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Si tratta di un dato la cui compiuta acquisizione risale alla seconda metà del Nove- cento. Ancora negli anni Trenta la minaccia alla civiltà, allo svi luppo metropolita- no, poteva fondarsi, nell’ immaginario collettivo, su un possibile “ritorno del rimos-

guerra nucleare, si rimanda invece all’ ormai “classico” lavoro di Michel Riordan, Il Giorno dopo, Milano, Garzanti, 1984.

10 Cfr. Schell, J. op. cit., cap. I. Schell è uno degli autori che ha maggior mente documentato e approfondito tutta la problematica connessa al tema della possibile “estinzione” della specie umana, aff rontando in maniera sistematica gran parte delle implicazioni sul piano politico, culturale e dei comportamenti di tale angosciosa eventualità. In relazione alle nostre aff ermazioni sulla possibilità che questo dato venisse intuito sin dagli albori dell’ era atomica c’ è da dire che tale argomento ha una validità di tipo puramente teorico. Se guardiamo al modo con cui vennero considerati sul piano giornalistico e scientifi co gli avvenimenti di Hiro shima e Nagasaki, scopriamo, in realtà, come nella fase immediatamente successiva vi fu un’ enorme e generale sottovalutazione della realtà nuova prodotta dall’ esi stenza delle armi nucleari (cfr. Cavallari, A. “E il mondo non capì” in la Repubblica, 3 agosto 1985). Soltanto pochi scienziati, di cui qualcuno addirittura partecipe alla progettazione atomica americana, compresero la dimensione del pro blema. Leo Szilard, insieme con Albert Einstein, compì numerosi tentativi per con tenere gli sviluppi della situazione, ma i suoi sforzi risultarono vani (cfr. Szi lard, L. La coscienza si chiama Hiroshima, Roma, Editori Riuniti, 1985).

Capitolo 1 Il Medium nucleare

so” pre-civile, della selvaggia e irrazionale naturalità ancestrale, come ha splendida- mente colto Al berto Abruzzese nella metafora di King-Kong; un dispositivo in cui il «grande corpo della scimmia, la sua smisurata bestialità, la sua forza senza con- trollo, sono l’ espressione di una umanità ferma ancora alla sua turbinosa origine»11.

La sfi da, in altri termini, viene mossa da un “Altro” che è la natura stessa, giunge dal folto della «foresta vergine: luogo onirico in cui si intrecciano le forme mostruo- se del passato e gli incubi ancestrali dell’ inconscio»12. Abbiamo di fronte la tematiz-

zazione di un confl itto nel quale è la natura a muovere contro la storia; uno scontro in cui le origini della specie minacciano lo stadio di progresso raggiunto da essa. Ma «la grande scimmia» non riuscirà a intaccare la fi ducia nelle «magnifi che sorti e pro- gressive» dell’ u mana crescita; infatti è proprio «la tecnica che risolve la dimensio ne sociale e istituzionale del confl itto. Alcuni aeroplani militari ingaggiano la lotta con King Kong giunto al vertice dell’ Empire State Building e lo abbattono»13.

La realtà catastrofi ca in cui si struttura l’ immaginario contem poraneo è, evi- dentemente, di tipo totalmente diverso. L’ apocalisse atomica, come la catastrofe ecologica, sono scenari strutturati in senso squisitamente tecnologico, determi- nanti inestricabili dalla di mensione dello sviluppo, intimamente connesse alle di-

namiche della produzione e del consumo14. Lo scenario catastrofi co contempora-

neo è intriso di scienza e tecnologia, e semplicemente impensabile senza di esse; in un certo senso, lo scenario tecnologico e quello catastrofi co sembrano coinci-

dere15. La minaccia, insomma, non si presenta più come proveniente da un altro

mondo, arcaico o co smico, ma è autenticamente interna alla metropoli capitali-

stica, al villaggio globale telematico: è esattamente la risultante del livel lo di or- ganizzazione raggiunto dall’ attuale formazione economico-so ciale. Ed è proprio

11 Abruzzese, A. Arte e pubblico nell’ età del capitalismo, Venezia, Marsilio, 1973, p. 206.

12 Ivi, p. 208. 13 Ivi, p. 211.

14 Scrive Michael Mandelbaum (Il futuro nucleare, Bologna, il Mulino, 1984, p. 34): «Le armi nucleari sono il prodotto della rivoluzione industriale non meno degli impianti idraulici, delle automobili, dei frigoriferi, delle apparecchiature dei mo derni ospedali. Come per altri prodotti industriali, Stati Uniti e Unione Sovietica si sono impegnati in una strenua concorrenza per avere modelli migliori e più numerosi».

15 Si tratta, probabilmente, di una coincidenza le cui origini si annidano nella notte dei tempi, come suggeriva Kubrick in una fra le più evocative sequenze di 2001: Odissea nello spazio. Ha scritto Fabrizio Battistelli: «Presso i successori di Alessandro Magno, 356-323 a.C., e presso i romani le armi si erano potenziate sino a diventare “macchine”; e infatti per greci e latini mechanè e macchina indica no proprio un ordigno da guerra» (op. cit., p. 9). In generale, sul legame in epoca contemporanea fra tecnologia, ricerca scientifi ca e proliferazione atomica, cfr. Barnaby, F. “La microelettronica e la guerra” in Aa.Vv.

La catastrofe culturale. Teoria e saperi dopo Hiroshima Capitolo 1

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questa realtà a indicare un rovesciamento deci sivo nella sequenzialità cronologica ed epocale “classica” del mate rialismo storico.

A uno stadio elevatissimo di sviluppo raggiunto dalle forze produttive, piut- tosto che l’ utopia positiva si invera di contro l’ incubo della science-fi ction. Lad- dove avrebbe dovuto concludersi la preistoria e prendere avvio la storia, si pro- spetta esattamente la possibile conclusione di essa. L’ inizio dell’ era atomica, l’ as- sunzione consapevole dei suoi possibili sviluppi indicano, meglio di ogni altra cosa, lo stadio “critico” cui è giunto il pensiero moderno. Una crisi che inve- ste non solo la “Razionalità classica” o le grandi Utopie scientifi che, unitarie e globalizzanti, ma anche i più moderni ambiti di rifl essione sull’ Altro, la dif- ferenza, la molteplicità. Il fatto è che, mentre si era occupati – e non senza vali- di motivi – a delegittimare, scomporre, demolire le pretese totalizzanti di una o più teorie di tipo metafi sico o scientifi co, e spesso entrambe le cose insieme, sul piano fattuale andava strutturandosi, in dimensione planetaria, la pretesa e l’ af- fermazione del più terribile dispositivo totalizzante di controllo e di dominio.

Quello che Edward P. Th ompson ha chiamato il «sistema dello sterminio»16.

È abbastanza evidente che non esistono forme di diff erenza e di confl ittualità abili- tate a esprimersi compiutamente in presenza di un meccanismo superiore di gene- rale controllo, di preliminare delimitazione di campo.