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Il nesso di causalità nell’illecito civile: il dato normativo.

NESSO DI CAUSALITA’ E ONERE DELLA PROVA

5.2. Il nesso di causalità nell’illecito civile: il dato normativo.

Non vi è, tuttavia, unanimità di vedute su quale sia la teoria causale che meglio si presta a soddisfare le specifiche esigenze dell’imputazione penalistica o della responsabilità civilistica426.

In ambito civile, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio vuoto normativo: l’art. 1227 c.c. nell’ambito della responsabilità contrattuale e l’art. 2043 c.c. in materia di illecito aquiliano si limitano a strutturare, rispettivamente, il rapporto tra fatto (doloso o colposo) ed evento (dannoso) in termini di “cagionare”, senza ulteriori specificazioni427.

In assenza di un’articolata disciplina codicistica, sono state elaborate numerose teorie al riguardo, per lo più in ambito penale e poi importate anche nel settore civile della responsabilità extracontrattuale.

426 G. TARELLO, Il realismo giuridico americano, Milano 1962, p. 128-131, secondo il quale «i diversi

criteri proposti per l’accertamento del nesso causale non solo non forniscono all’operatore uno strumento decisionale, ma finiscono per rimettere al suo arbitrio l’adozione di un criterio di decisione piuttosto che un altro».

427 M. CAPECCHI, op. cit., p. 13, il quale evidenzia che tutte le disposizioni del codice civile che

prevedono ipotesi di responsabilità civile «si limitano a richiedere l’esistenza del nesso causale quale elemento della fattispecie, senza in alcun modo disciplinarne le modalità di accertamento. È necessario quindi individuare in via interpretativa i criteri da seguire in tale accertamento, in quanto il legislatore non ha provveduto a dettare alcuna disciplina, nonostante questa lacuna fosse già stata riscontrata anche nella previgente legislazione».

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La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono che l’unica disposizione codicistica che affronta espressamente il tema della causalità civile sia rappresentata dall’art. 1223428, dettato nell’ambito della responsabilità contrattuale, e applicabile anche in sede extracontrattuale in virtù del rinvio che ad esso opera l’art. 2056 c.c., a tenore del quale «il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta»429.

I profili maggiormente problematici relativi all’interpretazione della disposizione citata sono essenzialmente due: da un lato, si tratta di stabilire se il suo campo di applicazione concerna l’accertamento del nesso di causalità materiale o, viceversa, sia diretta alla selezione delle conseguenze dannose risarcibili; dall’altro, si tratta di interpretare la locuzione «immediate e dirette»430.

428 Con l’art. 1223 c.c. il legislatore ha integralmente riprodotto l’art. 1229 del codice civile del 1865, che

a sua volta ricalcava l’art. 1151 del cod. Nap. con il quale i redattori avevano riassunto il pensiero di Pothier circa i danni che il debitore inadempiente è tenuto a risarcire, il quale, presupponendo già individuato il soggetto responsabile, fissa i criteri in virtù dei quali determinare il contenuto dell’obbligazione risarcitoria, mirando a circoscrivere il contenuto e l’estensione del danno risarcibile alle sole conseguenze “immediate e dirette”. In particolare il giurista francese, rifacendosi all’es. dell’animale compravenduto affetto da malattia contagiosa, il quale arrechi al compratore una serie di danni, distingue i danni risarcibili, ossia il valore dello stesso animale nonché degli altri animali contagiati escludendo, invece, la risarcibilità degli ulteriori danni, quali ad es. la mancata coltivazione dei terreni per mancanza di animali, nonché il dissesto economico del compratore che, a causa del mancato raccolto, non è stato in grado di adempiere ai suoi impegni, così che i suoi beni sono stati sottoposti ad esecuzione forzata, in quanto danni indiretti, ossia costituenti conseguenza remota di un danno in precedenza prodotto, quindi solo indirettamente e mediatamente derivato dalla condotta illecita, in apparente aderenza con il significato letterale della distinzione tra danni diretti e indiretti. Tuttavia, al fine di dimostrare che non tutti i danni indiretti sarebbero esclusi dal risarcimento, introduce il concetto di «danno necessario», quale danno che, pur essendo indiretto, sarebbe risarcibile in quanto non poteva essere evitato dal danneggiato, nemmeno usando l’ordinaria diligenza, mentre lo stesso non può essere considerato «necessario» quando sono intervenute altre cause estranee senza le quali non si sarebbe prodotto o avrebbe comunque potuto essere evitato, in modo da escludere l’esistenza di un nesso causale necessario o sufficiente tra il danno e il comportamento colpevole del danneggiante. Ne consegue che il nesso di causalità risulta interrotto non per il carattere remoto del danno ma per il fatto che il danno era evitabile con la normale diligenza dal creditore/danneggiato. Il danno «indiretto» verrebbe ad assumere nel pensiero del giurista il significato di «danno non necessario», cosicché anche un danno riflesso, e quindi remoto, può essere «necessario». Per una ricostruzione più dettagliata del pensiero di Pothier, si veda P. FORCHIELLI, op. cit., p. 43 ss., il quale ritiene che le considerazioni fatte a proposito del cod. Nap. valgano anche per il cod. civ.

