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Quando Th e day aft er fece la sua apparizione sugli schermi, nu merosi scienziati

sollevarono una vibrata protesta. Il fi lm, dissero, fornisce un’ idea molto ridut- tiva della tragedia derivante dall’ esplo sione di un confl itto termonucleare. Non ci vuole molto a capire che l’ obiezione era molto attendibile; eppure, per quanto fondata, essa era esterna alla attuale dimensione della narrazione fi lmica.

La guerra è sicuramente uno dei luoghi privilegiati del racconto cinemato- grafi co, uno dei più importanti fra i dispositivi capaci di esercitare quella «at-

trazione particolare»8 sul mezzo cinematografi co di cui parlava Kracauer. Ma la

guerra del cinema, così come la guerra che noi conosciamo, quella storicamente determinata, è una guerra che ha bisogno di avventura e passioni, di uomini e di donne: di corpi. Molto probabilmente il cinema non è ancora attrezzato, e non lo è l’ immaginario né il pensiero in genere, a raccontare storie in cui siano assenti i

corpi. E inoltre, in assenza di corpi, chi racconta la storia? e la storia di cosa, di chi?

Se queste considerazioni hanno un senso, allora diviene più agevole com prendere le ragioni che determinano e in qualche modo giustifi ca no l’ assetto narrativo di

un fi lm come Th e day aft er. Poiché la guerra atomica, perché possa essere oggetto

di un racconto, deve “contenere” in qualche misura il suo carattere apocalittico; ha biso gno, in un certo senso, di strutturarsi in forme analoghe alle di mensioni di confl itto storicamente determinate. La catastrofe nu cleare, se vuole mostrarsi attraverso modalità narrative “tradiziona li”, ha bisogno di circoscriversi, di “limi- tarsi”. Th e day aft er, infat ti, fa intendere più volte che si è trattato di uno scambio

in qualche modo limitato, e comunque lascia inevaso l’ interrogativo in torno al

futuro. Assistiamo alle vicissitudini terribili di una miria de di sventurati, ma il

fi lm non ci dice aff atto se ce la faranno. In ogni caso, la domanda generale sul

futuro della specie è glissata mostrando la catastrofe in azione su un determinato

territorio, cir coscrivendo un’ area geografi ca. Come fece Peter Watkins, nel 1967,

raccontando in un telefi lm dal titolo Th e war game quel che sa rebbe accaduto

durante e dopo un attacco nucleare sovietico sulla contea di Kent, in Inghilterra. Ma chi ha avuto modo di vedere questo lavoro, censurato dalla Bbc perché ri- tenuto troppo impressionante (cosa che non gli ha impedito di ricevere un Oscar), ritiene che le immagini di soff e renza e devastazione con cui è costruito non sono più insopporta bili di quelle mostrate da Daniel McGovern, Herbert Sussan e altri dodici operatori in un documentario girato a Hiroshima nel 1945, ma che abbia- mo potuto vedere solo nel 1983. Il Pentagono, infatti, ha decretato per 38 anni la

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censura di Giappone sconfi tto, ritenendo che le sue allucinanti sequenze avrebbero

compromesso l’ immagine degli Usa nel mondo. In questo modo, fra Th e day aft er

e Giappone sconfi tto, fra Th e war game e Hiroshima, insom ma fra i prodotti della

fi nzione e quelli che documentano i primi “esperimenti” atomici su una popola-

zione, vi è, almeno a livello dell’ immaginario dei consumatori, una generale con-

tiguità. Le im magini del Giorno dopo e quelle dei sopravvissuti. di Nagasaky, le

sequenze di un’ esplosione nel deserto e quelle del fungo di Hiroshima si intreccia- no nella nostra mente, fi no a comporre un confuso articolato puzzle dell’ orrore.

