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Le altre norme sulla quantificazione del danno risarcibile.

NESSO DI CAUSALITA’ E ONERE DELLA PROVA

5.5. Le altre norme sulla quantificazione del danno risarcibile.

Ma l’art. 1223 c.c. non è l’unica norma che si occupa della quantificazione del danno455.

Accanto all’art. 1223 c.c. si pongono, infatti, gli artt. 1225, 1226 e 1227 che costituiscono gli ulteriori criteri dei quali si deve servire l’interprete per la quantificazione del danno risarcibile456.

L’art. 1227 c.c., al comma 1, sancisce che “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”, lascia chiaramente intendere che il legislatore ha preso in esame l’ipotesi in cui il fatto del creditore/danneggiato interviene a spezzare il legame, a monte, tra comportamento del soggetto agente ed evento, escludendo così la totale imputabilità del fatto all’agente, e limitando di conseguenza la responsabilità di quest’ultimo457.

455 Si veda in tal senso G. GORLA, Sulla cosiddetta causalità giuridica: «fatto dannoso e conseguenze», in

Riv. dir. comm., 1951, I, p. 405 ss., secondo il quale «l’art. 1223 presuppone che d’un dato fatto, che comprende anche un evento, si debba rispondere in base ad altre regole che non sono quelle dello stesso art. 1223. Questo articolo si limita a considerare le conseguenze o eventi successivi a quel fatto-evento; ma il rapporto di causalità e la ragione di responsabilità, all’interno di questo fatto, l’art. 1223 li presuppone disciplinati da altre norme».

456 M. CAPECCHI, Il nesso di causalità. Da elemento della fattispecie “fatto illecito” a criterio di

limitazione del risarcimento del danno, Padova, 2005, p. 17 ss.

457 Secondo l’orientamento prevalente della dottrina, l’attribuzione di una parte della responsabilità al

danneggiato sarebbe la conseguenza della sua collaborazione nella produzione del danno. In questo senso P. FORCHIELLI, op. cit., p. 70; C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, p. 236; A. DE CUPIS, op. cit., p. p. 215. Secondo un orientamento minoritario, il problema va risolto in base ad un principio di autoresponsabilità, per cui «il danneggiato non può cagionare danno a se stesso con un atto libero e consapevole, e poi pretendere il risarcimento da altri». Di conseguenza, il sopravvenuto atto volontario del danneggiato esclude sempre la responsabilità dell’agente. Pertanto, mentre in base al 2° comma art. 1227 c.c. e per il principio di autoresponsabilità, il danneggiato deve subire le conseguenze della propria negligenza, ove questa abbia aggravato la lesione iniziale, quando il fatto colposo del danneggiato concorre con quello del danneggiante nella produzione della lesione iniziale, il suo diritto al risarcimento è limitato in base al 1° comma. Così P. TRIMARCHI, op. cit., p. 129. Nello stesso senso G. CATTANEO, Il concorso di colpa del danneggiato, in Riv. dir. civ., 1967, I, p. 460.

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Secondo una larga parte della dottrina e la giurisprudenza pressoché unanime, l’art. 1227, co. 1 costituisce applicazione o corollario dei principi della causalità, dai quali si ricava la regola per cui «come il soggetto deve sopportare il danno che subisce per propria unica cagione, così deve sopportare parzialmente il danno che subisce per propria parziale cagione»458.

Il comma 2, al contrario, nello stabilire che “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”, chiarisce in che modo il fatto del creditore possa influire, a valle, sul diverso rapporto evento-danno, e cioè rendendo non più risarcibili talune delle conseguenze immediate e dirette dell’evento, nonostante sia già stata accertata la piena responsabilità del danneggiante, e sia già stato determinato il risarcimento attraverso il filtro dell’art. 1223 c.c.”459.

Altro criterio limitativo della determinazione del danno risarcibile viene rinvenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza nel principio della compensatio lucri cum

458 L’espressione è di A. DE CUPIS, op. cit., p. 218 ss. Nello stesso senso, si veda M. FRANZONI, Fatti

illeciti, cit., p. 772 ss.; R. PUCELLA, Il concorso di colpa del danneggiato, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1990, II, p. 5 ss. Secondo tali autori, la disposizione in questione costituisce corollario del funzionamento del nesso causale, prendendo in considerazione il fatto colposo del danneggiato se e in quanto causa dell’evento dannoso. Tale impostazione sarebbe confermata dal fatto che l’art. 1227 utilizza il verbo “cagionare”, ossia lo stesso verbo utilizzato dal 2043 e riferito al nesso causale. Dunque il fatto del danneggiato viene in rilievo ai fini della riduzione del risarcimento, sia in quanto abbia concorso a cagionare l’evento, sia in quanto sia stato colposo, ossia negligente.

Il primo comma dell’art. 1227 rappresenta un’ipotesi particolare della più generale previsione del concorso di più autori del fatto dannoso di cui all’art. 2055, che ne sancisce la responsabilità solidale, salvo il regresso da parte di colui che ha risarcito il danno, ipotesi particolare in cui il verificarsi del fatto dannoso sia ricollegabile a più soggetti, dei quali uno sia il danneggiato, il quale non potrà ripetere quella parte di danno che egli stesso si sia causato e quindi non costituisce danno ingiusto. Esso presuppone un nesso causale tra un fatto addebitabile anche al danneggiato ed il fatto dannoso, nel senso che il primo è stato una concausa del secondo.

