• Non ci sono risultati.

Gli altri soggetti del mercato “terzi” rispetto all’intesa illecita legittimati all’azione risarcitoria antitrust.

L’AZIONE RISARCITORIA ANTITRUST

3.6. Gli altri soggetti del mercato “terzi” rispetto all’intesa illecita legittimati all’azione risarcitoria antitrust.

Accanto ai consumatori e ai concorrenti, si tratta di capire se sussistano ulteriori categorie di soggetti astrattamente legittimati ad attivare la tutela risarcitoria per le ipotesi di violazione di norme antitrust.

È noto, infatti, come le condotte antimonopolistiche siano suscettibile di arrecare una molteplicità di effetti sul mercato, nei confronti delle diverse categorie di soggetti che, a qualunque titolo, si trovino ad operare in esso, incidendo sui prezzi dei beni prodotti e sulle condizioni di accesso al mercato, stante la portata plurioffensiva dell’illecito antitrust, più volte affermata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione347.

Va da sé che nella maggior parte delle ipotesi in questione la responsabilità per i danni antitrust avrà natura extracontrattuale, diversamente da quanto accade quando tra i soggetti danneggiati e gli autori della violazione intercorre un rapporto contrattuale – come nel caso dei «contratti a valle» - dove è ipotizzabile una responsabilità di natura precontrattuale.

Si tratta di indagare, pertanto, sulle rilevanti conseguenze “a catena” che un’intesa anticompetitva può comportare.

347 Anche la direttiva 104/2014/UE riconosce all’art. 15 la potenziale idoneità delle condotte antitrust a

propagarsi nei vari livelli della catena produttiva-distributiva. Per tale ragione, tende ad evitare che vi sia pluralità di responsabilità o, al contrario, un’assenza di responsabilità da parte dell’autore della violazione.

126 3.6.1. I fornitori e i distributori.

In particolare, vengono in rilievo due ulteriori categorie di potenziali attori: i fornitori e i distributori.

Quanto ai primi, può trattarsi, innanzitutto, dei fornitori delle imprese partecipanti all’intesa che potrebbero subire un danno dalla diminuzione della domanda causata dall’aumento di prezzo, generato dal cartello, quindi tipicamente da un illecito di sfruttamento.

Analogamente, anche i fornitori di beni e servizi ad imprese che vendano beni comunque legati a quelli oggetto dell’intesa anticompetitiva potrebbero subire un pregiudizio dalla riduzione della quantità acquistata dai consumatori, conseguente all’aumento di prezzo.

Anche un illecito escludente diretto a realizzare la fuoriuscita dal mercato di imprese concorrenti può determinare un danno per i suoi fornitori i quali vengono a perdere un cliente che abitualmente rifornivano.

La differenza rispetto alle altre categorie di soggetti esaminate sta nel fatto che il danno da questi patito non è conseguenza di un’alterazione della concorrenza ma deriva dal proprio cliente il quale a sua volta è stato vittima dell’illecito, ossia ha subito un danno dalla condotta anticoncorrenziale, che ha determinato la sua estromissione dal mercato, così come è possibile che l’impresa abbia scelto autonomamente di fuoriuscire dal mercato, o semplicemente di rifornirsi da un diverso imprenditore, o ancora dalla chiusura dell’impresa determinata dall’inadempimento di un proprio cliente348.

Se, dunque, astrattamente non ci sono dubbi sul fatto che anche tali soggetti rientrino tra quelli legittimati ad esercitare l’azione antitrust, in quanto anch’essi hanno interesse alla conservazione del carattere competitivo del mercato, e presentano interessi coincidenti con quelli tutelati dalla normativa antitrust, è necessario adottare tutte le cautele opportune al fine di evitare che veramente chiunque possa aver accesso alla tutela risarcitoria antitrust, pur non avendo subito in concreto alcun danno.

È opportuno, peraltro, distinguere le ipotesi in cui fornitori e distributori subiscano un danno diretto dalla pratica anticompetitiva, in quanto ne costituiscono le vittime designate, da quelle in cui questi, pur non essendo le vittime designate, possono

127

comunque risentire un pregiudizio dall’illecito antitrust, e in tal caso è più opportuno parlare di “danno riflesso”.

Alcuni esempi aiuteranno a comprendere meglio le diverse ipotesi sopra descritte.

Con riferimento al primo caso, quello cioè in cui fornitori e distributori rappresentano le vittime designate dell’illecito antitrust, si potrebbe immaginare un atto di boicottaggio posto in essere dalle imprese che operano a monte del mercato rispetto alla vittima del cartello, al fine di escludere il fornitore o il distributore.