Ma ci sono anche quelli che hanno provato a raccontare gli anni della ricostru-

zione. Chi lo ha fatto si è però premunito di esplicitare che la guerra cui si riferisce

il suo racconto è un confl it to nucleare “limitato”. War day, pubblicato da Whitley Strieber e James Kunetka nel 1984, è esattamente il reportage di due so pravvissuti che cinque anni dopo il giorno della guerra partono per un viaggio nel continente

americano, decisi a scoprire che cosa è veramente accaduto9. Il taglio della narra-

zione è di carattere for temente sociologico, arricchito di testimonianze, dati, in- terviste e continui riferimenti all’ attualità. Secondo i due autori, la guerra scoppia per un motivo molto preciso. I sovietici, infatti, fanno par tire una salva atomica proprio mentre gli Stati Uniti mettono in orbita la loro prima arma stellare, una navicella capace di accecare e abbattere in volo tutti i missili russi. Il riferimento critico allo scudo spaziale è particolarmente evidente. Gli autori di War day spie- gano anche perché il confl itto si mantiene limitato. La sua di mensione globale è infatti scongiurata dal “tradimento” degli alleati europei, che si rifi utano di usare missili atomici in loro dotazio ne contro i paesi del patto di Varsavia. Ma il libro valuta positiva mente la defezione europea e un immaginario sottosegretario alla difesa Usa dichiara, nella sua intervista, che forse proprio questo “incidente” ha salvato la specie umana dalla sua estinzio ne. Il romanzo è una cronaca dettaglia-

9 Cfr. Strieber, W.; Kunetka, J.W. War day, Milano, Mondadori, 1984. Vogliamo ricordare qui che, per la stesura di questa parte del libro dedicata all’ im maginario atomico, sono numerosi i lavori realizzati in ambito giornalistico e critico che ci hanno fornito tracce di grande utilità e interesse. In particolare, Erremme Dibbi (pseud.) “Nubi dal futuro” in Il Manifesto, 21 maggio 1986; Bozza, G. “L’ a tomica sullo schermo” in Cineforum, marzo 1984; Pellizzari, L. “L’ immagine nucleare” in Cinema

e Cinema, n. 38, Torino, Marsilio, 1984; Anselmi, M. “Quando il cinema immagina catastrofi non

immaginarie” in l’ Unità, 11 maggio 1986; Argentieri, M. “Apocalipse fi ction” in Rinascita, n. 29, 1985; Bru no, L. “Il giorno del giudizio nella narrativa d’ anticipazione” in Metal extra, n. 4, 1983; Kramar, S. “Piomba sul rock l’ incubo nucleare” in Il Mattino, 6 maggio 1986. È stata inoltre decisiva la consultazione di opere antologiche sulla fantascien za, come quella pubblicata dal collettivo milanese

Un’ ambigua utopia (cfr. Aa.Vv. Nei labirinti della fantascienza, Milano, Feltrinelli, 1979) e quella

realizzata da Aldiss (cfr. Aldiss, B.W. Un miliardo di anni. La storia della fantascienza dalle origini ad

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ta della situazione socioeco nomica degli States dopo la catastrofe, e descrive con grande verosimiglianza il declino storico di quella che era stata la più grande na- zione del mondo. Stati che si disgregano, altri che dichiarano la propria indipen- denza dagli Usa e l’ intera confedera zione ricattata da una nazione ispanica, sorta ai suoi confi ni, che è sul punto di annettersi anche la California.

Ma è nella descrizione della situazione sanitaria del paese che il libro raggiunge forse le punte di maggiore crudezza. Strieber e Kunetka immaginano che i potentis- simi Centri di controllo sanitario (Ccs) intraprendano «la più temuta e controversa decisio ne del nostro secolo», di negare cioè a una parte consistente della cittadinan- za – la «popolazione di scarto» – qualunque tipo di assistenza medica. Infatti, data la spaventosa carenza di personale e attrezzature sanitarie, vengono assistiti solo quei cittadini il cui grado di contaminazione radioattiva non ha rag giunto una certa soglia, mentre gli altri sono abbandonati a se stessi in attesa della fi ne. Descrivendo questa spaventosa situa zione, la fantasia pur fervida degli autori non si è discostata di molto dalla realtà. In uno spietato rapporto10, dedicato alle caratteristiche dell’ azio-

ne medica successiva a un possibile confl it to atomico, gli scienziati dell’ Associazio- ne medica britannica han no già stabilito dei criteri che ricalcano esattamente quan- to imma ginato in War day. È necessario intraprendere anche decisioni terribili, se si vuole sperare nella rinascita della nazione, avrebbe forse commentato Pat Franck; il quale, nel suo Addio Babilonia, già alla fi ne degli anni Cinquanta aveva raccontato l’ epilogo di una guerra atomica11. Il romanzo, benché saldamente collocato nella

schiera della letteratura apologetica statunitense, è senza dubbio una delle opere migliori pubblicate sull’ argomento. Suo motivo centrale è il racconto delle tragedie e delle speranze di una piccola comunità della Florida, miracolosamente sfuggita alla distruzione. La capacità di riorganizzarsi e la determinazione dei suoi membri nell’ aff rontare le immani diffi coltà che hanno di fronte simboleggiano esattamente lo spirito con cui i sopravvissuti lavorano alla rinascita della nazione.

