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Spesso, infatti, la realtà nucleare si presenta solo sullo sfondo di narrazioni che, al- meno in apparenza, parlano d’ altro. Ma è proprio in queste storie che la situazione atomica mostra compiuta mente la sua valenza di generale condizione esistenziale, su un piano emotivo e psicologico che è, a tratti, addirittura inconscio. Come in quelle Pagine su Roma scritte da Jean Paul Sartre nell’ ot tobre del 1951, in cui il fi losofo racconta escursioni e passeggiate archeologiche per la Capitale, con un tono che, mentre appare lieve e svagato, si avverte continuamente sinistro, si sente minac cioso, per svelare solo a metà del racconto il motivo della sua in quietudine: l’ annuncio di Stalin che anche l’ Urss ha l’ atomica. Un annuncio che inaugura insieme l’ equilibrio del terrore e la mi naccia del suicidio nucleare della specie. Ed ecco, allora, che il rapporto fra la sua soggettività di uomo e le vestigia del passato, il suo sguardo emozionato sui monumenti, si rivelano quali mani festazioni di un

legame fra “oggetti” destinati forse all’ identico de stino di distruzione: «uno stesso

soffi o volatilizzerà questi mattoni e muterà i nostri corpi in una corrente d’ aria». Il testo di Sartre è interessante soprattutto per quanto riguarda i modi con cui mo- stra l’ irruzione della situazione atomica nel vissuto di ogni giorno.

Il “forestiero” Sartre è semplicemente costretto a pensare alla dimensione ca- tastrofi ca generale che inizia a prendere corpo in quel periodo. Ed è importante notare come le sue considerazioni in pro posito non siano astratte dalla trama re- ale della sua quotidianità, ma si svolgano proprio a partire dalla eff ettiva con- fi gurazione di essa. Sartre parla nel contesto del suo “viaggio in Italia”; e la sua rifl essione è esattamente quella di un “turista” che è brutalmente posto di fronte alla situazione atomica.

Capitolo 3 Il Medium nucleare

Cinque anni dopo, il grande maestro del cinema giapponese Akira Kurosa- wa utilizzava uno schema abbastanza simile per forni re il suo apporto critico e creativo alla stessa tematica. Vivere nella paura racconta il ritorno a casa di alcu- ni pescatori che hanno getta to le reti in acque rese radioattive dagli esperimenti nucleari. Il problema atomico irrompe così nel quotidiano di una comunità di uomini semplici e Kurosawa esprime tutta la sua maestria nel rappresentare l’ im- patto sulla mentalità di un vecchio giapponese di un problema tanto enorme e spaventosamente nuovo.

In Desert bloom di Eugene Corr, invece, l’ evento chiave del fi lm – un’ esplosio- ne sperimentale nel deserto del Nevada – è posto al margine estremo della narra- zione. Eppure il quotidiano dell’ attesa è attraversato in ogni punto dalla coscienza che fuori l’ uscio di casa si prepara l’ orrore. Azioni, gesti, comportamenti, legami dei protagonisti sembrano esserne intimamente condiziona ti; e prima ancora che al bagliore dell’ esplosione assistiamo a una vera e propria teoria di catastrofi pri-

vate, di disastri psichici che investono tutti i personaggi. Insomma l’ atomica c’ è; la

sua sola presenza condiziona il nostro modo di essere, agisce sulla nostra identità. Il fatto che Corr la ponga così fi sicamente vicina allo spa zio quotidiano e dome- stico serve non tanto a sottolineare la sua potenza, quanto a mettere in luce, su un piano generale, le conse guenze della sua esistenza. E se è vero che sulle strade dell’ imma ginazione, nei territori del sogno, si incontra tutto quel “sapere” che abbiamo occultato, per scelta o senza accorgercene, alla nostra coscienza, se è vero che nell’ attività onirica si esplica il “ritorno del rimosso”, diviene facile compren- dere perché, nel “viaggio” allucinogeno che Moebius fa compiere al protagonista, in uno dei suoi fumetti più suggestivi, ci si imbatte proprio nella realtà futura e

presente di un confl itto atomico4. Una realtà che occupa un po sto centrale nella

dimensione psicologica collettiva del nostro tem po; un dispositivo che, proprio perché concreto, benché non (an cora) operativo al suo grado materialmente ca- tastrofi co, si presta splendidamente, come Moebius sottolinea, ad agire da sottile

fron tiera che separa il reale dall’ immaginario.

3.3 «Five minutes»

L’ immaginario nucleare, infatti, è semplicemente un segmento con notato in sen- so fantastico all’ interno del variegato contesto della situazione atomica. Esso ne rappresenta, invece, un tassello fonda mentale. E non solo perché al suo interno si esplicano tutte le traduzioni possibili che del timore atomico vengono svolte a

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livello della fi ction, ma anche perché in esso si dispiega una fondamenta le azione

strategica.

Ha ragione Derrida, quando intravede nella guerra nucleare la sua decisiva valenza di narrazione e testo. Poiché, come sostiene lo studioso, se ora realmente esistesse come discorso, non starem mo a parlarne; è chiaro che fra le sue attività fondamentali è indi spensabile individuare quella del suo funzionamento come

strate gia retorica; e i concetti chiave che usa – deterrenza, dissuasione – sono la

spia più signifi cativa di questa modalità. Proprio par tendo da questa consapevo- lezza, Derrida sottolinea e valorizza il piano anche rigorosamente discorsivo sul quale va costruita la «cri tica nucleare».

