follow-on404.

Il danno deve, quindi, essere provato secondo i principi generali in tema di responsabilità aquiliana405.

Nelle cause stand-alone, poi, un provvedimento sanzionatorio dell’Autorità garante neppure sussiste, sicché è il danneggiato a dover provare, da solo, l’esistenza dell’illecito.

È evidente come, in tale ultima ipotesi, il danneggiato incontri maggiori difficoltà nell’assolvere l’onere probatorio su di lui gravante, per il fatto che gli elementi decisivi sono normalmente in possesso del convenuto, o comunque di terzi, ed è estremamente difficile per lui non solo venirne a conoscenza ma anche produrli in giudizio una volta scoperti.

La questione dell’accesso alle prove da parte delle vittime rappresenta, per tale ragione, un punto chiave al fine di rendere più efficienti le azioni giudiziarie in materia.

Su questo punto interviene la recente direttiva 104/2014, che disciplina proprio l’aspetto relativo alla divulgazione delle prove.

Si prevede che i giudici nazionali hanno il potere di divulgare categorie precise di prove rilevanti e in circostanze tassative, così da salvaguardare gli interessi delle imprese coinvolte.

L’attore deve raccogliere tutti i mezzi di prova necessari a dimostrare di aver subito un danno per effetto dell’illecito, e allo stesso tempo dimostrare di non poter reperire in altro modo le prove richieste. La richiesta, ad ogni modo, deve essere sufficientemente precisa, rilevante, necessaria e proporzionata.

Nel caso in cui all’impresa autrice dell’infrazione sia stato concesso un trattamento favorevole (cd. leniency programme) per essersi impegnata ad eliminare le violazioni, si pone il problema se tali programmi siano utilizzabili nel giudizio risarcitorio, stante che comporterebbero una situazione più sfavorevole per l’impresa che ha deciso di autodenunciarsi, rispetto a quella dei concorrenti, coautori dell’illecito.

404 Tale principio è stato affermato a partire dalla sentenza Manfredi, in cui la Corte di Giustizia ha

statuito che «tutte le intese restrittive della concorrenza sono nulle ma non tutte comportano il sorgere del diritto al risarcimento del danno; soltanto se il ricorrente riesca a dar prova dell’esistenza del nesso di causalità tra l’illecito e il danno avrà diritto ad ottenere tale risarcimento».

150

Per incentivare il ricorso a tale strumento, è tuttavia necessario assicurare all’impresa un trattamento di favore.

Il danneggiato, peraltro, ha anche a disposizione gli ordinari rimedi previsti dal codice di procedura civile, quali la prova testimoniale, la produzione di documenti, l’interrogatorio formale della controparte, il deferimento del giuramento decisorio ed in particolare l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio406.

Occorre, dunque, premettere alcune considerazioni di carattere preliminare sulle tematiche della causalità, al fine di selezionare le conseguenze risarcibili degli illeciti antitrust407.

Si può affermare che costituisce un illecito il fatto difforme dal diritto, ossia il comportamento umano, attivo o omissivo, in contrasto con una norma giuridica.

La nozione di illecito è strettamente connessa a quella dell’ingiustizia del danno, in forza del quale va risarcito solo il danno ingiusto, arrecato non iure, ovvero in assenza di una causa di giustificazione, che lede un interesse rilevante per l’ordinamento408.

È possibile affermare che l’illecito civile rappresenti una fattispecie a formazione complessa, articolata in cinque elementi costitutivi:

- Il fatto, ossia il comportamento umano che può consistere tanto in un’azione che in un’omissione;

- L’elemento soggettivo, ossia il dolo o la colpa del responsabile del fatto;

- L’evento, che è il risultato finale del comportamento illecito, potenzialmente lesivo;

- Il danno, ossia le conseguenze dannose del fatto illecito, che costituisce l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria;

406 M. TAVASSI, L’istruttoria nei giudizi antitrust, in Diritto processuale antitrust, Milano, 1998, pp. 261

ss.

407 Come ha osservato la dottrina, la causalità rappresenta uno tra i vari strumenti di cui i giudici si

servono concretamente per imputare un danno ad un responsabile, o per limitare le conseguenze di un fatto illecito astrattamente risarcibili. In tal senso VENEZIANO A. – GIANCOTTI G., La causalità nella responsabilità extracontrattuale, in La responsabilità civile, vol. IX, (a cura di) Cendon, Torino, 1998, pp. 3 e 24.

408 Dall’art. 2043 c.c., norma dettata in materia di fatto illecito, secondo il quale «Qualunque fatto doloso

o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno» emerge che il sostantivo “danno” ricorre due volte, con due diverse accezioni. Una prima volta è accompagnato dall’aggettivo ingiusto e la seconda volta, invece, è privo di qualsiasi qualificazione. Secondo la dottrina, al danno ingiusto si contrappone il danno conseguenza, inteso come pregiudizio risarcibile del fatto illecito. In questo senso si veda: M. CAPECCHI, op. cit., p. 22; G. VISINTINI, Tratt. breve della resp. civile. Fatti illeciti. Inadempimento. Danno risarcibile, Padova, 1999, p. 589.

151

- Il nesso di causalità, nel suo duplice aspetto di collegamento tra il comportamento e l’evento, e tra il fatto e le sue conseguenze dannose.

152

CAPITOLO V

Outline

Documenti correlati