Queste opere, come abbiamo visto, partono dall’ assunto (pe raltro molto di- scutibile) di un possibile “contenimento” del con fl itto. Ma si può, invece, imma- ginare la rinascita nel contesto di una confl agrazione nucleare globale? Il mondo postatomico della fantascienza ci mostrerà, come vedremo, immagini moltepli ci e variegate di società risorte centinaia o migliaia di anni dopo la catastrofe, nel remoto futuro di una nuova era. Ma, ragionando su distanze cronologiche più ravvicinate, ci sarà ancora il mondo degli uomini dopo l’ apocalisse nucleare? Esi-

sterà ancora la societàumana, dopo la guerra atomica totale?

10 Cfr. Ferrieri, G. “Vi cureremo senza pietà” in L’ Europeo, n. 49, 6 dicem bre 1986. 11 Cfr. Franck, P. Addio Babilonia, Piacenza, Science Fiction Book Club, 1965.

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Nel fi lm L’ ultima spiaggia, Stanley Kramer fornisce una rispo sta molto pes- simistica a questo interrogativo. Girato nel 1960, il fi lm è ambientato nella fase successiva a una catastrofi ca guerra che ha sconvolto il pianeta. La sua carica di- struttiva è stata immane e sulla Terra ogni forma di vita è praticamente scompar- sa. Solo l’ Australia è stata risparmiata dalle esplosioni atomiche (anche qui, insie- me ai superstiti sopravvive la possibilità della narrazione); ma i venti radioattivi che stanno per arrivare annun ciano che anche nella terra dei canguri la fi ne è vicina. Un sottomarino americano di stanza a Sidney viene spedito a compie re un’ esplorazione nelle località devastate, per verifi care se vi sono superstiti e so- prattutto per scoprire l’ origine di un indecifra bile messaggio Morse che da vari mesi viene captato in Australia. L’ escursione confermerà soltanto che l’ umanità è praticamente scomparsa e il segnale intercettato era prodotto da una bottiglia di Coca Cola appesa a una tendina, che urtava contro i tasti di un telegrafo. Il som- mergibile torna in Australia mentre il male atomico si propaga anche qui; e alla popolazione viene distribuita una pillola velenosa per alleviare le soff erenze della morte radioattiva. La storia umana fi nisce così.

Alla guerra termonucleare globale non riescono a sopravvivere nep pure gli “eletti” spediti da Mordecai Roshwald nel Livello 7, il più pro fondo fra i rifugi

antiatomici12. Ma l’ autore inventa qui un singolare espediente narrativo, teso for-

se a sottolineare la generale nocività del l’ energia atomica anche quando si tratta dell’ atomo cosiddetto di pa ce. Infatti il livello 7, preposto a ospitare per alcuni secoli i suoi abi tanti e i fi gli dei loro fi gli, è completamente autosuffi ciente, grazie a una piccola centrale atomica che fornisce tutta l’ energia necessaria alla comunità sotterranea. Ma il reattore subisce un’ avaria, c’ è una fuga radioattiva, bisognereb- be evacuare il rifugio e ripararla; eviden temente ciò non è possibile e gli ultimi abitanti del pianeta Terra muoiono lentamente, fi no all’ ultimo. E quando gli ex- traterrestri, ri chiamati da misteriosi lampi che avevano osservato sulla superfi cie del nostro pianeta arrivano sulla Terra, come immagina Leo Szilard in un suo

racconto dal titolo Rapporto alla stazione centrale di New York13, non potranno

fare altro che raccogliere i reperti archeologici di una civiltà scomparsa.

12 Cfr. Roshwald, M. Livello 7, Milano, Mondadori, “Urania”, 1984.

13 Cfr. Szilard, L. “Rapporto alla stazione centrale di New York” in La voce dei delfi ni, Milano, Feltrinelli, 1962.

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