Analoghe considerazioni, anche se a partire da un diff erente ap proccio scientifi co, ha svolto Fritjof Capra. Nell’ analisi dello stu dioso di Berkeley il movimento eco- logico e pacifi sta costituisce il segnale più eloquente dell’ insorgenza nella civiltà
occidentale di un nuovo modo di pensare:12 un atteggiamento culturale e politi-
co che prefi gura l’ avvento di un mutamento di portata sconvolgen te nella storia dell’ uomo.
9 Cfr. Bobbio, N. Il problema della guerra e le vie della pace, Bologna, il Mulino, 1979, p. 38. 10 Ivi, p. 37.
11 Jungk, R. L’ onda pacifi sta, Milano, Garzanti, 1984, p. 17.
12 Cfr. Capra, F. Il punto di svolta, Milano, Feltrinelli, 1984. È opportuno rilevare qui la concezione dei movimenti come realtà capaci, almeno in potenza, di prefi gurare l’ avvento del nuovo, e quindi anche la sua introiezione nelle regole codifi cate dell’ assetto sociale, è ampiamente condivisa in ambito sociologico (cfr. Alberoni, F. Movimento e istituzione, Bologna, il Mulino, 1977). Che i mo vimenti siano un segno è esattamente l’ ipotesi formulata dal sociologo Alberto Melucci: «I movimenti non sono fenomeni residuali dello sviluppo o semplici manife stazioni di scontento da parte di categorie marginali. Non sono solo il prodotto della crisi, gli ultimi eff etti di una società che muore. Sono, al contrario, il segno di ciò che sta nascendo» (cfr. Melucci, A. L’ invenzione del presente: Movi menti,
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Sul piano teorico le premesse concettuali da cui si dipana il discorso di Capra si rivelano abbastanza contigue alla rifl essione sul rapporto uomo-natura svilup-
pata sin dagli anni Cinquanta dal pensiero “critico” francofortese13, anche se le
conclusioni cui appro da sono di segno profondamente diverso. Secondo il fi sico califor niano, l’ atteggiamento distruttivo verso l’ ambiente tipico dell’ agi re umano contemporaneo va fatto risalire alla concezione dualistica cartesiana della separa- tezza fra mente e corpo14,
13 L’ insensibilità dell’ uomo moderno verso la natura è, per Max Horkheimer, solo una variante dell’ atteggiamento caratteristico di tutta la civiltà occidentale. La men talità che concepisce l’ uomo come assoluto padrone della natura si può far risalire, secondo lo studioso, fi no ai primi capitoli del Genesi. E anche i pochi precetti favorevoli agli animali che troviamo nella Bibbia sono stati interpretati dai più grandi pensatori religiosi, Paolo, Tommaso d’ Aquino, Lutero, come semplici pre- scrizioni morali che non esprimono in nessun caso un obbligo dell’ uomo verso le altre creature. Infatti papa Pio IX, ricorda Horkheimer, impedì che a Roma venisse fondata una società per la protezione degli animali, dichiarando che l’ inse gnamento teologico non impone all’ uomo nessun obbligo verso gli animali. Questi esempi, sostiene Horkheimer, dimostrano che «la ragione pragmatica non è nulla di nuovo. Tuttavia la dottrina fi losofi ca che sta dietro ad essa – l’ idea che la ragione, la più alta facoltà dell’ uomo, si occupa solo di strumenti, anzi è essa stessa solo uno strumento – oggi è formulata più chiaramente e accettata più universalmente di quanto sia mai stata per l’ innanzi. Il principio del dominio del l’ uomo sulla natura è divenuto l’ idolo al quale si sacrifi ca tutto. La storia dello sforzo dell’ uomo per soggiogare la natura è anche la storia del soggiogamento del l’ uomo da parte dell’ uomo: nell’ evoluzione del concetto dell’ io, si rifl ette questa duplice storia. […] E quanto mai istruttivo seguire gli sforzi di Descartes per trova re un posto a questo ego che non è nella natura, ma le rimane abbastanza vicino da poterla infl uenzare. Suo primo compito è quello di dominare le passioni, cioè la natura nella misura in cui si fa sentire dentro di noi. […] La sua preoccupazione principale deve essere quella di impedire che le emozioni infl uenzino i giudizi» (cfr. Horkheimer, M. Eclisse della ragione, Torino, Einaudi, 1969, pp. 94-95). In questo quadro, sostiene Horkheimer, la natura è concepita come semplice stru mento dell’ uomo, oggetto