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«Se Noè fosse stato italiano, forse starebbe ancora discutendo su che tipo di im- barcazione usare». Questa frase, comparsa in bella evidenza all’ inizio del 1986 su alcune importanti testate giornali stiche italiane62, è lo slogan pubblicitario con cui

un’ azienda bre sciana spera di persuadere i potenziali clienti all’ acquisto dei suoi prodotti. La ditta lombarda fabbrica e installa rifugi antiatomici in vari modelli e dimensioni, con diverso grado di sicurezza, acco glienza e comfort; insomma, per tutte le esigenze e possibilità.

61 Quello di stabilire una corrispondenza troppo meccanica fra i modelli di com portamento “sottoculturale” e la stratifi cazione di “classe” giovanile è forse il limite maggiore del lavoro, per altri versi pregevole, che ha svolto il sociologo inglese Hebdige sui comportamenti giovanili (cfr. Hebdige, D. Sottocultura, il fascino di uno stile innaturale). Ci è parso di cogliere un eccesso di determinismo nella lettura che Hebdige fa del fenomeno, privilegiando un terreno “economicistico” nella considerazione globale degli atteggiamenti delle giovani generazioni.

Atomic Life. La mentalità e le scelte dell’ era atomica Capitolo 2

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In Italia, solo negli ultimi anni, la domanda di bunker antiato mici ha inizia- to, seppur lentamente, a crescere, forse in conseguenza della crisi nelle relazioni internazionali, ed è forse prevedibile in futuro un ulteriore allargamento del mer- cato. I possibili acquirenti non mancano, poiché il nostro paese è agli ultimi posti fra le na zioni sviluppate in quanto a dotazione di bunker63, infatti solo cinquemila

italiani posseggono un rifugio per il day aft er. I me dia ci hanno informato, ne- gli ultimissimi anni, dei lavori intrapre si in vari comuni della penisola per dota-

re interi condomini della protezione antiatomica sotterranea64. A Lodi, Verona,

Brescia, Ber gamo, sono in via di ultimazione rifugi capaci di ospitare centinaia di persone. A Mondolfo, un piccolo comune in provincia di Pesa ro, il sindaco ha fatto approvare in consiglio comunale un primo stanziamento per favorire gli

aspiranti testimoni del dopobomba65.

Probabilmente, come è già accaduto in altri paesi, anche in Italia, dopo la seconda casa, il rifugio antiatomico diverrà un im portante “bene-rifugio” per il risparmio familiare. Ma al di là delle considerazioni di ordine economico o logistico, anche per il bunker non va sottovalutata la valenza globale di status-

63 Nel periodo in cui questo saggio fu dato per la prima volta alle stampe, essendo l’ ipotesi di un confl itto termonucleare un tema all’ ordine del giorno, la necessità di provvedere alla difesa della popolazione fece sì che la costruzione di bunker divenne presto un argomento di interesse primario nella politica di sicurezza di molti stati, ma anche nell’ economia psichica ed esistenziale di molti privati cittadini. Con risvolti, tuttavia, non sempre rispondenti a criteri di realismo e razionalità, specialmente nell’ eventuale scoppio di una guerra atomica totale.

All’ epoca, le nazioni che resero obbligatori gli impianti di sicurezza antiatomici furono dieci. Secondo i dati forniti dall’ Onu, al primo posto nell’ allestimento di difese antiatomiche fi gurava lo stato di Israele. Seguiva la Svezia, dove i rifugi coprivano 1’ 88% della popolazione. La Finlandia e l’ Unione Sovietica, invece, potevano riparare il 70% dei loro cittadini. Ben piazzati, in questa classifi ca della paura e della previdenza, anche la Danimarca e gli Usa, dove trionfava il rifugio privato. In Francia, Mitterand rese obbligatori i rifugi antiatomici nelle nuove costruzioni a partire dal 1985, in Germania, nel corso di un solo anno furono costruiti ben 100 mila rifugi antiatomici. Chiaramente, a maggior ragione oggi, è molto diffi cile stabilire il grado di effi cacia di queste difese nell’ eventualità tragica di un confl itto atomico, in particolare per quel che riguarda le conseguenze del fall out radioattivo successivo alle esplosioni; e soprattutto se si considera che in alcuni casi si tratta di strutture di diversa funzione adibite a rifugio. Secondo dati diff usi da Selezione nell’ aprile del 1985, ad esempio, l’ Urss spese per la protezione atomica 140 mila miliardi di lire negli ultimi dieci anni, attrezzando a rifugio oltre 500 chilometri di metropolitana a Mosca e in altre trentatré importanti città sovietiche. Ancora secondo i calcoli di Selezione, almeno 325 milioni di persone non saprebbero dove rifugiarsi in Europa in caso di confl itto nucleare.

64 Cfr. “Diventa un condominio il rifugio antiatomico” in la Repubblica, 4 agosto 1984; cfr. “Verona la paura sul pianerottolo” in Reporter, 2 giugno 1985; “Rifugio antiatomico in hotel a Bergamo” in la Repubblica, 25 febbraio 1986.

