La Brown University di Providence, nel Rhode Island, è uno degli atenei più pre- stigiosi degli Stati Uniti. Appartiene, infatti, alla Ivy league, un’ istituzione forma- tiva che raggruppa sette college fra i più esclusivi d’ America, i cui vecchi e austeri edifi ci sono tutti ricoperti dall’ edera.
Il college ha la reputazione di essere quello più “per bene” della lega, frequen- tato da alcuni dei rampolli più in vista degli States e in genere da una popolazione studentesca scarsamente in cline ad atteggiamenti di tipo ribelle o contestatario. Eppure, nell’ ottobre del 1984, il tranquillo campus americano assurse agli onori della cronaca internazionale. In seguito a un inquietante referen dum, che vide il consenso di oltre il 60% degli studenti, il comi tato promotore inoltrò al servizio sanitario dell’ università la sua singolare richiesta: dotare il campus di una suffi - ciente scorta di pillole al cianuro, da mettere a disposizione degli studenti nel caso dovesse scoppiare una guerra atomica.
La richiesta venne ovviamente respinta, anche se la direzione universi- taria tenne a precisare che le inquietudini espresse dal refe rendum venivano
Capitolo 2 Il Medium nucleare
prese molto sul serio. In ogni modo la notizia suscitò negli Stati Uniti un vivace coro di commenti. Herbert Lon don, un’ autorità accademica della New York University, paragonò il referendum alle stravaganze patologiche proprie dell’ America, come la gara per riempire di gente, fino all’ inverosimile, le ca- bine telefoniche; e suggerì che, invece di accumulare pillole al cianuro, l’ uni- versità insegnasse a scavare rifugi antiatomici. Ma era proprio per contrastare posizioni di questo genere che era nata l’ iniziativa. Jason Salzman, ventunen- ne studente di fisica, fra i promotori della consultazione, manifestò alla stam- pa le sue preoccupazioni per la nuova tendenza, rilevabile in molti ambienti, a parlare di come sopravvivere a un conflitto nucleare: «io voglio che la gente associ la guerra atomica con concetti più appropriati, come appunto il suici-
dio», dichiarò al Washington Post1.
La tendenza contestata dallo studente di Providence è esatta mente quel «sur- vivalismo» di cui ha parlato di recente Furio Co lombo: «Signifi ca: io provvedo al cibo e alle armi, al rifugio e alla difesa. Ma nessuno venga a chiedermi di provve- dere per altri. Ciascuno garantisce per sé. Il survivalismo scambia il quadro av- venturoso del futuro con l’ attesa di Armaggeddon o dell’ apocalis se, confonde un nuovo tipo di problemi con una minaccia. Chi lo professa si riduce ad accumulare le risorse della difesa e in que sto gesto di accumulo commette due errori. Il primo è di pattu gliare sempre lo stesso terreno, timoroso di ogni sortita verso l’ i gnoto. Il secondo è di credere che il pericolo del futuro sarà ugua le al pericolo del passato; perciò ammassa difese contro ciò che non conosce, e non sa di aspettare un peri- colo ignoto e imprevisto»2.
Ma il protagonismo survivalista, la strategia comportamentale che propone (in alternativa a quell’ indiff erenza rassegnata che vor rebbe contraddire ma di cui è solo un’ immagine speculare), è sem plicemente una manifestazione appariscente di quella condizione globale di degrado esistenziale che Moravia ha lucidamente descrit to attraverso la metafora del prigioniero in attesa dell’ esecuzione, che non può fare a meno di pensare alla morte, di rappresentarsela e di viverla nell’ an- goscia e nella disperazione. «Che vuol dire que sto? Vuol dire che il vero disastro della guerra nucleare non è l’ ar ma atomica con la sua terribilità e la sua crudeltà, ma l’ attesa della guerra stessa e gli eff etti di quest’ attesa sull’ umanità»3. A che
serve fare una qualsiasi cosa, si chiede l’ uomo contemporaneo, se non c’ è un futu- ro, se non c’ è una prospettiva d’ avvenire? Se condo Moravia esiste il pericolo reale
1 Cfr. “Usa, studenti chiedono veleno per il day aft er” in la Repubblica, 14 otto bre 1984. 2 Cfr. Colombo, F. Cosa farò da grande, Milano, Mondadori, 1986, p. 253.