Se questo è vero, le dichiarazioni rilasciate dal vicesegretario statunitense alla Difesa Richard Perle, nel maggio del 1985, costi tuirebbero di certo un si- gnifi cativo reperto per le sofi sticate analisi che Derrida e altri studiosi dell’ uni- versità di Cornell vanno da an ni svolgendo intorno ai discorsi e alle culture

dell’ età atomica5 «A coloro che hanno creato quell’ industria microelettronica e

computeristica che ha un’ importanza fondamentale per lo sviluppo dello “scu- do spaziale”, disse Perle, vanno aggiunti i ragazzini che han no infi lato milioni di monetine nei videogiochi». L’ aff ermazione, nonostante l’ autorevolezza della fonte, può risultare abbastanza sor prendente. È tuttavia accertato che l’ indu- stria dell’ apocalisse futu ra ha sfruttato, in più occasioni, le soluzioni tecnologi- che escogita te da quella miriade di progettisti impegnati a soddisfate le esi genze sempre più pressanti, in termini di soluzioni innovative e «intelligenti», dei pati-

ti di videogame6. Insomma, l’ industria dei giochi elettronici esprime continua-

mente un fondamentale contri buto di idee per lo sviluppo di quelle sofi sticate tecnologie appli cate poi in campo militare: dalla guida automatizzata dei missili

5 Un momento molto signifi cativo di questa discussione è racchiuso nel fascicolo dell’ estate 1984 della rivista Diacritics, che contiene anche gli atti del seminario sul «Nuclear criticism». 6 Le dichiarazioni di Perle sono state diff use dall’ agenzia Ansa nel maggio del 1985. Il quotidiano Reporter le ha riportate in un articolo dal titolo Scudo spazia le? diventerà realtà grazie ai

videogames, pubblicato il 29 maggio del 1985. In rapporto alla dimensione generale del consumo di

giochi elettronici vogliamo ri chiamare qui la pertinente notazione di Alberto Abruzzese, secondo cui «molto probabilmente questi giochi elettronici d’ uso individuale costituiscono la risposta educativa, metaforica, culturale alla contraddizione tra complessità e semplifi cazio ne, saperi fl uttuanti o atomizzati e sapere binario, immaginario collettivo e infor mazione, fantasia e funzione. Molti punti di rifl essione accesisi negli ultimi anni si sono spinti a considerare il valore innovativo, oltre che puramente tecnico o economico, dei Videogames. Si sono spinti a scoprire la novità culturale di questi attrezzi che abbiamo chiamato giochi elettronici, macchinette apparentemente futi li, presenti in modo diff uso su scala planetaria ma con grandi capacità di localizza zione». (cfr. Abruzzese, A. “Giochi elettronici e consumo spettacolare” in Aa.Vv. Incontro con i videogiochi, Roma, Basaia, 1984).

Capitolo 3 Il Medium nucleare

e degli aerei fi no alla visualizzazione di schieramenti militari sui teatri possibili di confl itto.

Anche qui, insomma, fra discorsi operativi e strategie retoriche, fra pratiche ludiche e fantastiche ispirate alla guerra e scenari di guerra ispirati al gioco, co- gliamo una fondamentale dinamica di reversibilità e scambio, non dissimile a quella rilevabile in quei ragionamenti tesi a sottolineare il valore, in termini di innovatività scientifi ca, di sviluppo industriale, addirittura di espansione occu- pazionale, presente nei comparti dell’ industria atomica e militare. Fortunatamen- te vi è chi non ha rinunciato a farci su un po’ di ironia. In una sua storia intitolata

Boom, il disegnatore americano Jules Feiff er costruì in questo senso un’ interes-

sante metafora. Sia mo all’ epoca degli esperimenti nucleari nell’ atmosfera svolti ripe tutamente negli anni Sessanta e il cielo si riempie di scorie radioat tive, mentre la gente si vede comparire sul corpo dei grossi brufoli. Fallita una campagna tesa a convincere la gente che i brufoli con feriscono un notevole fascino, il governo cambia tattica. E per le strade compaiono enormi cartelli pubblicitari che annun- ciano il lan cio sul mercato di fi ltri antibrufoli, occhiali antibrufoli, tranquil lanti antibrufoli, ecc.

Così, mentre una parte dell’ apparato produttivo lavora alla costruzione di bombe sempre più potenti, un’ altra parte è impegna ta a fabbricare pomate e me- dicamenti. Un ciclo economico perfet to. Un nuovo rinascimento, commenta Feif- fer. È un paradosso, certamente, ma fi no a un certo punto. Potrebbe essere interes- sante valutare qual è l’ entità del business che nei paesi occidentali vi è intorno alle scuole di sopravvivenza, o all’ industria dei rifugi, per fare solo qualche esempio più eclatante. E sarebbe altrettanto interessante scoprire quali sono gli interessi in gioco intorno al Co smos, il piano top-secret collegato al programma americano di guerre stellari che è costato la vita già a 7 scienziati a vario titolo impegnati nelle ricerche, tutti morti in modo inspiegabile e ancora misterioso. Suicidi, scomparse, incidenti: un giallo alla Agata Chri stie che è invece notizia di cronaca. Come quel- la che riportavano i giornali nell’ estate del 1985, a proposito dell’ ordine impartito da Reagan di lanciare «fra cinque minuti» i missili atomici sull’ U nione Sovietica.

Ma quello era solo uno scherzo innocente. Il presidente non aveva trovato niente di meglio da dire, per provare i microfoni di uno studio radiofonico prima della trasmissione. Fatto sta che Jerry Harrison dei Talking Heads e Bootsy Collins dei Funkadelic riuscirono a venire in possesso della tragicomica dichiarazione, la mixarono con del robusto funk e, dato nome al loro sodalizio Bon zo goes to Wa-

shington, ne fecero uno splendido pezzo da discote ca. Il disco si intitola Five mi- nutes e appartiene anch’ esso ormai all’ archeologia critica della cultura nucleare.

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