65 Cfr. “Il sindaco teme la guerra nucleare e fa progettare rifugi antiatomici” in Il Giornale, 19 ottobre 1984.

Capitolo 2 Il Medium nucleare

simbol66 che è destinato ad assumere nei prossimi anni. «Come ai tempi della Fiat

600»67, titolava tempo fa un giornale, sottolineando la ten denza che si prefi gura a

produrre e diff ondere bunker a prezzi contenuti, tendenzialmente alla portata del cittadino medio.

Ma ritorniamo alla parola d’ ordine pubblicitaria su cui abbia mo soff ermato all’ inizio la nostra attenzione: «Se Noè fosse stato italiano, forse starebbe ancora discutendo su che tipo di imbarca zione usare». Quel che ci preme sottolineare è come l’ aspetto pro verbiale di lungaggine e inadempienza che caratterizza la vita pub blica e privata in Italia venga qui utilizzato per promuovere esatta mente quell’ etica “individualistica” del sopravvivere cui abbiamo accennato in preceden- za. Ed è proprio alla mentalità della soprav vivenza che Christopher Lasch dedi- ca alcune delle pagine più luci de del suo più recente lavoro. Secondo lo studioso americano, lo stesso atteggiamento di alcuni intellettuali pacifi sti non è del tutto immune dalla morale della sopravvivenza; anzi, quando proclama no che «non c’ è nulla per cui valga la pena di morire», o quando invocano unicamente «un impegno morale per la sopravvivenza», rischiano concretamente di raff orzare «lo stesso abito mentale che informa la tecnologia medica moderna, nel suo zelo di

estendere la vita senza alcun riguardo alla sua qualità»68. Lasch muove una de-

cisa critica alle tesi espresse da Ehrlich e Harriman in Come so pravvivere, il loro manifesto per la difesa dell’ ambiente. Secondo i due ecologisti, la situazione con- temporanea indica che la soprav vivenza stessa è un problema; e «una volta che la

66 Considerazioni molto lucide in questo senso sono state avanzate da Herbert Mar cuse già negli anni Sessanta: «La riduzione di ogni cosa a fatto commerciale unisce sfere di vita un tempo antagonistiche, e l’ unione si esprime nella fl uente congiun zione linguistica di parti del discorso in confl itto tra loro. A una mente non ancora condizionata a suffi cienza, molto di quanto si stampa e si dice in pubblico sembra del tutto surrealistico. Titoli come I lavoratori desiderano armonia tra i

missili e annunci pubblicitari come Rifugio di lusso contro la caduta di residui radioattivi possono

ancora evocare una reazione ingenua, per cui si avverte che “lavoratori”, “missili”, e “armonia” sono contraddizioni inconciliabili, e che nessuna logica e nessun linguaggio dovrebbero essere capaci di unire correttamente lusso e caduta di residui radioattivi. Tuttavia la logica e il linguaggio diventano perfettamente razionali se apprendiamo che un “sommergibile nucleare attrezzato per lanciare missili balistici” “reca scritto sul cartellino 120 milioni di dollari” e che “tappeti, scaletta e tv” sono compresi nel prezzo, se si sceglie un modello di rifugio da 1.000 dollari. La convalida non sta principalmente nel fatto che questo linguaggio promuove le vendite (sembra che l’ industria dei rifugi antiatomici non rendesse molto), ma piuttosto nel fatto di promuovere l’ immediata identifi cazione dell’ inte resse particolare con quello generale, del mondo degli aff ari con la potenza nazio nale, della prosperità con il potenziale disponibile per l’ annientamento» (cfr. Marcuse, H. L’ uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1967, pp. 107-108).

67 Cfr. “Come ai tempi della Fiat 600” in Reporter, 1 giugno 1985. 68 Cfr. Lasch, C. op. cit., p. 53.

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gente l’ avrà capito, si batterà con tutte le forze». Christopher Lasch, invece, ritiene che «è vero proprio il contrario, perché la gente impegnata solo a sopravvivere è più probabile che scappi a rifugiarsi sulle colline. Se il problema fondamentale è la sopravvivenza, la gente si interesserà più alla sopravvivenza personale che a quella di tutta l’ umanità. Coloro che fondano la causa della conservazione e della pace unicamente sulla sopravvivenza non solo fanno appello a un sistema

di valori degradato, ma compromettono anche il loro sco po»69. Lo studioso ame-

ricano, però, ci tiene a sottolineare la sua piena consapevolezza del fatto che le armi nucleari hanno intro dotto una modifi cazione sostanziale nello statuto pos- sibile di que sto ragionamento: «Il sacrifi cio non ha nessun signifi cato se nessu no

sopravvive»70. Ed enuncia seccamente, prendendo decisamente le distanze dalle

ambiguità che abbiamo rilevato in precedenza71 nel ragionamento di Ferenc Feher

e Agnes Heller: «Chiedere alla gente di sacrifi care la vita in una guerra nucleare, con la motiva zione che il futuro “va al di là della vita personale incompleta dell’ in- dividuo”, e un’ assurdità morale»72.