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La risarcibilità dei danni immediati e diretti ai sensi dell’art 1223 c.c.

NESSO DI CAUSALITA’ E ONERE DELLA PROVA

5.4. La risarcibilità dei danni immediati e diretti ai sensi dell’art 1223 c.c.

A questo punto occorre domandarsi che cosa debba intendersi per conseguenze “immediate e dirette” dell’inadempimento o, che è la stessa cosa, quand’è che ricorre il nesso di causalità tra inadempimento (o fatto illecito) e danno440.

La stessa disposizione, dopo aver stabilito che la reintegrazione del patrimonio leso debba essere integrale, limita il risarcimento alle sole conseguenze immediate e dirette dell’inadempimento stabilendo, così, la necessità che ricorra un nesso di causalità tra l’illecito e la misura dell’obbligazione risarcitoria.

Autorevole dottrina ritiene che con il termine “immediato” si alluda a quei danni che vanno direttamente ricollegati alla condotta illecita e non sono conseguenza di altri danni441.

Accogliendo questa interpretazione, ne deriverebbe come conseguenza che i danni mediati non sarebbero risarcibili, con evidente mancata giustificazione di fronte ad un danno pur immediato, ma estremamente esiguo o, all’opposto, di un danno mediato ma di ingente entità442.

Ancora più complessa risulta la distinzione tra danni diretti e danni indiretti.

440 Sul tema della causalità si vedano, tra gli altri, P. TRIMARCHI, op. cit., p. 14 ss.; F. REALMONTE, Il

problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, Milano, 1967, p. 13 ss.; G. GORLA, op. cit., p. 405 ss.; P. FORCHIELLI, op. cit., p. 22-23, il quale rileva come in dottrina emergono due diverse interpretazioni dell’art. 1223 c.c. Secondo la prima, accolta dalla dottrina maggioritaria, il requisito della natura «diretta ed immediata» del danno, è un requisito che la legge esige per qualsiasi danno, sia quello iniziale che quelli successivi e, in tal caso, non essendo concepibile illecito civile senza danno, per stabilire se sia in presenza di un illecito civile occorre stabilire non solo che una condotta ha prodotto danni, ma che si tratta di danni immediati e diretti. In tale prospettiva, l’art. 1223 c.c. si confonde con il problema della causalità civile. Accogliendo, viceversa, la seconda interpretazione, per la quale occorre distinguere due diversi problemi causali, quello tra condotta ed evento e quello tra ciascuno dei danni prodotti, escluso quello iniziale, e la condotta illecita, si ammette che solo questa seconda relazione risulta disciplinata dall’art. 1223, mentre il danno iniziale sarebbe sempre risarcibile, anche se mediato e indiretto. Secondo questa impostazione, l’art. 1223 sarebbe autonomo rispetto al problema di natura causale. Secondo l’Autore, tuttavia, «se la distinzione tra danno-evento e danni-conseguenze trova la sua ragion d’essere nel diritto penale; nel diritto civile, invece, ogni danno, purché legato ad una condotta illecita, va sempre considerato evento in senso tecnico, mentre non vi sarebbe spazio per il danno- conseguenza, quale danno non rientrante nella fattispecie illecita. Ritiene, quindi, che l’impostazione in base alla quale la natura «diretta ed immediata» del danno si applicherebbe solo ai danni-conseguenze e non anche al danno-evento, non ha alcuna consistenza. Occorre, invece, aver riguardo allo scopo pratico perseguito da ciascuna norma, i base al quale il legislatore, di volta in volta, costruisce la fattispecie comprendendovi la sola condotta, o solo una parte delle relative conseguenze. Ritiene, pertanto, che l’evento costitutivo ed essenziale di ogni illecito civile debba necessariamente consistere in una lesione patrimoniale, in un danno cioè civilmente inteso che, per essere risarcito, deve rientrare nella fattispecie prevista dall’art. 2043, costituendone l’evento in senso tecnico. Inoltre, non solo il danno-evento, ossia il danno iniziale, ma anche i danni-conseguenze rappresentano l’evento in senso tecnico dell’illecito.

441 Così A. DE CUPIS, Il Danno. Teoria generale della responsabilità civile, I, Milano, 1980, p. 119 ss.; D.

BARBERO, Sistema del diritto privato italiano, I, Torino, 1962, p. 65.