429 In tal senso A. DE CUPIS, Il danno (Teoria generale della responsabilità civile), Milano, 1951, p. 110

ss.; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, p. 336 ss.; D. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato, II, Torino, 1958, n. 632, p. 63 ss.

Contra P. FORCHIELLI, op. cit., p. 21, per il quale l’art. 1223 c.c. non è l’unica norma positiva dettata dal legislatore in materia di causalità civile, ma vi sono altre norme, inspiegabilmente trascurate, che si riferiscono allo stesso problema.

159 5.3. La causalità giuridica.

Al centro del dibattito dottrinale sul tema della causalità nell’illecito civile si pone, quindi, il problema se l’art. 1223 c.c. possa applicarsi alla verifica del nesso di causalità cd. materiale, tra condotta ed evento lesivo, o se tenda unicamente a selezionare le conseguenze dannose risarcibili431.

La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria ritengono, infatti, che l’indagine sull’elemento causale vada distinta in due fasi: l’una, diretta all’accertamento della causalità materiale tra il comportamento astrattamente considerato e l’evento dannoso, la quale svolge la funzione di imputare il fatto illecito al responsabile, l’altra, diretta all’accertamento della causalità giuridica tra evento dannoso e conseguenze pregiudizievoli che ne scaturiscono al fine di delimitare l’ambito del danno risarcibile432.

431 È significativo il fatto che l’art. 1223 c.c. sia richiamato dall’art. 2056 per determinare l’estensione del

risarcimento e non dall’art. 2043 per l’estensione stessa della responsabilità. L’art. 2043, infatti, nel sancire l’obbligo del risarcimento a carico di «colui che ha commesso il fatto», presuppone già un nesso di causalità che consenta l’attribuzione di un dato fatto a colui che ne debba rispondere. Ciò confermerebbe che l’art. 1223 presuppone già risolto il problema della responsabilità, e mira unicamente a stabilirne il contenuto, l’estensione. Non si tratta, dunque, di un problema di causalità, ma di ammontare del danno risarcibile.

432 La scomposizione del nesso causale sarebbe confermata, nell’ambito della responsabilità

extracontrattuale, dalla stessa lettera dell’art. 2043 c.c., nel quale il sostantivo “danno” ricorre due volte, in una prima è accompagnato dall’aggettivo “ingiusto”, una seconda, senza alcuna qualificazione, relativo alle conseguenze economiche pregiudizievoli.

