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EFFETTI DELLE INTESE VIETATE SUI CONTRATTI A VALLE: RICOSTRUZIONE CRITICA DELLE TESI PROSPETTATE

2.8. La tesi della nullità del contratto «a valle».

2.9.3. La tesi della validità.

I molteplici dubbi sollevati con riguardo ai vari rimedi esaminati, soprattutto sul presupposto che essi non sarebbero in grado di tutelare adeguatamente il contraente debole, il quale ha senz’altro interesse al mantenimento del contratto e della prestazione che ne costituisce oggetto (ad es. nel caso di cartello sui prezzi praticato dalle compagnie assicurative, il consumatore ha interesse al rimborso del sovrapprezzo pagato ma non alla caducazione del contratto stipulato), hanno indotto la dottrina, avvallata anche dalla giurisprudenza di legittimità, ad accogliere la tesi secondo la quale il contratto «a valle» sarebbe valido, e a riconoscere al consumatore solo una tutela di tipo risarcitorio204.

Tale tesi sarebbe, in primo luogo, suffragata dal dato normativo: il fatto che l’art. 2 l. 287/90 non prevede espressamente che i contratti «a valle» siano invalidi avvalla la tesi che esclude qualunque forma di invalidità di questo contratto.

In secondo luogo, la necessità di escludere gli effetti della nullità, caratterizzata dalla legittimazione assoluta, sicché anche l’impresa che l’ha provocata potrebbe farla valere per sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni, l’obbligo di restituzione delle prestazioni per il caso in cui siano già state eseguite, nonché la circostanza che il contratto nullo ab origine non produce alcun effetto, sono tra i principali argomenti che hanno portato larga parte della dottrina ad abbandonare questa soluzione.

Presupponendo, invece, la piena validità del contratto «a valle», il pregiudizio patito dal contraente, rimasto estraneo all’intesa, dovrebbe considerarsi ingiusto, e andrebbe quindi risarcito, ai sensi dell’art. 2043 c.c.205

La nozione di “danno ingiusto” di cui all’art. 2043 c.c. viene concepita come una clausola generale, in grado di determinare la risarcibilità di qualunque lesione a carico di un interesse socialmente protetto.

204 Propendono per tale tesi: L. DELLI PRISCOLI, Norme antitrust e tutela del consumatore, cit., p. 954; M.

LIBERTINI, Ancora sui rimedi civilistici conseguenti ad illeciti antitrust, cit., p. 237 ss., nonché in Autonomia privata e concorrenza nel diritto italiano, in Riv. dir. comm., 2002, I, p. 433 ss.; E. CAMILLERI, La tutela del contraente “a valle” tra giurisprudenza comunitaria e diritto interno, in Europa e diritto privato, 2007, p. 43 ss.

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Anche su questo punto, tuttavia, il dato normativo e, in particolare l’art. 33 legge n. 287 del 1990, è estremamente incerto laddove fa parola di “risarcimento del danno”, senza fornire ulteriori chiarimenti sulla natura del danno risarcibile, se precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale, né sui soggetti che possono esperirlo, lasciando aperti dubbi interpretativi di non poco conto.

La tesi della validità è stata seguita dapprima dalla giurisprudenza di merito, che ha iniziato ad occuparsi della sorte dei contratti «a valle» relativamente alle n.b.u., affermando la validità delle clausole contrattuali riproduttive del contenuto delle n.b.u. predisposte dall’Abi, in quanto «la violazione della norma di cui all’art. 85 del trattato Ce, che vieta le intese tra imprese restrittive della libertà di concorrenza, comporta la nullità di tali intese, ma non dei contratti che, sulla base di esse, le parti abbiano concluso con i terzi»206.

Successivamente, è stata avvallata anche dalla Corte di Cassazione che ha negato qualunque ripercussione degli effetti dell’intesa illecita realizzata a monte dalle imprese bancarie sui contratti successivamente stipulati con la propria clientela207.

Peraltro in una prima fase la giurisprudenza della Cassazione non solo escludeva la nullità dei contratti «a valle», ma addirittura riteneva che la legge antitrust non offrisse una tutela diretta al consumatore leso da un’intesa restrittiva della concorrenza, tutela che non veniva esclusa del tutto, soltanto che, nell’ottica del Supremo Collegio, andava ricercata altrove, ossia al di fuori della legge antitrust prevista solo a protezione degli imprenditori e dell’assetto concorrenziale del mercato. La tendenza, ormai avvallata dalla giurisprudenza, a partire dalle S.U. n. 2207 del 2005, è pertanto quella di ricondurre la protezione principale per il consumatore alla responsabilità extracontrattuale; egli ha diritto di vedere risarcito il danno subito ex art. 2043 c.c.208, in

206 In tal senso Trib. Alba, 12 gennaio 1995, in Giur. it., 1996, I, p. 212 ss., così anche Trib. Pesaro, 21

novembre 2000; Trib. Milano, 25 maggio 2000, in Banca, borsa e tit. cred., 2001, p. 87 ss.

207 Cass., 4 marzo 1999, n. 1811 e Cass., 13 aprile 2000, n. 4801, in Riv. dir. industriale, 2000, p. 431 ss. 208 Le S.U. della Cassazione riconoscono in capo al consumatore che ha stipulato il “contrato a valle” una

tutela di tipo risarcitorio, in quanto nascente da un fatto illecito, senza individuare la situazione giuridica soggettiva che risulterebbe violata. Sembrano, tuttavia, ritenere che tale illiceità trovi fondamento nella nullità dei “contratti a valle”. Nell’ottica della Suprema Corte, quindi, pur non avendolo esplicitato, il piano sul quale si pone la questione della tutela del consumatore finale è quello contrattuale. Nella misura in cui ad es. il prezzo sia determinato da un’intesa illecita di cui il contratto “a valle” costituisce attuazione, il prezzo è illecito e costituisce oggetto illecito del contratto per cui l’unica conseguenza che ne deriva non può che essere la nullità del contratto, per la parte corrispondente. Nella responsabilità contrattuale non si pone, diversamente da quella extracontrattuale, la questione dell’ingiustizia del danno. E la responsabilità contrattuale, quando non deriva da inadempimento, non può che derivare dall’invalidità del contratto.

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quanto ritenuto il rimedio più idoneo a soddisfare il suo interesse a mantenere in vita il contratto.

Alla luce di quanto esposto, e riconosciuto che le intese vietate dall’art. 2 della legge n. 287 del 1990, sono atti illeciti, in quanto posti in essere in violazione di una norma di condotta, e che gli interessi dei consumatori e concorrenti danneggiati sono tutelati dalla stessa normativa violata, non sembrano sussistere ostacoli a riconoscere la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno con un’azione di tipo extracontrattuale, che risulta essere maggiormente agevole, anche alla luce dell’interpretazione, ormai consolidata nella giurisprudenza, dell’art. 2043 c.c. come clausola generale e della teoria della atipicità dell’illecito civile.

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