di uno sfruttamento che non conosce limiti. Ma questa insaziabile sete di dominio che l’ uomo esprime nei riguardi della natura e verso i suoi simili non origina, per lo studioso, nella sua indole naturale, non è radicata nei suoi istinti, ma dipende piuttosto dalla struttura della società: «Come gli attac chi delle nazioni imperialistiche al resto del mondo si spiegano con le loro lotte intestine più che nei termini del loro cosiddetto carattere nazionale, così l’ attacco della razza umana a tutto ciò che essa considera diverso da sé si spiega con i rap porti fra gli uomini più che con le innate qualità umane» (ivi, pp. 96-97). 14 L’ impianto teorico del pensiero cartesiano, i termini della relazione uomo-natura che presuppone sono per lo studioso di Berkeley alla base dell’ evoluzione di gran parte del sapere moderno e costituiscono la più importante premessa culturale per lo sviluppo selvaggio e distruttivo della scienza e delle tecnologie contemporanee. Come ha scritto Edgar Morin, «l’ ignoranza della dialettica ecosistemica (indipendenza-dipendenza) ha rappresentato non solo una carenza fondamentale dell’ ideologia occidentale da Cartesio in poi – ideologia che ha sempre considerato l’ ambiente come un universo di oggetti affi dati alla potenza e allo sfruttamento dell’ uomo soggetto (sia che la qualità di soggetto si limiti all’ umanità bianca occidentale, sia che, come in Marx, venga allargata a tutta la specie umana), ma anche del pensiero tecnico e scientifi co contemporaneo. Solo con le gravi perturbazioni recen ti, che si ripercuotono dall’ ecosistema sociale all’ ecosistema naturale minacciano l’ in tegrità e persino la vita umana, vediamo apparire i primi germi della coscienza ecologica, vale a
Capitolo 2 Il Medium nucleare
dire della nostra dipendenza ecosistemica» (cfr. Morin, E. Sociolo gia della sociologia, Roma, Edizioni Lavoro, 1985, pp. 171-172). Paradossalmente, però, oggi è proprio nel cuore dell’ innovazione tecnica che sembra maturare la crisi defi nitiva dell’ impianto cartesiano. È proprio dai settori più avanzati e avveni ristici della ricerca tecnico-scientifi ca che sembra giungere un colpo mortale a un’ i dea che vede il cogito indissolubilmente legato all’ essere. All’ inizio del 1985, il Miti, potentissimo dicastero dell’ industria giapponese, ha investito i primi 200 mi lioni di dollari per l’ avvio di un ambizioso programma di ricerca dedicato ai cosid detti elaboratori della quinta generazione, la cui realizzazione defi nitiva, vista an cora con un certo scetticismo in ambienti scientifi ci europei e Usa, è stata annuncia- ta per il 1991. L’ aspetto di questa ricerca che qui interessa maggiormente non è tanto tecnologico quanto di natura concettuale. Esso è costituito dalla capacità che dovranno possedere queste nuove evolutissime “macchine” di ascoltare, vedere, parlare, tradurre da una lingua all’ altra, riconoscere la voce di una persona o il signifi cato di un particolare messaggio; diagnosticare il guasto di una macchina o la malattia di una persona; prendere decisioni sulla gestione di una scuola o di un’ azienda. In altri termini: realizzare l’ intelligenza artifi ciale. Noi non possia mo stabilire, evidentemente, se, come e quando tale ricerca raggiungerà il suo obiettivo. Eppure, di fronte a questa prospettiva, viene già ora abbastanza naturale chiederci: cosa potrà mai provocare la possibile perdita di esclusività su quella che siamo da sempre abituati a considerare come la più peculiare, distintiva, inalienabi le, prerogativa della specie umana, l’ intelligenza? Insomma, cosa accadrà quando l’ uomo sarà veramente riuscito a costruire macchine pensanti? Questi “computer”, se possiamo ancora chiamarli così, saranno davvero la «navetta della conoscenza umana», come ha scritto Tohru Motooka, eminente scienziato dell’ università di Tokio e consulente speciale del progetto giapponese? Oppure potremo trovarci di fronte lo scenario, tipico di tanta parte del cinema e della letteratura fantascientifi ca, del robot che si ribella al suo creatore? Più semplicemente, in rapporto ai