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Quindi solo nel suo folle connubio col militarismo la scienza mo stra il suo volto

catastrofi co, mentre nella solitudine neutrale del suo laboratorio lo scienziato può

dirsi veramente innocente? O in vece, il suo desiderio di conoscenza, la sua sconfi - nata ambizione, la sua sete di potere costituiscono di per sé un rischio spaventoso per il futuro della specie?

Capitolo 3 Il Medium nucleare

In un suo dramma intitolato I fi sici, Dürrenmatt sembra impli citamente as- solvere l’ uomo di scienza28. La storia è quella di tre sapienti che, per impedire un

uso distorto del le loro scoperte da parte del potere, decidono di farsi passare per matti continuando le loro ricerche in un manicomio. In questo modo cercano di na scondere di aver scoperto la teoria unitaria delle particelle elemen tari e aver trovato, quindi, la fonte del potere totale. Ma la diret trice del manicomio spia i suoi pazienti e raccoglie i risultati dei loro studi; ed è lei a conquistare il dominio sul pianeta. La conclu sione del dramma, pur assolvendo la scienza, ripropone con forza l’ impossibilità di svolgere ricerca pura; anzi questa, suggerisce Dürrenmatt, è forse solo una pia illusione.

Notevole signifi cato, in questo contesto, riveste anche un’ opera di fantascien-

za sovietica, apparsa nel 1967 col titolo La nuova ar ma29. Qui la responsabilità

dell’ attivazione di un perverso pro gramma di ricerche sui nuclei atomici ricade interamente sugli scien ziati. È uno scienziato americano che, per soddisfare la sua brama di potere, convince i politici del suo paese a fi nanziare gli studi, col pretesto falso che gli avversari sovietici hanno avviato un analo go programma di ricerche. La conclusione del romanzo è però ispirata, seppur ingenuamente, al massimo dell’ ottimismo. Infatti il pro gramma giunge a un risultato del tutto opposto alle aspettative. La scoperta della possibilità di stabilizzare i nuclei pro- voca la scomparsa di tutte le prerogative radioattive degli elementi sul pianeta. Rende inoperante almeno per cento anni l’ energia atomica e inoff ensivi tut ti gli ordigni. Una tradizione scientifi ca che ha cambiato il corso della storia conclude così defi nitivamente la sua avventura. Le centrali ato miche si fermano, i sommer- gibili nucleari riemergono in superfi cie e i missili possono anche venir venduti come rottami. Ma lo scienzia to Shardestkji, in fondo è soddisfatto: «Qualcosa si troverà. Sfruttere mo di più l’ energia del sole. C’ è poco da fare, bisogna salvare il mondo»30.

Nell’ immaginario atomico il rapporto fra “sapere” e “potere”, fra scienza e politica, è un terna abbastanza ricorrente, come del resto accade all’ interno del generale dibattito sulla condizione atomica. È dell’ inizio degli anni Cinquanta un altro signifi cativo reperto in que sto ambito di rifl essione. Nel suo Minaccia atomi-

ca, infatti, il regista inglese John Boulting sottolinea con grande vigore narrativo

e ade guata problematicità i termini reali del problema. Il fi lm narra la sto ria di uno scienziato nucleare che, consapevole dei tremendi pericoli insiti nei risultati

28 Cfr. Dürremmatt, F. I fi sici, Torino, Einaudi, 1982.

29 Cfr. Savchenko, V. La nuova arma, Roma, Edizioni Fer, 1967. 30 Cfr. ivi, pp. 103-104.

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del proprio lavoro, si impossessa di un ordigno e minaccia di farlo esplodere su Londra se non viene immediatamente sospeso ogni programma di ricerche nu- cleari. L’ elemento di maggio re interesse nella storia è costituito forse dal fatto che il protagonista non viene presentato come un pazzo, ma piuttosto come una sorta di profeta che lancia la sua lucida ammonizione sulla follia insita nel percorso che i governi iniziavano appena a intraprendere in quegli anni.

Un punto di vista abbastanza analogo a quello assunto dieci anni dopo da un altro fi lm inglese, E prese fuoco la Terra, girato da Val Guest nel 1961. Qui si narra di uno spostamento nell’ orbi ta terrestre, su cui cala il silenzio delle autorità allo scopo di non allarmare l’ opinione pubblica e nascondere che la colpa di un pos sibile disastro ricade sulle esercitazioni atomiche. Ma la storia viene scoperta e svelata dalla stampa, di cui il fi lm è interamente teso a esaltare la funzione.

Il ruolo dell’ informazione in rapporto alla situazione atomica è uno dei temi centrali anche in Sindrome cinese, un famoso fi lm girato da James Bridges nel 1979. La pellicola racconta le terribili vicissitudini di una giornalista intenzionata a svolgere la sua de nuncia intorno alla pericolosità che ha scoperto in una cen- trale atomica. Quando il fi lm apparve negli Stati Uniti, fu subito accla mato quale interessante esempio di come il cinema potesse inter pretare in chiave spettacola- re situazioni così tragicamente caratteri stiche del nostro tempo; «catastrofe della fi nzione», si disse. Ma poche settimane dopo la prima di Sindrome cinese, vi fu l’ inci dente alla centrale atomica di Th ree Mile Island; un episodio reale che rical- cava, fi n quasi nei minimi particolari, la dinamica dell’ e vento fi lmico. La modali- tà di consumo di questo reperto cinemato grafi co fi nì per modifi carsi totalmente.