Atomic Life. La mentalità e le scelte dell’ era atomica Capitolo 2
93
che questo stato d’ animo individuale possa divenire una vera e propria visione del mondo, la fi losofi a disperata e inerte dell’ umanità condannata a morte.
Lo scrittore ritiene che di questa cultura vi siano già oggi «indizi vistosi ed eloquenti: disaff ezione per tutte quelle ideologie utopi stiche che comportano fi - ducia e speranza nell’ avvenire, come per esempio il socialismo reale e no, e sotto quest’ aspetto sarebbe l’ U nione Sovietica, come superpotenza nucleare, a esse- re la più col pita. Abbandono di ogni volontà di competizione, di ogni spinta al miglioramento individuale, ed è chiaro che in questo caso l’ altra superpotenza atomica, gli Stati Uniti, sarebbe a sua volta degrada ta. Infi ne, in tutti i paesi del- la Terra, l’ emergenza della criminalità singola e/o organizzata, e quella fuga da ogni responsabilità che più propriamente dovrebbe essere chiamata edonismo di massa»4.
Secondo Moravia, insomma, la grande macchina della civiltà potrebbe bloc- carsi, prima ancora che a causa delle bombe, in virtù della sola esistenza del siste- ma nucleare. Ed è su tale convinzione che egli basa il suo atteggiamento di radicale disarmismo: l’ arma nucleare non può essere oggetto di compromessi, mediazioni e trat tative politiche. «Essa va eliminata totalmente e senza condizioni». Proprio a questo proposito lo scrittore ha richiamato a più riprese la sua convinzione relati- va alla necessità di attivare nell’ era atomica una radicale trasformazione nel modo di pensare e di essere, indi viduale e collettivo, mediante l’ insorgenza nella specie
umana di un “tabù” dell’ atomica5. simile a quel divieto dell’ incesto che per mise
all’ umanità, secondo l’ antropologia strutturalista, di scongiu rare la sua estinzio- ne in era preistorica a causa di confl itti6.
4 Ibidem.
5 Cfr. Moravia, A. in l’ Espresso, 28 agosto 1983, p. 55.
6 La spiegazione ultima del divieto dell’ incesto, presente in varie forme pratica mente in tutte le culture, risiede, secondo Levi-Strauss, nel fatto che «l’ umanità si rese conto molto presto che, per potersi liberare da una selvaggia lotta per l’ esi stenza, doveva scegliere molto semplicemente fra lo sposarsi fuori o l’ essere ucciso fuori. L’ alternativa era tra famiglie biologiche viventi a contatto e tendenti a rima nere unità chiuse e autoperpetuantisi, sopraff atte da timori, odi e ignoranze, e la sistematica instaurazione, attraverso la proibizione dell’ incesto, di vincoli inter-matrimoniali fra loro, riuscendo così a costruire, oltre agli artifi ciali legami di pa rentela, una vera società umana, nonostante l’ infl uenza isolante della consanguinei tà, e persino in contrasto con essa» (cfr. Levi- Strauss, C. Razza e storia e altri studi di antropologia, Torino, Einaudi, 1977, p. 168). È proprio il divieto di ince sto, quindi, quale fondamentale traguardo dialettica nella relazione natura-cultura, che permette alla specie di superare la soglia dei piccoli gruppi di consanguinei ripiegati su se stessi e avviare l’ edifi cazione di un assetto sociale stabile e duraturo. All’ interno di questa dinamica culturale, le donne (esattamente come il linguaggio) funzionano come oggetti di scambio reciproco tra gli uomini. La proibizione del l’ incesto, infatti, non è tanto una regola «che vieta di sposare la madre, la sorella o la fi glia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella o
Capitolo 2 Il Medium nucleare
Questo obiettivo, purtroppo, sembra ancora lontano; mentre la situazione atomica, in tutti i suoi aspetti, prosegue il suo lavorio sui comportamenti, le scel- te culturali, l’ intera esistenza contempo ranea, e il timore nucleare è ormai una costante della psicologia collettiva. Come ha scritto Eugenio Scalfari a proposito della cata strofe di Chernobyl: «Quel timore può essere attutito, può diveni re sol- tanto latente e non immediato; ma, al primo insorgere di un caso, esso riprende vigore e agita l’ animo di moltitudini di persone. Di fronte alla paura della morte nucleare ogni altra in quietudine passa in secondo piano e fatti e problemi che ci sem bravano fi no a un istante prima di enorme portata impallidiscono e quasi si
dileguano dal nostro schermo di paure collettive»7.