suoi padroni, quale sarà il grado di coscienza, il punto di vista della macchina? Il com portamento dei replicanti di Blade Runner, splendido fi lm di Ridley Scott, sembra avvalorare l’ ipotesi più catastrofi ca. Essi sono esattamente dei robot, cioè lavoratori, nel signifi cato che l’ inventore del termine, lo scrittore cecoslovacco Karel Čapek, gli attribuiva già negli anni Venti. Impiegati come manodopera specializzata, essi hanno una conformazione fi sica del tutto simile alla nostra con addirittura maggiori capacità operative; in più, non esprimono alcuna confl ittualità. Eppure, per qual che strano, imprevedibile difetto di fabbricazione, questi sofi sticatissimi prodotti della scienza cibernetica travalicano tutti i limiti psichici e di comportamento con cui sono stati programmati. Preda di un irrefrenabile anelito di libertà, essi si inna morano, si ribellano alla schiavitù del lavoro e vanno fuggiaschi, in un’ allucinante Los Angeles prossima ventura, alla ricerca del loro artefi ce. Periscono tutti nell’ im presa, tranne uno, il più audace. «Penso, dunque sono!», rivendica il replicante superstite prima di riprodurre la “scena primaria”: uccidere il “padre” e con lui, simbolicamente, quella “Ragione” occidentale classica che Fritjof Capra, evidente mente, non senza motivi, caparbiamente contesta. Ma l’ aver consumato il delitto, l’ aver abolito il “padre” non permette comunque al robot di possedere la madre. Poiché una macchina pensante può forse avere un padre, ma non ha certamente una madre; ed è probabilmente proprio con questa tragica consapevolezza che il cyborg conclude la sua folle corsa. Ed è quindi per questa via, se ci è concessa una notazione suggestiva, che avremmo riscontrato a livello del “corpo”, nostro e di chi ci origina, quell’ identità, quell’ essere che non possiamo più attribuire al “cogito”. Come ha scritto Hofstadler, interrogandosi sulla “natura” dell’ intelli genza artifi ciale e sul grado possibile di identità fra essa e l’ uomo, «probabilmente le diff erenze tra i programmi IA e le persone saranno più grandi delle diff erenze fra una persona e un’ altra. È quasi impossibile immaginare che il “corpo” nel quale un programma di intelligenza artifi ciale abiterà non abbia profonde infl uen ze su di esso» (cfr. Hofstadler, D.R. Godel, Escher, Bach, Milano, Adelphi, 1984, p. 735). Sembrano favole. Infatti la caratteristica principale delle fi abe, scriveva Bruno Bettelheim in un aff ascinante libro di qualche
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fra soggetto e na tura. Capra ritiene che questo modello sia ancora alla base di gran parte dell’ attuale rifl essione scientifi ca e continui a infl uenzare, per mol- ti aspetti, la nostra vita. «Ritirandoci nella nostra anima, abbiamo dimenticato come pensare col nostro corpo, come usarlo come agente della conoscenza. Così facendo, abbiamo rotto i ponti col nostro ambiente naturale e abbiamo dimentica-
to come comu nicare e cooperare con la sua ricca varietà di organismi viventi»15.
Capra coglie, inoltre, una generale contiguità fra la concezione del dominio dell’ uomo sulla natura e quella della inferiorità della don na: «Con l’ avvento della scienza newtoniana, la natura divenne un sistema meccanico che poteva essere manipolato e sfruttato, con giuntamente alla manipolazione e allo sfruttamento delle donne. L’ antica associazione di donna e natura intreccia in tal modo assie me la storia delle donne e la storia dell’ ambiente ed è la fonte di un’ affi nità naturale
fra femminismo ed ecologia che va manife standosi sempre di più»16.
Ma a questo proposito – e pertinentemente per quel che ri guarda il rapporto fra scelte di comportamento femminile e atteg giamento pacifi sta – va detto che, sebbene la caratterizzazione e la partecipazione femminile in tali movimenti sia stata in molti casi di grande rilevanza, soprattutto nel nord dell’ Europa, vi sono stati anche casi in cui organizzazioni femministe, o singole donne, hanno riven-
anno fa, è di «esprimere un forte dilemma esistenziale in modo chiaro e conciso» (cfr. Bettelheim, B.