459 Secondo P. TRIMARCHI, op. cit., p. 68 ss., l’art. 1227, 2° comma, c.c., per il quale la causa prossima

esclude la causa remota, rappresenta una deviazione rispetto al principio della condicio sine qua non che imporrebbe, invece, di attribuire rilevanza anche alle cause condizionanti più remote. Secondo l’Autore è necessario distinguere la fattispecie di cui all’art. 1227, 2° comma, che presuppone sempre una successione temporale tra le diverse condotte condizionanti, da quella del 1° comma, che opera, invece, quando non sia possibile stabilire una successione temporale tra il fatto del danneggiante e il fatto del danneggiato o del terzo, tale che non si possa accertare quale dei due fatti sia più prossimo, operando contemporaneamente, o nel caso in cui le diverse condotte siano legate da un rapporto di complicità, tale per cui non sia possibile addebitare ogni porzione di danno al suo rispettivo autore. Il secondo comma disciplina, quindi, una situazione del tutto diversa da quella del primo comma; mentre la logica del primo è ricondotta al problema causale, in quanto si occupa del concorso causale e prevede la riduzione del risarcimento; il secondo presuppone che si sia già verificato l’evento dannoso (inadempimento o illecito aquiliano) che, in quanto tale, è addebitabile per intero, sotto il profilo causale, unicamente al danneggiante/debitore. Non si tratta, quindi, di un problema causale, ma del problema, logicamente successivo, dell’entità ed estensione del danno risarcibile. Infatti, per ragioni equitative, l’ordinamento ritiene non risarcibili quei pregiudizi economici che, pur essendo conseguenze immediate e dirette ai sensi dell’art. 1223, avrebbero potuto essere evitati dal danneggiato/creditore con l’ordinaria diligenza, in assenza di una sua inerzia colposa.

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damno, per il quale si deve tener conto degli effetti vantaggiosi per il danneggiato che abbiano causa diretta nel fatto dannoso460.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza il principio suddetto, che comporta che nella determinazione del danno risarcibile si deve tener conto degli effetti vantaggiosi che hanno causa diretta nell’atto dannoso, discenderebbe dai principi generali che vogliono sì che il danno contrattuale ed extracontrattuale sia risarcito integralmente, ma allo stesso tempo esso non deve essere fonte di lucro e di arricchimento per il danneggiato, proprio in virtù del principio compensativo della responsabilità civile461.

La compensazione in questione presuppone, dunque, che il vantaggio sia cagionato dall’inadempimento o dall’illecito, secondo il principio della causalità giuridica di cui all’art. 1223 c.c. e si verifica esclusivamente quando il vantaggio e il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento e non quando il fatto generatore del pregiudizio patrimoniale subito dal creditore sia diverso da quello che invece gli abbia procurato un vantaggio462.

Va poi sottolineato come l’art. 1226 c.c. stabilisca che «Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa».

La norma in questione disciplina l’ipotesi in cui il danneggiato non sia in grado di fornire la prova del preciso ammontare del danno.

460 Tradizionalmente l’entità del danno da risarcire viene determinata attraverso la cd. teoria della

differenza, ossia viene ravvisato nella differenza tra l’ammontare che ipoteticamente il patrimonio del danneggiato avrebbe raggiunto senza l’intervento dell’atto illecito e il suo effettivo ammontare, teoria invocata per giustificare il principio per cui dall’ammontare del danno risarcibile vanno detratti gli eventuali vantaggi causalmente imputabili all’illecito, cd. compensatio lucri cum damno. Su tale principio si veda: C.M. BIANCA, Dell’inadempimento delle obbligazioni, cit., p. 308 e ss.; M. BESSONE, Tratt. Rescigno, XIV, p. 436 ss., M. FRANZONI, Il danno risarcibile, II, Tratt. resp. civ., p. 80 e ss., secondo i quali il vantaggio deve, come il danno, essere conseguenza immediata e diretta del medesimo fatto illecito, mentre il suddetto principio non può trovare applicazione quando il vantaggio sia un effetto indiretto e riflesso dell’adempimento dell’obbligazione risarcitoria da parte del debitore.

461 Cass. S.U., 25 novembre 2008, n. 28056, in Cc, 2009, p. 289. Sebbene non espressamente previsto da

alcuna norma, la giurisprudenza fa discendere dall’art. 1223 c.c. e dal principio di causalità la regola della compensatio lucri cum damno, in virtù della quale il risarcimento non deve fornire fonte di lucro per il danneggiato. Pertanto, se dal fatto dannoso derivi qualche vantaggio per quest’ultimo, di esso si deve tener conto nella liquidazione del danno, sottraendolo al risarcimento.

462 Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, III° ed., a cura di G. Perlingeri, Libro IV,

Delle obbligazioni (artt. 1173-2059), p. 88. Come rileva la giurisprudenza, Cass. 2 marzo 2010, n. 4950; 11 febbraio 2009, n. 3357, il principio della compensatio lucri cum damno trova applicazione solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso.

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Presupposti della valutazione equitativa del danno sono, pertanto, sia la certezza dell’esistenza dello stesso463, sia l’impossibilità di valutarlo nel suo preciso ammontare.

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