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Con il termine “danno indiretto” si vuole indicare o il danno che non consiste nella lesione diretta di un bene ma pregiudichi un incremento patrimoniale futuro, come il lucro cessante o la conseguenza riflessa di un danno in precedenza prodotto443, che consisterebbe in un danno indirettamente e mediatamente derivato dalla condotta illecita, o alla circostanza che il soggetto che subisce un danno indiretto è diverso da quello che subisce un danno diretto o, ancora, nell’ipotesi in cui il soggetto passivo del danno diretto era la fonte del guadagno del soggetto passivo del danno indiretto444.

La dottrina si mostra incline ad oltrepassare il significato letterale dell’art. 1223 c.c.445, e allo stesso modo si comporta la giurisprudenza che in più occasioni ha riconosciuto la risarcibilità dei danni diretti e mediati446.

Il danno indiretto o mediato è quel danno evitabile, ossia quel danno che pur essendo provocato da una causa remota, in esso si inserisce una condotta successiva di un altro soggetto, che può essere lo stesso danneggiato o un terzo, in grado di evitare il danno447.

443 D. BARBERO, op. cit., p. 64.

444 P. FORCHIELLI, op. cit., p. 36, il quale, a tal proposito, riporta dell’es. della moglie che deve

accontentarsi di un mantenimento minore, a causa delle diminuite capacità di guadagno del marito.

445 Così P. TRIMARCHI, op. cit., p. 9, per il quale l’art. 1223 c.c. vigente, riproducendo l’art. 1151 Code

Napoleon, ha accolto il principio della “causalità necessaria”: il danno non è necessario quando a produrlo siano intervenute altre cause estranee, senza le quali il danno stesso non si sarebbe verificato o, comunque, avrebbe potuto essere evitato. Ne consegue che il nesso causale tra illecito e danno si interrompe non a causa del carattere remoto del danno ma per l’evitabilità del danno da parte del creditore diligente potendo, quindi, essere risarciti anche i danni mediati e indiretti.

Nello stesso senso si vedano: A. DE CUPIS, op. cit., p. 110 ss.; F. MESSINEO, op. cit., p. 336 ss.; D. BARBERO, op. cit., p. 63 ss.

446 La giurisprudenza è costante nel ritenere che il danno risarcibile per inadempimento (o fatto illecito)

sia delineato dal criterio della cd. regolarità causale, nel senso che andrebbero risarciti i danni diretti e immediati nonché quelli mediati e indiretti che rientrano nella serie delle conseguenze normali del fatto, in base ad un giudizio di probabile verificazione rapportato all’apprezzamento dell’uomo di ordinaria diligenza. In tal senso si veda Cass., 6 marzo 1997, n. 2009, in Rep. Foro it., 1997, (voce) Obbligazioni e contratti, n. 571; Cass., 24 marzo 2000, n. 3536, in Danno e resp., 2000, 6, p. 599.

In sostanza, secondo la giurisprudenza, un evento dannoso sarebbe da considerare come conseguenza di un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, cd. teoria della condicio sine qua non, dovendosi all’interno delle serie causali così determinate dare rilievo solo a quelle che, nel momento in cui si produce l’evento causante, non appaiono del tutto inverosimili in base alla teoria della causalità adeguata o della regolarità causale.

447 Il riferimento normativo si rinviene nell’art. 1227, comma 2, c.c. secondo il quale il risarcimento è

escluso per quei “danni che il creditore avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza”. E se ciò vale per quei danni imputabili a colpa del danneggiato, a maggior ragione lo stesso effetto si dovrà produrre quando si inserisca la condotta di un terzo, tale per cui risulta ripugnante addebitare il danno alla condotta remota in presenza della colpa di un terzo soggetto.

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In presenza di più cause umane imputabili, quindi, il giudice è chiamato a ricercare la causa prossima giuridicamente rilevante dell’illecito, escludendo le cause più remote448.

Come anticipato, il danno si compone di due voci: il danno emergente e il lucro cessante. La liquidazione tanto dell’uno quanto dell’altro richiede che il danneggiato ne dia prova dell’esistenza, non essendo sufficiente la sola dimostrazione del fatto illecito per ottenerne il risarcimento449.

Il primo viene definito come la diminuzione economica, in sé considerata, ossia il danno che si sarebbe evitato con l’esatto adempimento, o il mancato compimento dell’atto illecito450.

Il lucro cessante, invece, è il mancato profitto, cioè il mancato incremento del patrimonio conseguente all’inadempimento (o al fatto illecito)451.

La norma in questione si occupa, quindi, della valutazione e della liquidazione del danno risarcibile.

