In una bella intervista1 rilasciata nel maggio del 1986 sulla cultura del futurismo,
lo storico George Mosse aff rontava alcune questioni re lative all’ infl uenza della mitologia guerresca sulle masse, rilevando co me il mito bellico avesse subìto pro- fondissime evoluzioni nel corso della storia. Mosse sottolineava anche come di- versi regimi e svariate scuole di pensiero avessero utilizzato in maniera diff erente il fascino che la guerra esercita sulla psicologia collettiva. Sappiamo bene come, a partire dalla mitologia classica fi no a giungere alla letteratura con temporanea, la guerra abbia evocato non solo l’ immagine di spaven tosi lutti e immani tragedie, ma anche l’ idea di eroismo e di solida rietà, esaltando le doti del coraggio, dell’ ar- dimento, della lealtà.
La guerra è stata sempre uno scenario privilegiato dalla fi ction per rappresen- tare non soltanto gli istinti più bassi, sanguinari e bestiali, ma anche le emozioni
più intense, i sentimenti più autentici, le pas sioni più violente dell’ uomo2. Nel
1 Cfr. Fiore, A. “Mosse, massa e velocità” in Il Mattino, 20 maggio 1986. Geor ge Mosse ha svolto un’ approfondita trattazione del rapporto fra la mitologia bellica e gli atteggiamenti collettivi; per un riferimento alle premesse generali del suo discor so, cfr. Mosse, G. La nazionalizzazione delle masse, Bologna, il Mulino, 1975.
2 In questo ambito rifl essivo si rivela di grande interesse il richiamo di Alberto Abruzzese, a proposito del cinema di guerra, alla dimensione del “confl itto” come costitutiva dell’ universo cinematografi co, e dell’ immaginario in genere – dal racconto mitico ai videogame – proprio in virtù dell’ intima connessione di questo dispositivo alla natura umana. Una considerazione che ha un suo immediato risvol to ideologico, poiché la stessa aff ermazione di valori “positivi” (coraggio, altruismo) è spesso impensabile al di fuori di una dinamica di tipo confl ittuale. Ma è proprio la realtà atomica,
Capitolo 3 Il Medium nucleare
bene e nel male, masse sterminate di individui nel corso della storia si sono entu- siasmate all’ idea della guerra come strumento per aff ermare la giustezza di un’ idea o di una causa, salvaguardare un diritto, difendere un territorio, una religio ne, una rivoluzione. La dimensione bellica ha agito innumerevoli volte come cemento ideale e culturale nella costruzione dell’ identità di un popolo, nell’ edifi cazione di un regime, nella «nascita di una nazio ne». Ma, secondo lo studioso tedesco, lo studio di tali dinamiche, in queste forme, si arresta alla fi ne della seconda guer- ra mondiale. «A partire dalla prima esplosione nucleare, più nessuno esorta alla guer ra, o almeno non lo fa apertamente come i futuristi. La guerra festa non è più proponibile nemmeno come metafora artistica. Marinetti esaltava la guerra “sola igiene del mondo”. Ma la bomba atomica ha dimostrato che in eff etti la guerra
nucleare non è aff atto igieni ca»3. La conclusione cui giungeva lo storico è che la
guerra oggi ha perso il fascino mitico che ha sempre posseduto per identifi carsi tout court con la paura.
Ma la paura di che cosa? L’ umanità in eff etti ha visto ben poche volte all’ ope- ra la distruttività nucleare: in una situazione bellica for temente parziale, rispet- to alle sue attuali possibilità, nel 1945; in un contesto “sperimentale”, in qualche distesa desertica o su qualche iso lotto sperduto nell’ oceano; in dimensione acci-
dentale a Chernobyl e in varie altre occasioni. Ma queste catastrofi “vissute” non
rappresen tano nell’ immaginario collettivo compiutamente il senso della realtà nu- cleare. Esse non sono la chiara metafora della condizione atomica; ne costituisco- no, semmai, l’ aspetto metonimico. Sono una spia, l’ in dizio di una dinamica ben più vasta e catastrofi ca. Nell’ immaginario contemporaneo, la situazione atomica è semplicemente l’ eventualità e la possibilità della fi ne del mondo. In questo senso la rifl essione di Mosse sulla dissoluzione, oggi, della possibilità di pensare alla guerra nelle forme e nei modi cui eravamo abituati è senz’ altro corretta. Co me si fa a raccontare qualcosa che in realtà non si conosce, e che è fondamentalmente
impensabile? Come si fa a narrare qualcosa che nessuno ha mai visto e che chi
ritiene Abruzzese in perfetta sintonia con Mosse, ad aver modifi cato e compromesso defi nitivamente questo scenario “classico”, sebbene in alcuni casi il cinema, anche quello che ha aff rontato il tema della bomba, sembra non averlo compreso, svolgendo la narrazione attraverso l’ uso di modelli applicabili solo alla precedente dimensione bellica. Si tratta di quel tipo di cinema «…in cui l’ immagine della guerra viene data ancora in forma mitica; il cui pensiero, pur oramai di fronte al rischio della bomba, ancora non ha assimilato la vera e propria svolta determinata proprio dalla catastrofe atomica, che vuole quindi rendere impensabile la guerra, impensabile la tradizione della guerra» (cfr. Abruzzese, A. “L’ imma ginario cinematografi co e la guerra” in Aa.Vv. Le dimensioni del confl itto, Napoli, Cuen, 1985, p. 113).
Apocalisse e immaginario. Il racconto dell’ atomica e del dopobomba Capitolo 3
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eventualmente avrà la possibilità di ve dere quasi di certo non potrà raccontare? Eppure, questo non ha im pedito alla guerra atomica, alla catastrofe nucleare, di attraversare in numerevoli volte i territori della fi ction. È. chiaro che, per poterlo
fa re, ha dovuto mettere in moto, come vedremo, degli straordinari e originalissi- mi meccanismi narrativi, risolvendo nei modi più svariati la mole incredibile di problemi che pone il suo racconto.
In altre parole, seppur attivando i dispositivi più originali, il cinema, la lettera- tura, il fumetto, persino la canzone non hanno rinunciato a tradurre le angosce, le ansie, le paure che la situazio ne atomica ha fi ssato nella “memoria” di ogni uomo del nostro tempo. In alcuni casi la narrazione ha scelto sentieri della cronaca della catastrofe; molte altre volte l’ atomica ha funzionato come generale modellistica della fi ne; in determinate occasioni ha agito come vero e proprio paradigma cultu-
rale, su cui dispiegare costru zioni teoriche e signifi cati quanto mai diversi.