Negli anni seguenti, Sindrome cinese (che descrive la fusione del nocciolo di un reattore atomico, il suo sprofondamento nella crosta terrestre e la possibilità che possa sbucare dall’ altra parte della Terra, in Cina appunto) lavorò sull’ imma- ginario americano a vari livelli. E anzitutto sul piano naturale della fi ction, e in di mensione in un certo senso documentaristica: una destinazione del tutto im- prevista per una produzione completamente di immagina zione. Ristrutturando quasi totalmente la sua funzione all’ interno degli apparati della comunicazione, il fi lm divenne momento cen trale del dibattito culturale e nella determinazione degli orienta menti dell’ opinione pubblica. Nel 1983 il governo decideva di ri durre progressivamente il numero delle centrali. Era l’ inizio di quello che venne chia- mato nuclear plug (tappo nucleare). Nel giro di pochi mesi, sarebbe stata bloccata la costruzione di altre 48 centra li già previste dal programma energetico.

Importantissima, nel contesto della discussione sul nucleare “ci vile”, è an- che la tragica storia di Karen Silkwood, morta a soli 28 anni in circostanze quantomeno poco chiare. La sua vicenda assunse un tale valore emblematico, che nel 1983 Mike Nichols decise di farci un fi lm. Karen era un’ operaia spe-

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cializzata, lavorava in un’ azienda dell’ Oklahoma manipolando plutonio e ura- nio. La fabbrica, che produceva materiale nucleare, oggi non esiste più; chiuse i battenti l’ anno successivo alla morte della Silkwood. Le disavventure di Karen cominciarono quando si accorse degli eff etti nocivi che la contaminazione ra- dioattiva stava provocando su se stessa e sulla salute delle sue compagne di lavo- ro. Da quel mo mento l’ operaia avviò un intenso attivismo sindacale. Cominciò a battersi contro la direzione della fabbrica, accusandola di trascurate le norme protettive; prese contatto con le autorità e cercò docu menti e prove per scate- nare una campagna di stampa. La mattina in cui morì stava recandosi all’ ae- roporto, dove aveva appunta mento con un inviato del New York Times. Doveva consegnargli un dossier che avrebbe messo l’ azienda con le spalle al muro. Ma il giornalista aspettò inutilmente. Karen aveva perso la vita in un incidente stra- dale e il dossier era sparito. Una tragica fatalità o un assassinio? Non lo sapremo mai. Ciò che sappiamo, invece, è che la realtà atomica, in tutti i suoi comparti, da quelli della “pura” ricerca a quelli dell’ innovazione scientifi ca applicata agli ar mamenti, dall’ atomo “pacifi co” a quello militare, continua a esprimere nella produzione di immaginario e nei rapporti che esso in trattiene con la fattualità una decisa valenza catastrofi ca.

Forse per questo il nucleare ha attraversato tante volte i territo ri del fantastico e dell’ immaginazione. Esso ha rappresentato nella letteratura apocalittica, innu- merevoli volte, la premessa fondamen tale allo svolgimento della sua narrazione. In qualche caso, non vi è neppure bisogno che l’ accadimento catastrofi co ven- ga esplici tato, il fatto che esso vi sia stato è dato semplicemente per sconta to. La concretezza di una catastrofe nel senso e nella cultura che si è prodotta a partire dall’ invenzione di un dispositivo tecnico di natura apocalittica è stata più volte tradotta, nei territori della fi ction, come possibilità di raccontare un mondo che è già dopo la catastrofe. Ma il mondo del ritorno alla barbarie, della mutazio ne, del nuovo medioevo, forse più che disegnare i contorni di un improbabile futuro postatomico, ci mostra in forma estremizzata, grot tesca e paradossale, quelli che sono i caratteri del nostro presente31.

In questo senso le immagini del dopobomba, più che una fun zione ingenua- mente profetica, svolgono il compito di dare corpo ai fantasmi, alle paure, alle angosce che popolano il nostro imma ginario di fronte alla consapevolezza della

31 In Philip K. Dick, in maniera più evidente che in altri autori, il discorso verte sempre più prevalentemente sul presente. In un racconto postatomico come Auto fac, centrato sul tema della fabbrica automatica capace di autogovernarsi, riprodursi ed esercitare il suo dominio sugli uomini. (cfr. “Autofac” in Brunner, J. (a cura di) Il meglio di Philip Dick, Milano, Siad, 1979), a essere presi di mira sono, per esempio, i meccanismi di evoluzione tecnica cui soggiace la società contemporanea.

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possibilità reale della fi ne della storia. Ma in moltissime occasioni la fi ction ha preferito distorcere questa consapevolezza, immaginando che dopo il pre sente possa esservi di nuovo il passato.