La giurisprudenza di legittimità si è espressa a favore della scomposizione del nesso causale a partire dalla storica sentenza Meroni, Cass., 16 ottobre 2007, n. 21619, in Corr. giur., 2008, p. 35 ss. con nota di M. Bona. Contrario alla distinzione tra le due categorie di nesso di causalità, C. SCOGNAMIGLIO, Responsabilità civile, in Novissimo Digesto italiano, Torino, 1968, p. 650 secondo il quale «siffatta duplicazione del rapporto causale sembra costituire già a prima vista un artificio logico, e rappresenta in effetti la fonte di grossi equivoci in una questione già di per sé delicata». Per tale autore «il rapporto di causalità rilevante non può che essere uno, quello che si pone tra la fattispecie soggettiva e il danno, considerato come suo evento terminale»; P. FORCHIELLI, op. cit., p. 25 ss., il quale rileva, a tal proposito che: «non sembra che l’illecito civile si presti alla distinzione tra danno evento e danni conseguenze; e ciò per la decisiva ragione che sotto il profilo civilistico ogni danno, purché legato a una determinata condotta illecita va sempre e inevitabilmente considerato evento in senso tecnico. Talché, a mio parere, il diritto civile a differenza del diritto penale non ha spazio per la categoria del danno conseguenza, inteso quale danno non rientrante nella fattispecie illecita». La conseguenza di tale impostazione è l’applicabilità dell’art. 1223 per stabilire il rapporto di causalità in relazione ad ogni danno. In contrasto con tale interpretazione F.D. BUSNELLI, La lesione del credito da parte del terzo, Milano, 1964, p. 123, il quale osserva come: «la rilevata tendenza ad imperniare il problema causale su un’unica ricerca (quella tra condotta ed evento), se indubbiamente si impone in diritto penale, non sembra, per contro validamente giustificarsi in campo civilistico (in cui l’ulteriore rapporto tra fatto e conseguenze dannose acquista un rilievo preminente); e ciò neppure sulla base della dianzi criticata parificazione fra concetti di evento e di danno, giacché, così facendo, si verrebbe a forzare l’ordine naturale delle cose». Vi sono, poi, degli autori che, pur riconoscendo, contrariamente a Forchielli, la distinzione tra danno ingiusto e danno pregiudizio, sono comunque favorevoli all’applicazione dell’art. 1223 anche per disciplinare l’accertamento del nesso di causalità materiale tra fatto e danno ingiusto, oltre al rapporto tra fatto e danno risarcibile: C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, p. 624.

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Innanzitutto bisognerebbe accertare il nesso di causalità tra condotta illecita e danno ingiusto, onde stabilire se la prima sia stata la causa del secondo. Questo primo accertamento verrebbe compiuto attraverso i criteri delineati dagli artt. 40 e 41 c.p.433

Tale preliminare indagine ha ad oggetto l’an del risarcimento e prende il nome di causalità naturale o di fatto434.

Una volta risolto il problema della imputazione del fatto e, quindi, dell’individuazione del soggetto responsabile, si tratta di delimitare l’ambito della risarcibilità delle singole conseguenze dannose.

Secondo la tesi attualmente dominante, l’art. 1223 c.c., richiamato espressamente dall’art. 2056, lungi dall’occuparsi del rapporto tra condotta ed evento lesivo, cd. causalità materiale, e dunque dell’an del risarcimento, presuppone già risolto il problema della responsabilità (art. 1218 c.c.)435, mirando unicamente a circoscrivere l’area del danno risarcibile, alle sole conseguenze pregiudizievoli immediate e dirette436. Detto in altri termini, la normativa in esame serve ad affrontare soltanto un aspetto della tematica che viene riportata nell’ambito della causalità, cioè quell’aspetto che consiste nel porre la questione: l’inadempimento o il fatto illecito sono cause necessarie di determinate conseguenze lontane e immediate, o soltanto l’occasione?

433 Nonostante le peculiarità che caratterizzano la responsabilità civile, si può affermare che, con riguardo

alla prima fase dell’accertamento causale, non sussiste sostanziale differenza tra come opera il nesso causale nel diritto penale e nella responsabilità civile con riferimento all’individuazione del responsabile. Nell’ambito della stessa responsabilità civile, poi, tale accertamento è sicuramente più semplice nel caso della responsabilità contrattuale dove, per stabilire l’an debeatur, è necessario verificare che la prestazione non sia stata adempiuta o, se l’adempimento è divenuto impossibile, che l’impossibilità non sia dipesa da causa imputabile al debitore. Accertato l’an, si procede poi alla valutazione del quantum. Nella responsabilità aquiliana, invece, l’accertamento dell’an (causalità materiale) è più complesso, in quanto si deve verificare la sussistenza sia dell’elemento soggettivo, sia di quello oggettivo, ossia del rapporto di causalità tra il fatto del danneggiante e il danno ingiusto. Compiuto tale accertamento, si deve passare alla selezione delle conseguenze dannose risarcibili (causalità giuridica) con gli stessi criteri delineati in ambito contrattuale, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 2056 c.c.

