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Di fronte al vero e proprio dilagare, nella cultura e nell’ immagina rio contempora- neo, di reminescenze medioevali, Umberto Eco ha intimato di scegliere: Scegliere

il medioevo di cui si sogna32, cioè dire questo genere di operazioni culturali a che

cosa eff ettivamente si riferiscano. Poiché può trattarsi di cose mol to diverse fra loro, talora auspicabili, talora innocue, in altri casi addirittura insidiose.

Le considerazioni del semiologo assumono una pregnanza par ticolare all’ in- terno della nostra rifl essione, in quanto la rappresen tazione esplicita o indiretta di un contesto genericamente neome dioevale ricorre in molti segmenti di produ- zione culturale riferiti alla realtà del dopobomba. Certo, si tratta in molti casi di un medioevo usato come «maniera e pretesto», quale universo mitico, cioè, entro cui rivivono fi gure e oggetti della contemporaneità. E non mancano neppure le occasioni in cui tale quadro epocale viene sfruttato ai fi ni di una «rivisitazione ironica», per via della quale «si torna all’ immaginario di un’ epoca passata, vista appunto come passata e irriproducibile, per ironizzare sui nostri sogni e su quello

che non siamo più»33. Ma dei nove modelli di medioevo indicati da Eco nella sua

tipologia, quello a cui è riferibile con maggior frequenza il medioevo postnuclea- re è, abbastanza proba bilmente, il modello del «luogo barbarico, terra vergine di

senti menti elementari, epoca e paesaggio al di fuori di ogni legge»34. Un medioevo

scelto «in quanto spazio buio, dark age per eccellen za». Anche se non sempre,

come Eco sembra invece ritenere, «in quel buio si desidera vedere una luce altra»35.

Ma questa aspirazione è certamente presente nel medioevo che Robert Clouse ha mostrato in un suo fi lm del 1975, intitolato Gli avventurieri del pianeta Terra. La pellicola è ambientata nel 2012, in un mondo che una devastante esplosio- ne atomica ha ricacciato indietro nel tempo, verso una condizione di primitiva selvatichez za. Ma in questo mondo il «barone», anziano pacifi sta a capo di una piccola comunità, non ha rinunciato al sogno di una possibile rinascita. Il compito di portare in salvo il suo gruppo su una picco la isola scampata alle radiazioni sarà

32 Cfr. Eco, U. “Nove modi di sognare il medioevo” in Cinema e Cinema, n. 39, giugno 1984. 33 Ivi, p. 9.

34 Ivi, p. 8. 35 Ibidem.

Capitolo 3 Il Medium nucleare

affi dato a un «guerriero» prode e temerario. Un uomo capace di aff rontare tutti gli ostacoli di un territorio dove si è dissolta ogni forma di ordinamento socia le e fi - nanche t acqua e il cibo sono diventati beni di lusso di cui godono pochi individui temerari e violenti, che riescono ad assicu rarseli in una selvaggia e crudele lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza. Ma nei semi che il guerriero porta con sé è ripo sta interamente la speranza di un nuovo futuro.

Ancor più squisitamente neomedioevale è il contesto descritto da Edgar Pan-

gborn nel suo Davy l’ eretico36, opera famosa che ha un seguito nutrito e appas-

sionato di estimatori e a cui più di un esperto conferisce l’ attributo (a nostro av- viso discutibile) di capola voro letterario. La storia è quella di un ragazzo, Davy, che diventa uomo nel corso di un lungo peregrinare fra le città-Stato della costa orientale americana. L’ ambientazione è quella di una società neomedioevale, sor- ta dopo un confl itto atomico che quattrocento anni prima ha annientato la civiltà. Un mondo in cui cultura e sapere sono regredite a una religiosità arcaica, che nega ogni forma di piacere e impone una perversa forma di ascesi mistica. In quel che resta della Nuova Inghilterra non esiste alcun modello sociale prevalente. Una città può essere governata dalla più spietata ditta tura; un’ altra può essere organizzata in base a un primitivismo tribale. La maturità di Davy è scandita sulla graduale presa di co scienza della realtà in cui vive e sulla sua aspirazione al raggiungi mento di una purezza che sola può permettere l’ approdo a un mondo più giusto. L’ universo narrativo di Davy, in sostanza, non giunge troppo al di là di una generica e semplicistica tensione umanitaria, espressa peraltro attraverso stilemi letterari che non ci paio no forniti di un elevatissimo potere di seduzione.

Ben altro è il grado di fascinazione capace di esercitare un’ opera come Un

cantico per Leibowitz37 di Walter Miller jr, cui è stato attri buito, nel 1960, un me-

ritatissimo premio Hugo. Il libro è il massimo esempio di fantascienza cattolica, ma le qualità dell’ opera travalicano abbondantemente i confi ni del suo esplicito impianto ideologico. Il medioevo postatomico di Miller, narrato attraverso i cano- ni più sedu centi del “realismo” fantascientifi co, è un mondo spopolato e arcaico, in cui i discendenti dei sopravvissuti all’ olocausto nucleare hanno ri fi utato ogni forma di cultura e conoscenza. È la Chiesa, attraverso i suoi ordini monastici, ad assumersi il compito di conservare i fram menti del passato sapere, in attesa che l’ umanità, divenuta degna, possa di nuovo interpretare in positivo quella scienza che, perversa mente adoperata, portò alla catastrofe. Nella seconda parte del libro,

36 Cfr. Pangborn, E. Davy l’ eretico, Milano, Nord, 1977.

37 Cfr. Miller W. jr. Un cantico per Leibowitz, La tribuna – Science Fiction Book Club, Piacenza 1964.

Apocalisse e immaginario. Il racconto dell’ atomica e del dopobomba Capitolo 3

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ambientata ancora molti secoli dopo, all’ interno della Chiesa ferve di nuovo il dibattito sull’ opportunità di dare libero corso all’ evolu zione scientifi ca per met- terla al servizio della società. Nell’ anno del Signore 3781, l’ umanità ha ripercorso tutte le tappe della conoscenza tecnico-scientifi ca e somiglia molto al mondo dei nostri giorni. Ed è un’ altra volta sull’ orlo di un confl itto atomico. Nulla potrà scongiu rarlo, e per i pochi superstiti contaminati dalle radiazioni restano solo i «campi di misericordia», dove viene praticata legalmente l’ eutanasia nonostante l’ opposizione della Chiesa. Quo peregrinatur è il nome della missione spaziale che porta un drappello di prelati fuori dal no stro sistema solare a perpetuare la specie umana e i suoi valori cristia ni su qualche altro pianeta.

Fatta salva la diff erenza di spessore narrativo, non è diffi cile intra vedere, fra le righe di questi racconti del dopobomba, le metafore più o meno intelligenti di molti fra gli interrogativi e le tensioni più tipici dei discorsi sull’ era atomica. È il caso dei «semi» con cui tentano di ri costruire il mondo Gli avventurieri: chiaro rimando all’ idea che l’ ar monia bucolica di una civiltà contadina può costitui- re l’ unico accetta bile riferimento per il futuro (e sappiamo bene come rifl essio- ni del ge nere siano tragicamente presenti in alcuni comparti del dibattito con- temporaneo). O pensiamo alla violenta sottolineatura delle colpe della scienza, che in Leibowitz fa mostrare addirittura una società che tenta di difendere, senza riuscirvi, la sua condizione di nuova barbarie e non-sapere.