Il danno patito in tale caso dai fornitori o distributori presenta indubbie analogie con quello patito dai concorrenti a causa di pratiche escludenti realizzate nei loro confronti349.

Per fare un altro esempio, si può pensare ad un cartello di prezzo, di acquisto o di vendita, posto in essere tra i fornitori a danno del distributore, la cui posizione in tal caso è assimilabile a quella dei consumatori350, posto che egli assume la qualità di acquirente, con l’unica differenza che ha la possibilità di traslare il danno subito sugli acquirenti finali.

L’altra ipotesi, ossia quella in cui i distributori e i fornitori subiscono solo un danno riflesso, si verifica quando la condotta anticompetitiva viene posta in essere per colpire un’altra categoria di soggetti, ma inevitabilmente tale illecito produce un danno anche ad essi.

Si pensi all’ipotesi di un cartello posto in essere dalle imprese al fine di escludere un concorrente, con il quale il fornitore/distributore intrattenga rapporti commerciali esclusivi, nel senso che costituisce il suo unico cliente351.

349 Si ricordi il caso, di cui si è parlato in precedenza, sul boicottaggio collettivo posto in essere da alcuni

tour operator ai danni dell’agenzia di viaggi Bluvacanze.

350 P. IANNUCCELLI, il private enforcement del diritto della concorrenza in Italia, cit., p. 748

351 Si veda, in proposito A. TOFFOLETTO, op. cit., p. 370, secondo l’autore i fornitori dell’impresa esclusa

dal mercato non sono legittimati ad esperire la tutela risarcitoria antitrust, i quali saranno assoggettati alle regole generali dettate in materia di illecito aquiliano.

La stessa idea è sostenuta da M. LIBERTINI, Il ruolo del giudice nell’applicazione delle norme antitrust, in Giur. comm., 1998, I, pp. 672-73, il quale afferma che: «Non può invece configurarsi un nesso di causalità diretta per la lesione delle aspettative di guadagno che possono registrarsi a carico di fornitori o dipendenti dell’impresa direttamente danneggiata o anche a carico di contraenti di quest’ultima che abbiano crediti per corrispettivi a percentuale sul fatturato (ad es. in una licenza di brevetto). In tali casi, il danno subito dal terzo è tradizionalmente qualificato come «indiretto», perché in ogni caso dipendente da scelte di comportamento dell’impresa direttamente danneggiata».

128

È evidente come tali fattispecie pongono dei seri problemi circa l’individuazione del nesso di causalità tra la condotta illecita e il danno subito da questa categoria di soggetti, specialmente se si ha riguardo alla disposizione di cui all’art. 1223 c.c., cui l’art. 2056 c.c. dettato in tema di responsabilità extracontrattuale fa rinvio per la determinazione del risarcimento, che prevede che sia risarcibile solo il danno emergente e il lucro cessante, in quanto “conseguenza immediata e diretta della condotta illecita”.

Tra le categorie dubbie si pongono, quindi, coloro i quali assumono di essere stati estromessi da un determinato mercato a causa della condotta anticompetitiva, fornitori di beni o servizi ai partecipanti all’intesa o all’impresa che si trova in posizione dominante, che potrebbero aver subito un danno derivante dalla riduzione delle quantità richieste in seguito all’illecito anticoncorrenziale, o ancora fornitori di beni e servizi ad imprese che vendono prodotti comunque legati a quelli oggetto dell’intesa o condotta anticompetitiva, i quali potrebbero subire una riduzione delle quantità vendute come risultato della pratica commerciale imposta352.

Al di fuori, però, dei suddetti casi dubbi, posso verificarsi altre ipotesi in cui i fornitori/distributori, pur non essendo le vittime direttamente designate dell’illecito, vengono a risentire un danno che può essere qualificato come “riflesso”353.

Rispetto al più generale problema del danno patito dai soggetti terzi, (tale è ad es. quello subito dai fornitori della vittima dell’illecito antitrust) è interessante notare come la dottrina sia divisa sulla risarcibilità o meno dei danni da questi subiti.

Mentre per la dottrina prevalente354 ad essi non potrebbe essere riconosciuto il risarcimento dei danni, mancando un nesso di causalità diretta tra la condotta illecita e il pregiudizio subito, di avviso contrario è altra parte della dottrina355 per la quale anche tali categorie di potenziali attori sono legittimate ad esperire la tutela risarcitoria e anche nei casi in cui non subiscano danni diretti in quanto non rappresentano le vittime designate dell’illecito.