Il mondo incantato, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 14). Electric dreams, lun gometraggio di Steve Barron
(un fi lm che lo stesso sceneggiatore considera «una Fiaba per computer»), si adatta splendidamente alla defi nizione di Bettelheim. Pro tagonista è un giovane architetto dall’ aria vagamente “nerd”, alle prese con un computer tutt’ altro che domestico. Il suo personal, infatti, a causa di alcune fortu nose circostanze (fra cui, nell’ ordine: uno spropositato consumo di programmi ra diofonici e televisivi delle stazioni cui è collegato; il risucchiamento via modem dell’ intera memoria di un megaelaboratore; il versamento nei chip di una coppa di delizioso champagne), acquista una sua autonoma capacità di elaborazione con cettuale. Da qui, in progressione logica, giunge spontaneamente a interrogarsi sulla natura dei sentimenti, delle passioni, dell’ amore; arrivando addirittura a provare, a modo suo, proprio una tale forma di pathos, di tensione. In quale direzione? Verso una donna, ovviamente, che altrettanto ovviamente è la legittima fi danzata del suo legittimo proprietario. Ma quando scopre l’ assurda, irresponsabile contrad dizione fra la sua emotività, i suoi “sentimenti” e la natura aridamente tecnica della sua esistenza materiale, il computer decide di uscire di scena, autodistruggen dosi con una potentissima scarica elettrica. Si può forse dire che la “macchina intel ligente” sviluppa una sorta di “invidia” del corpo, insopportabile, verso il suo pa drone. E l’ uomo? Possiamo veramente pensarlo imperturbabile, indiff erente, gla ciale? Riusciamo a credere, fi no in fondo, che non subisca in alcun modo il fascino della virtù operativa, se non ancora intellettuale, della macchina? Nella sequenza che conclude i Sogni elettronici, una sola grossa, lucida lacrima solca il viso della ragazza, mentre il computer “innamorato” muore: soltanto un piccolo, fl ebile indi zio verso la risposta a un interrogativo destinato a rimanere, almeno per ora, fonda mentalmente in sospeso.
15 Capra, F. op. cit., p. 36.
Capitolo 2 Il Medium nucleare
dicato, in senso presumibilmente provocatorio, la loro “estraneità” a queste lotte. La premessa teorica e il ragionamento con cui in Italia Alessandra Bocchetti ha
argomentato la sua scelta in questa direzione presenta numerosi caratteri di affi -
nità col di scorso di Capra.
La studiosa femminista ribadisce la sostanziale distanza delle donne da quella razionalità occidentale classica che si è aff ermata attraverso l’ assoluta e volontaria negazione del corpo: «Da un pun to di vista tradizionale, si dice che le donne sono incapaci di pen siero astratto, sono negate al cosiddetto pensiero puro. In eff etti, se per pensiero astratto si intende un pensiero che nasce dalla dimenticanza-nega-
zione del corpo, alle donne non risulta facile e la storia lo dimostra»17. La mater-
nità e il sentimento di essere pre da sono le ragioni forti che, secondo la Bocchetti
fanno la donna più corpo degli altri. «Questa impossibilità di prescindere dal cor-
po costituisce per le donne una sorta di pensiero materiale»18. Eff ettivamente gli
uomini sono più liberi, sostiene la studiosa, poi ché sono esenti da quelle confu- sioni che danno forma alle donne: per loro la vita non è dare la vita; il loro corpo è proprio il loro e non è necessariamente preda di nessuno. «Le donne, per certi versi, sem brano corte di immaginazione, gli uomini no. Gli uomini sono capa ci di inventare e costruire tante bombe per una guerra che verrà, che se saltassero tutte in aria il nostro pianeta non esisterebbe più. Que sto perché gli uomini hanno la possibilità di prescindere dal loro corpo, tanto da dimenticare che su questo pianeta abitano anche loro»19.