434 M. CAPECCHI, op. cit., p. 20; G. ALPA, La responsabilità civile, Torino, 1997, p. 326.

435 Osserva al riguardo F. REALMONTE, op. cit., pp. 169-170, che: «l’art. 1223 c.c. presuppone già risolta

la questione se la mancata realizzazione del risultato utile per il creditore dedotto nel rapporto obbligatorio, costituisca inadempimento e si riferisca esclusivamente alle situazioni dannose ulteriori causate da quest’ultimo; riguarda, in altri termini, il problema della determinazione del contenuto dell’obbligazione risarcitoria che grava sul debitore inadempiente».

436 Così G. VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, p. 557. Una dottrina

minoritaria nega che l’art. 1223 c.c. abbia un fondamento causalistico: tra questi, F. CARNELUTTI, Perseverare diabolicum (a proposito del limite della responsabilità per danni), in Foro it., 1952, IV, p. 99; ed P. SCHLESINGER, La ingiustizia del danno nell’illecito civile, in Jus, 1960, p. 346.

Tale dottrina minoritaria sostiene la tesi dell’unicità del giudizio di causalità tra fatto e danno, il quale andrebbe compiuto prima di pervenire alla selezione dei danni risarcibili.

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Essa sancisce il principio di rilevanza del nesso di causalità tra inadempimento (o fatto illecito) e danno ai fini del sorgere del diritto al risarcimento dei danni subiti, ma non chiarisce quali siano i criteri di accertamento della sussistenza di tale nesso poiché la norma presuppone che sia già risolto (in senso positivo) il problema della esistenza del collegamento eziologico437. E tale problema, secondo l’opinione comune in dottrina come in giurisprudenza, va affrontato sulla scorta dei criteri ermeneutici desumibili dagli artt. 40 e 41 del codice penale438.

La norma suddetta sarebbe rivolta, quindi, a risolvere esclusivamente il problema della cd. causalità giuridica, ossia della determinazione del danno risarcibile439.

437 L. GORLA, op. cit., p. 409 ss.; G. VISINTINI, Risarcimento del danno, cit., p. 200 ss.; Id., Il criterio

legislativo delle conseguenze dirette ed immediate, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, (a cura di) Visintini, Milano, 1984, p. 10.

438 Peraltro, se normalmente per causalità naturale si intende il rapporto causale che lega il

comportamento lesivo con il danno evento e per causalità giuridica il rapporto che lega il fatto illecito alle conseguenze dello stesso, si assiste, talvolta, ad un impiego di tali espressioni in un’accezione diversa. La causalità naturale viene, cioè, intesa come causalità nella natura, ossia del mondo fenomenico, e si contrappone alla causalità giuridica che è la causalità rilevante per il diritto e che costituisce una porzione limitata della prima. In tal senso si veda: C. SCOGNAMIGLIO, (voce) «Responsabilità civile», cit., p. 651; A. DE CUPIS, op. cit., p. 114; G. VALCAVI, Sulla causalità giuridica nella responsabilità civile da inadempimento e da illecito, in Riv. dir. civ., 2001, II, p. 1008.

439 G. GORLA, Sulla cosiddetta causalità giuridica: «fatto dannoso e conseguenze», in Riv. dir. comm.,

1951, I, p. 405 ss., secondo il quale «l’art. 1223 presuppone che di un dato fatto, che comprende anche un evento, si debba rispondere in base ad altre regole che non siano quelle dello stesso art. 1223. Questo articolo si limita a considerare le conseguenze o eventi successivi a quel fatto-evento; ma il rapporto di causalità e la ragione di responsabilità, all’interno di questo fatto, l’art. 1223 li presuppone disciplinati da altre norme». Questo orientamento è ora sostenuto da G. VISINTINI, (a cura di), I fatti illeciti III, Causalità e danno, Padova, 1999, p. 255 e ss.

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