352 L. CAMILLI, P. CAPRILE, R. PARDOLESI, A. RENDA, Il Libro Bianco sul danno antitrust, op. cit., 2008,

pp. 256-257.

353 Si porti l’esempio di un’intesa tra due imprese diretta alla ripartizione del mercato, in esecuzione del

quale un’impresa cessi i suoi rapporti commerciali con il distributore attivo nella zona territoriale assegnata all’altra impresa.

354 A. TOFFOLETTO, op. cit., p. 368 ss.; G. CRESCI, Intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione

dominante (l. 10.10.1990, n. 287), in Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, (a cura di) G. Vettori. Padova, 1999, p. 461; L. NIVARRA, Il secondo comma dell’art. 33. La tutela civile: profili sostanziali, in Diritto antitrust italiano, commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287, (a cura di) A. Frignani, R. Pardolesi, A. Patroni Griffi, L.C. Ubertazzi, vol. II, Bologna, 1993, p. 1457.

129 3.6.2. I lavoratori e i soci investitori.

A subire un danno possono essere anche i produttori di un bene complementare poiché, per effetto dell’aumento di prezzo del bene monopolizzato, che comporta la diminuzione della quantità acquistata dai consumatori356, si viene a ridurre anche la quantità comperata del bene complementare, o ancora i lavoratori che, in seguito ad un’intesa tra imprese diretta ad estromettere dal mercato l’impresa concorrente, loro datrice di lavoro, vengono a perdere il posto di lavoro, o quando, in esecuzione di un cartello, le imprese partecipanti riducano la produzione e, di conseguenza, i fattori della produzione tra cui la forza lavoro o ancora dei finanziatori che perdono quanto investito nell’impresa stessa357.

Per quanto riguarda i lavoratori licenziati in simili fattispecie si trovano in una posizione sostanzialmente analoga a quella dei fornitori, in quanto il danno da essi patito non dipende direttamente dagli autori della violazione antitrust ma deriva da coloro che a loro volta hanno subito un danno dall’illecito escludente358.

Con specifico riferimento alla posizione dei soci, l’indirizzo giurisprudenziale prevalente propende per il principio di irrisarcibilità, nei confronti dei singoli soci, di quei danni c.d. “indiretti” o “riflessi”, ossia che risultino mera conseguenza dell’impoverimento del patrimonio patito dalla società per l’illecito del terzo359.

In particolare, con la sentenza n. 27733 del 2013, la Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui «non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, atteso che la perfetta autonomia patrimoniale (inerente alla personalità giuridica della società) comporta la netta separazione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci. Ne

356 Ciò avviene particolarmente nel caso di domanda elastica, tale che la variazione di prezzo influisce

sulla quantità di merce domandata.

357 G. AFFERNI, La traslazione del danno, cit., p. 510; A. TOFFOLETTO, op. cit., p. 370.

358 L. CASTELLI, op. cit., pp. 159-160 nega il risarcimento del danno ai lavoratori licenziati facendo leva

sullo scopo della norma violata. L’interesse protetto dalla normativa antitrust e leso a causa della violazione di essa consiste nella conservazione del carattere competitivo del mercato, mentre il rischio di licenziamento è un rischio tipico del mercato del lavoro, che può dipendere sia da un illecito anticoncorrenziale che da altri fattori, quali la chiusura della stessa impresa o varie esigenze di ridimensionamento del personale. L’autrice, inoltre, sottolinea come la soluzione negativa sia accolta anche dalla dottrina statunitense, sia pure per ragioni diverse. L’esclusione del risarcimento viene da questa giustificato dall’esigenza di recuperare efficienza economica per l’impresa mentre il riconoscimento del risarcimento ai lavoratori licenziati costituirebbe un disincentivo alla produttività delle imprese, incrementando invece le perdite economiche dell’impresa.

359 La giurisprudenza è stata investita, in diverse occasioni, del compito di valutare la legittimazione del

socio all’esperimento dell’azione di cui all’articolo 2395 c.c. e la possibilità per lo stesso di reagire all’illecito posto in essere da un terzo, non direttamente relative al risarcimento del danno antitrust.

130

conseguono l’esclusiva imputazione alla società stessa dell’attività svolta in suo nome e delle relative conseguenze patrimoniali passive, essendo la responsabilità del socio limitata al bene conferito e la legittimazione esclusiva della società ad essere risarcita dal terzo che con la propria condotta illecita abbia recato pregiudizio al patrimonio sociale»360.

