L’ incidente Cartmill, naturalmente, non impedì al progetto Man hattan di andare “felicemente” in porto; e, come sappiamo, il 6 agosto del 1945 “Little boy” veniva
imbarcato a bordo di un aeroplano di nome Enola gay25, destinazione Hiroshima.
E dal giorno in cui quella strana luce bianca, un pezzo di sole, fu acceso nel cielo di Hiroshima, è cambiato qualcosa di decisivo nella vita di ognuno. Questo con- cetto è stato espresso in modi diversi, soprat tutto negli ultimi anni; e in forma sempre più esplicita in ragione degli accresciuti rischi per l’ esistenza della specie. In ambito cultu rale sono in tanti ad aver denunciato questa realtà terribile e allu- cinante. Quello delle opere esplicitamente composte all’ insegna della denuncia e della sensibilizzazione è un comparto importante al l’ interno della generale arti- colazione dell’ immaginario atomico, an che quando si tratta di operazioni creati- ve costruite in base a mo duli espressivi alquanto tradizionali.
Secondo Zavattini, ad esempio, è necessario «conoscere per fa re». Il suo corto- metraggio del 1973 Campi di sterminio – Hiroshi ma si propone appunto di stimo-
24 Cfr. Sadoul, J. La storia della fantascienza, Milano, Garzanti, 1975, p. 149.
25 Proprio Enola Gay è il titolo di un “fi lm-verità” andato in onda sui network italiani sul fi nire
dell’ 84. Si tratta di un raro concentrato di banalità, il cui messag gio fondamentale è: viva la bomba atomica, «apportatrice di pace», come dice l’ ul tima frase del commento fuori campo. Insomma, nonostante l’ acutezza dei proble mi, c’ è ancora chi, piuttosto che interrogarsi criticamente, sceglie la strada di un’ i nutile quanto assurda apologia della bomba.
Capitolo 3 Il Medium nucleare
lare la coscienza critica e l’ azione contro questa realtà terribile del nostro tempo. Il rapporto che il fi lm stabilisce fra la barbarie nazista e l’ orrore atomico ha esatta- mente questo scopo. La stessa tensione civile esprime Trenta anni dopo, girato da Vittorio Armentano nel 1973. La macchina da pre sa, in questo documentario, rivisita Hiroshima a tre decenni dall’ e splosione; e non trova a prima vista, nel panorama urbano rico struito, segni evidenti che ricordino quella tragica giornata del 1945. Ma dietro le apparenze le tracce ci sono ancora, soprattutto nella soff e- renza umana, quotidiana, dei sopravvissuti. E nella loro me moria. Aveva provato a dirlo (e forse c’ era riuscito) già nel 1959 Alain Resnais, con l’ indimenticabile
Hiroshima mon amour, che ha ispirato anche una bella canzone degli Ultravox.
Per Resnais le tracce di Hiroshima sono impresse indelebilmen te nella mente, costituiscono un passato che ha segnato in modo incancellabile il presente. Per l’ inconscio collettivo, il 6 agosto fun ziona come una terrifi cante scena primaria dell’ orrore, che convive e si confonde coi traumi del vissuto individuale e del- la quotidiani tà. Il fi lm, splendidamente sceneggiato da Marguerite Duras, è uno dei momenti fondamentali della nouvelle vague e aff ronta il tema della guerra rinunciando agli spunti tradizionali del cine ma pacifi sta. Racconta di una storia d’ amore fra un architetto giap ponese e un’ attrice francese giunta a Hiroshima per interpretare un fi lm contro la bomba atomica. Ma la memoria di lei reca anco ra le tracce di un’ incancellabile ferita infertale dai resistenti, che nel giorno della liberazione la raparono a zero perché era stata l’ amante di un tedesco. E quan- do la macchina da presa si sposta, dall’ immagine della ragazza e dell’ architetto che fanno l’ amore, a mostrare le sequenze dei corpi divorati dalle radiazioni ato- miche, eff ettua esattamente uno spostamento nel tempo e nello spazio che pone con estrema violenza il problema della conciliabilità fra i modi e il signifi cato del proprio vissuto e le presenze incancellabili della memoria, i drammi racchiusi nell’ immaginario collettivo. La denuncia della tragedia di Hiroshima è frammi- sta nell’ opera di Resnais all’ amarezza per le ferite incurabili di tutte le ingiustizie, di tutte le violenze, di tutto l’ orrore. Eppure, nell’ elaborazione di questa comples- sa e suggestiva tematica, Resnais costringe la co scienza di ognuno a fare i conti con la drammatica realtà dell’ età atomica, forse più di quanto non riesca alle ope- re caratterizzate in forma assai più esplicita e diretta. Insomma, la realtà atomica riassume nel modo più chiaro e completo tutte le forme di bruttu ra, di violenza, di ingiustizia. E non può che venire associata al “rifi uto”, in tutti i sensi.
Forse per questo l’ ex Sex Pistols insieme ad Africa Bambata ha scelto proprio uno scarico di rifi uti per ambientare le sequenze di apertura di World distruction. E proprio in mezzo ai rifi uti una tv trasmette immagini e discorsi di Ronald Rea- gan, mentre Lyndon commisura i suoi stessi gesti alla dimensione della negazio ne e del rifi uto. Mangiando in modo osceno, sputandosi addosso. Azioni in fondo
Apocalisse e immaginario. Il racconto dell’ atomica e del dopobomba Capitolo 3
163
prive di senso, come insensate sono le immagini di distruzione totale sulle quali sfumano le note ritmiche della canzone e si conclude il video. Insomma, sembra proprio che non ci sia speranza, no future ancora una volta, e che il destino inelut- tabile della specie sia quel Ritorno allo zero cantato da Jagger e compagni. Ed è ancora sulle note di un punk ghiac ciato che gli Stones rivolgono la loro insoppri- mibile rabbia verso i potenti della Terra di ogni paese e di ogni colore: «Così volete mandarci tutti in pezzi a incontrare a testa china il creatore e spie gargli le vostre ragioni. Dai lasciamo stare […] preferisco metter radici, non voglio saltare in aria. […] Non ci sono eroi? Il nulla, è lì che siamo diretti».