Sulla base di queste considerazioni, la Bocchetti individua lo spe cifi co femmi- nile di fronte all’ immagine della guerra nucleare, il pia no su cui fondare un’ iden- tità collettiva di donne: l’ estraneità. «Per ché dunque dovrebbero essere le donne a chiedere la pace? La chieda no piuttosto gli uomini, in nome della loro identità collettiva, in no me di quell’ orgoglio di essere uomo che ogni uomo possiede, an- che il più misero, il più povero, il più debole, il più idiota; quell’ orgo glio che li ha fatti sentire più forti, più capaci, più intelligenti delle donne; quell’ orgoglio che li ha fatti sentire padroni del mondo. Che scendano in piazza loro, insieme agli scienziati pentiti, agli uomini di governo di buona volontà disposti a disfare quello che hanno co struito fi no a ieri, a costruire l’ ipotesi della pace così come hanno co struito l’ ipotesi della guerra, poiché le donne non possono chiedere, perché dall’ estraneità non si può chiedere nulla, e giudicare lascia il tempo che
17 Cfr. Bocchetti, A. Discorso sulla guerra e sulle donne, Roma, Edizioni Centro Culturale Virginia Woolf, 1984, p. 9.
18 Ibidem. 19 Ivi, p. 10.
Atomic Life. La mentalità e le scelte dell’ era atomica Capitolo 2
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trova»20. Ma l’ estraneità, conclude la Bocchetti, quando è aff ermata con forza può
fare rifl ettere; ed è questa l’ unica speranza che può avere un gesto di donna per la pace. Per il resto, la studiosa si augura solo che, nella tragica eventualità di una confl agrazione ato mica globale, resti almeno un’ incancellabile testimonianza del fatto che questa guerra spaventosa, senza obiettivi, senza speranze, senza ideali, assolutamente priva di corpi che la combattono, le donne non l’ hanno voluta,
perché «non l’ avrebbero potuta neanche pensare»21.
Ritroviamo qui un ulteriore elemento di analogia con la sostan za specifi ca del ragionamento di Capra intorno alla funzione svolta dal razionalismo “astratto” della cultura occidentale nell’ aff ermarsi di una logica e di un comportamento umano distruttivo e antieco logico. Ma il fi sico di Berkeley si spinge anche oltre nell’ attribuzio ne delle responsabilità: «La concezione dell’ uomo come dominato- re della natura e della donna e la convinzione della superiorità della mente ra- zionale hanno ottenuto sostegno e incoraggiamento da parte della tradizione ebraico-cristiana; la quale aderisce all’ im magine di un dio-maschio, personifi - cazione della ragione suprema e fonte del potere ultimo, che governa il mondo dall’ alto impo nendogli la sua legge divina. Le leggi della natura investigate dagli scienziati erano viste come rifl essi di questa legge divina, che aveva origine nella
mente di Dio»22. Come si vede, lo studioso tiene in modo particolare a sottoline-
are il carattere interamente “maschi le” di una concezione dello sviluppo storico che proprio in tal gui sa attribuisce un’ eccessiva importanza al ruolo della lotta e
20 Ivi, p. 12. Se la premessa da cui il discorso della Bocchetti si dipana non è priva di una sua forza argomentativa, le conclusioni cui tale ragionamento approda lo sono forse un po’ meno. Ci sarebbe evidentemente da discutere sulla totale “estraneità” del le donne, del pensiero e dei comportamenti femminili alla costruzione della società contemporanea; di quegli atteggiamenti e di quel sapere “astratti” e “competitivi” che ci hanno portato fi no alla situazione atomica. Ma una tale rifl essione meriterebbe da sola una specifi ca trattazione che non possiamo ovviamente svolgere qui. In ogni mo do, anche nell’ ipotesi di condividere questo ragionamento, incontriamo comunque un elemento di contraddizione. Seppur si ammette, infatti, l’ estraneità femminile nell’ e difi cazione del dispositivo perverso della realtà nucleare, non si giunge, mi pare, a giu stifi care per questa via alcuna ipotesi di “estraneità” a un impegno attivo di contesta zione di tale “sistema”. In fondo, le donne sono “estranee” anche all’ aff ermarsi di quel maschilismo e di quelle logiche discriminatorie che ancora caratterizzano i sistemi so ciali. Questo però non ha fornito alle donne l’ alibi per tirarsi fuori; anzi, il femmini smo nasce proprio come moto di opposizione e di rifi uto verso queste condizioni. Si potrebbe obiettare che del maschilismo le donne sono vittime in prima persona. Ma perché questo argomento abbia valore, bisognerebbe dimostrare che le donne sono im muni dalle bombe atomiche. Purtroppo non è così. Il “sistema” che stiamo prendendo in esame e la minaccia che esprime riguardano indistintamente e in prima persona gli individui della specie umana; e questa realtà modifi ca intimamente anche i termini