448 P. FORCHIELLI, op. cit., p. 63-64.

449 La dimostrazione del danno viene normalmente fornita attraverso il giudizio ipotetico di differenza tra

la situazione quale sarebbe stata senza il verificarsi del fatto dannoso e quella effettivamente avvenuta. Così Cass. 19 settembre 2008 n. 23897.

450 La giurisprudenza ha considerato la perdita di chance come un danno attuale e risarcibile, consistente,

non nel lucro cessante, ma nel danno emergente da perdita di possibilità attuali, a condizione che il soggetto che ne chiede il risarcimento provi la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta

451 Secondo la giurisprudenza la liquidazione del lucro cessante presuppone almeno la prova, sia pure

indiziaria, della utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità, e non di mera possibilità, il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta, e deve perciò essere esclusa per quei mancati guadagni che sono meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte. Si veda, a tal proposito: Cass., 3 settembre 1994, n. 7647, in RFI, 1994, (voce) Obbligazioni e contratti, n. 319. La risarcibilità o meno del lucro cessante non si può rapportare ad un problema causale, proprio perché in tali casi non si è di fronte ad un evento che sia il risultato di una condotta, come prevede l’art. 40 c.p. Ne consegue che per il lucro cessante la determinazione del limite di estensione del risarcimento va stabilita con altri criteri che non siano quelli della causalità. In altri termini, il danno inteso quale ripercussione patrimoniale sfavorevole di un dato fatto non costituisce un’entità suscettibile di essere spiegata in termini causali. Inoltre, per il risarcimento del lucro cessante deve essere provato che il danno si produrrà nel futuro secondo una fondata e ragionevole previsione, e non solo in caso di assoluta certezza. Il creditore/danneggiato, per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da mancato guadagno deve dare la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che secondo un rigoroso giudizio di probabilità e non di possibilità avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta o il fatto illecito non fosse stato commesso, e va quindi escluso per i mancati guadagni meramente ipotetici.

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Tradizionalmente il danno viene definito come la differenza tra la consistenza del patrimonio del danneggiato quale è in seguito al fatto lesivo e quella che avrebbe avuto in mancanza del fatto dannoso452.

Secondo il dettato legislativo il risarcimento del danno per inadempimento o per il ritardo deve comprendere tanto la perdita subita dal creditore quanto il mancato guadagno. La giurisprudenza è costante nel ritenere che la reintegrazione del patrimonio leso deve essere integrale; infatti la misura del danno non deve essere necessariamente contenuta nei limiti di valore del bene danneggiato ma deve avere ad oggetto l’intero pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, essendo il risarcimento diretto alla completa restitutio in integrum del patrimonio leso.

Il risarcimento del danno, quindi, sia esso contrattuale o extracontrattuale, ex artt. 1223 e 2056, deve porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza il verificarsi dell’evento lesivo, trovando il suo presupposto nella effettiva perdita subita, senza risolversi in un vantaggio patrimoniale per il soggetto leso, dovendo la determinazione delle conseguenze patrimoniali negative limitarsi alla perdita subita e al mancato guadagno453.

Deve escludersi, pertanto, che il risarcimento possa condurre il danneggiato in una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato in mancanza del fatto illecito, ed inoltre il risarcimento va escluso anche quando il danno, anche in mancanza del fatto del convenuto si sarebbe comunque verificato e sarebbe rimasto definitivamente a carico del danneggiato454.

452 Così Cass., 16 dicembre 1988, n. 6856, in RFI, 1988, (voce) Danni civili, nn. 58 e 266.

In dottrina: P. TRIMARCHI, op. cit., p. 169 ss.; G. VISINTINI, Risarcimento del danno, in Trattato diretto da Rescigno, 9, I, Torino, 1999, p. 254; U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica Zatti, Milano, 1991, p. 635.

453 V. CARBONE, sub Art. 1223, in La Giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro

IV, Delle obbligazioni, a cura di U. Bellini, V. Carbone, L. Delli Priscoli, G. Marziale, H. Simonetti, G. Stella Richter, p. 523.

454 P. FORCHIELLI, Causalità e danno, Milano, 1967, p. 56 ss., secondo il quale il danneggiato non può

essere garantito contro quei rischi cui sarebbe stato comunque esposto, anche in assenza dell’illecito. Applicato all’ambito antitrust, l’impresa danneggiata da un illecito escludente, non avrebbe diritto di ottenere il risarcimento per la fuoriuscita o il mancato ingresso nel mercato, qualora questo si sarebbe comunque verificato, anche in mancanza della condotta anticoncorrenziale, per es. per mancanza di efficienza.

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