Gli effetti negativi sull’interesse economico del socio costituiscono, per contro, mero riflesso di detto pregiudizio e non conseguenza diretta e immediata dell’illecito361.

Qualora fosse ritenuto ammissibile per i soci di una società di capitali agire per ottenere il risarcimento dei danni procurati da terzi alla società (in quanto incidenti sui diritti a questi derivanti dalla partecipazione sociale), si configurerebbe un’inutile duplicazione del risarcimento, in quanto riguarderebbe lo stesso danno362.

Tra l’altro, è lo stesso sistema del diritto societario che impone di tener ben distinti i danni direttamente inferti al patrimonio del socio o del terzo da quelli che siano solo il riflesso dei danni patiti dalla società.

Dei primi si può lamentare solo il socio, mentre, dei secondi solo la società.

360 Cass., 12 dicembre 2013, n. 2773, in federalismi.it, 2/2014, p. 5 ss. Il caso trae origine da una vicenda

in cui alcuni soci, uno dei quali anche amministratore, di due società di capitali, avevano prestato fideiussioni a garanzia delle obbligazioni delle società stesse; a seguito del comportamento, ritenuto illecito, di due istituti di credito nella gestione delle procedure di incasso di alcuni assegni bancari, le società avevano subito un depauperamento tale che infine erano fallite. I soci, nonché fideiussori delle società, erano stati quindi escussi trovandosi a subire di riflesso un nocumento patrimoniale ingente. Inoltre, gli stessi soci lamentavano che a causa della situazione prodottasi con il comportamento illecito degli istituti di credito convenuti, essi si erano trovati esposti ad azioni civili, penali, ad umiliazioni personali, così gravi da costringerli ad abbandonare l’attività lavorativa, impedire loro di intrattenere rapporti bancari e quindi di svolgere in concreto attività economica. Inoltre, i soci lamentavano anche di aver dovuto subire l’azzeramento della partecipazione a causa del fallimento della società da essi partecipata.

361 Cass., 8 settembre 2005, n. 17938, in Giust. civ. Mass., n. 7/8, 2005; in senso conforme Cass. S.U., 24

dicembre 2009, n. 27346, in Società, 2010, p. 511 ss., Giur. it., 2010, p. 1081 ss.

362 La citata sentenza 27733/2013 ha stabilito, quindi, che i soci di una società di capitali non hanno titolo

per avanzare pretese risarcitorie nei confronti del terzo che con il suo comportamento illecito abbia danneggiato la società, con conseguente depauperamento del patrimonio personale dei soci, per la perdita del capitale investito nella società e nei possibili utili di gestione. Ciò discende dall’autonomia patrimoniale perfetta della società, che comporta la netta separazione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci, dalla quale derivano l’esclusiva imputazione alla società stessa dell’attività svolta in suo nome e delle relative conseguenze patrimoniali passive, essendo la responsabilità del socio limitata al bene conferito, e l’esclusiva legittimazione della società all’azione risarcitoria nei confronti del terzo che con la propria condotta illecita abbia recato pregiudizio al patrimonio sociale. Gli eventuali danni subiti dal singolo socio, sotto forma di riduzione del valore della quota e della redditività dell’investimento, costituiscono mero riflesso di detto pregiudizio e non conseguenza diretta ed immediata dell’illecito. Viceversa, se si ammettesse che i soci di una società di capitali possano agire per ottenere il risarcimento dei danni procurati da terzi alla società, si finirebbe con il configurare un duplice risarcimento per lo stesso danno.

131

Peraltro, un danno patito dal socio non può essere considerato dipendente o riflesso, per il solo fatto che uno analogo possa essere subito anche dalla società o, al massimo, da tutti i soci, occorrendo, invece, che costituisca esattamente una porzione di quello stesso danno subito dalla società e a questa risarcibile.

La Suprema Corte ammette, invece, la risarcibilità dei danni diretti, ossia quei pregiudizi che siano prodotti immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del socio e non consistano nella mera ripercussione di un danno inferto alla società: si tratterebbe di danni patrimoniali o non patrimoniali che, indipendentemente dalla complessa posizione giuridica ricoperta dal socio all’interno della società, siano tali da determinare ripercussioni negative direttamente sul piano personale e patrimoniale del singolo.

Applicando i principi espressi dalla giurisprudenza della Cassazione ai danni derivanti da un illecito antitrust, è opportuno distinguere, anche in tale ambito, tra danni c.d. indiretti o riflessi363, che ricadano sul patrimonio personale del socio quale mera conseguenza di pregiudizi patiti dalla società, come tali irrisarcibili, e danni diretti364, ossia ogni altro danno, patrimoniale o non, che colpisca direttamente e personalmente il singolo socio, questi si risarcibili365.

Ne consegue che tali danni, patiti di riflesso dal socio, non possono trovare ristoro se non a seguito del ristoro della società.

Se si riconoscesse la tesi contraria, si esporrebbe il danneggiante ad un duplice risarcimento, alla società e al socio, a fronte di un danno unitario.

Peraltro, affinché il socio possa proporre in giudizio un’azione di risarcimento danni conseguenti ad un comportamento anticoncorrenziale è necessario, in applicazione dei principi generali, che fornisca adeguata prova sia dell’esistenza di un

363 A. GENOVESE, Il risarcimento del danno da illecito concorrenziale, Catanzaro, 2005, p. 217, a

proposito del danno riflesso riporta l’esempio di «un’impresa in posizione dominante che, prima mette la società concorrente in difficoltà finanziarie e poi ne acquisisce il controllo, sfruttando a tale scopo anche il deprezzamento delle azioni conseguenti alle difficoltà finanziarie della società. In un caso del genere, la legittimazione ad agire del socio danneggiato andrebbe in concreto riconosciuta».

364 A. TOFFOLETTO, op. cit., p. 373, il quale, con riguardo ai lavoratori, fa l’esempio di quelli che vengono

licenziati a seguito dell’esecuzione di un cartello tra più imprese, di cui fa parte anche il loro datore di lavoro, che controllino un certo mercato e che stabilisca di innalzare i prezzi e ridurre la produzione, attraverso una riduzione di tutti i fattori della produzione, compresa la forza lavoro.

365 Il fondamento normativo di tale diritto del socio si rinviene nell’art. 2395 c.c. che fa riferimento

espressamente al diritto del singolo socio o del terzo al risarcimento quando sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori, nonché nello stesso art. 2043 c.c. (responsabilità per fatto illecito).

132

nesso causale tra condotta illecita e danno antitrust, sia del fatto che il danno subito sia diverso da quello sociale (la dottrina in generale tende ad ammettere che il socio possa agire in via surrogatoria per il danno subito dalla società), al fine di evitare una duplicazione del risarcimento366.

A tal proposito, si registra in dottrina una divergenza di opinioni.

Ed infatti, mentre la dottrina prevalente367 sostiene la tesi che esclude la legittimazione del socio ad agire per il risarcimento del danno arrecato al patrimonio sociale, fondandola sulla mancanza di un nesso di causalità diretta tra la condotta illecita e il pregiudizio subito dal socio368; non manca chi tende a riconoscerne, invece, la legittimazione, anche nel caso in cui si tratti di un danno indiretto e riflesso rispetto a quello patito dalla società369, quando è stato realizzato da terzi370.

Inoltre, sebbene nella maggior parte dei casi, al pregiudizio patito dai soci corrisponde un danno alla società di appartenenza (cd. danni riflessi) possono presentarsi anche casi in cui i soci subiscano un danno diretto, ossia non correlato al

366 A. GENOVESE, op. cit., p. 215.

367 Per tutti G. CAMPOBASSO, Diritto commerciale 2, Diritto delle società, 5° ed., Torino, 2002, pp. 401-

402; M. LIBERTINI – G. SCOGNAMIGLIO, Illecito del terzo e legittimazione del socio all’azione risarcitoria, in Riv. dir. priv., 2002, p. 405 ss.

Anche negli ordinamenti di common law è dominante l’idea secondo cui, in caso di torts che causano un danno alla persona giuridica, solo questa sia legittimata ad azionare la pretesa risarcitoria nei confronti del danneggiante. Si veda in proposito A. GENOVESE, Il risarcimento del danno per violazione di norme antitrust: l’esperienza americana, in Riv. soc., 1992, 1, p. 681 ss.

368 A. TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno, cit., pp. 369-370, con riguardo all’ipotesi di risparmiatori

che hanno investito in titoli dell’impresa esclusa dal mercato per effetto di una pratica anticoncorrenziale, afferma che: «(…) in queste situazioni l’oggetto della protezione della normativa antitrust è l’impresa esclusa, e non i suoi soci, che subiscono al più un danno sotto il profilo fattuale causalmente collegato

Outline

Documenti correlati