Ma l’ atteggiamento culturale rispetto al quale l’ analisi di Lasch si trova in posi- zione perfettamente antitetica è quello di cui André Glucksmann sembra essere, in Europa, l’ alfi ere più accanito. Se condo lo studioso francese, infatti, l’ analisi da cui parte il movi mento pacifi sta nel vecchio continente è il segno più eloquente di una tentazione nichilista e suicida da parte di uomini e organiz zazioni disposti fondamentalmente ad asservirsi all’ universo con centrazionario che l’ Urss pre- para per il pianeta. Per Glucksmann non esiste una diff erenza sostanziale fra la guerra nucleare e la propensione naturale al confl itto violento che la specie uma- na ha mostrato fi n dalle sue origini. Secondo il fi losofo, non vi è alcun problema inedito posto dalla possibilità apocalittica della situazione atomica, ma esiste sol- tanto una contrapposizione fra l’ universo societario del pluralismo e della libertà e quello del gulag e del totalitarismo; e poiché ritiene che non è possibile nutrire alcuna fi ducia in una possibilità disarmista di tipo cooperativo, il fi losofo non fa fatica a concludere che l’ Europa e il mondo devono rasse gnarsi a “vivere vertigi- nosamente” sull’ orlo del baratro, con l’ intel ligenza di chi sa dominare l’ angoscia e
69 Ibidem. 70 Ivi, p. 54.
71 Cfr. ivi, pp. 37, 38, 39. 72 Lasch, C. op. cit., p. 54.
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non pretende di estirparla dalla vita. Sulla scorta di questa premessa, Glucksmann svolge una violenta e generale requisitoria contro la viltà pacifi sta e l’ ideologia del disarmo, colpevoli di non comprendere che soltanto un atteg giamento dell’ Occi- dente ispirato a criteri rigidamente dissuasivi può scongiurare la possibilità che il cancro comunista “diff onda libera mente le sue metastasi”.
Ma l’ eroismo romantico e a tratti infantile di Glucksmann raggiun ge il suo api- ce nella polemica che rivolge verso l’ episcopato america no, in relazione al famoso documento sottoscritto dagli ecclesiastici sui pericoli della situazione atomica. La minaccia liberticida che viene dal mondo del “socialismo reale”, gli SS 20, la repres- sione del dissen so, gli ospedali psichiatrici per gli oppositori costituiscono, secondo Glucksmann, la prova della radicale ingenuità del movimento anti nucleare;
Una volta presi in considerazione reticolati e psicofarmaci, tutta la bella costruzione antinucleare crolla. Non che le armi di di struzione massiccia non siano un pericolo; ma questo pericolo non è più l’ unico. Reverendi vescovi, l’ uomo non vive di sola vita. Trova delle ragioni di vivere. Le difende. Esse divengono per lui delle ragio ni di morire. E poiché si inventa vari motivi per esistere, Monteverdi, un fi glio, un amore, una chiesa, […] fi nisce con l’ annoverare una plu ralità di ragioni per sacrifi care la propria vita. Non sopporta di vedere l’ essere amato annientato dall’ atomica. Ma non ammette neppure che serva da stuzzichino a dei Kapò onnipotenti che lo abbatteranno do po l’ uso73.
Il manicheismo rozzo di Glucksmann lo conduce, spero invo lontariamente, a confondere due problemi. Il primo inerisce alla necessità di contrastare con tutte le forze (e questo deve essere senza dubbio il compito di un movimento pacifi sta autentico, che sia quindi anche democratico e libertario) tutte le forme di totali- tarismo, illiberalità e discriminazione, a qualunque titolo vengano esercitate e do- vunque esse si manifestino: dall’ Est europeo all’ e stremo Oriente, fi no all’ Africa o all’ America latina. L’ altro, relati vo invece alla necessità di garantire, contrastando la possibilità e i presupposti di una guerra atomica, il diritto alla vita per masse sterminate di uomini e all’ estremo per l’ intera specie umana, che è la precondizione essenziale alla possibilità dello sviluppo di mo delli di socialità sempre più elevati. Ma al fi losofo francese questa distinzione – che è per alcuni versi addirittura bana- le – sfugge completamente. Egli continua a ragionare, intorno al futuro dei popoli e della specie umana, con gli stessi parametri che si applica no in rapporto all’ esi-
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stenza individuale: «Signori miei, il prezzo della vita è a volte la morte. Non è una verità nuova. Voi avete i vostri martiri, io i miei. Non c’ è nulla di meno realistico del giurare che un uomo sarebbe disposto a salvare la pelle in qualsiasi circostanza, anche passando sopra i propri amori. Allora, perché la vostra umanità dovrebbe
farlo?»74. Ed ecco così trasformata l’ u manità in un «soggetto», semplicemente un
po’ più esteso e fram mentato, ma che continua a ragionare come potrebbe farlo una singola esistenza individuale.
Ma Glucksmann non si ferma qui, anzi complica ancora di più le cose: «L’ uma- nità non è per me un grande Noi che esita, delibe ra, sceglie il suo bene e il suo male per poi agire, titubare, vincere o uccidere, o addirittura uccidersi. Questo grande soggetto unitario è cosa vostra. Io vedo solo popoli, nazioni, Stati, colletti- vità diver se, le cui ragioni di vivere o di uccidere si esauriscono raramen te»75. Ma
qui si rivela forse, almeno in parte, la contraddizione insita nel discorso dello stu- dioso francese: se alla specie umana possono venire applicati, come Glucksmann fa con il massimo del la disinvoltura, i criteri etici ed “eroici” che possono ispirare l’ at teggiamento soggettivo e se, contemporaneamente, si esclude an che la possi- bilità di immaginare l’ umanità come un grande Noi, probabilmente non si può che concludere che l’ idea di Glucksmann a proposito dell’ umanità è esattamente quella di un grande Io, abilitato a decidere del destino di ognuno. Se così fosse, ci trove remmo di fronte a un atteggiamento che, mentre sembra agitare l’ esigenza di difendersi a oltranza, fi no all’ estremo limite, dalla possibile prevalenza di una di- mensione illiberale e repressiva, con temporaneamente aff erma proprio un’ altra, non meno terribile, for ma di totalitarismo. La frase con cui Glucksmann conclude il suo libro può essere interpretata, credo, esattamente in questo senso:
Abbiamo il diritto di prendere in ostaggio mogli, fi gli e fi gli dei fi gli sull’ intero pianeta? Possiamo minacciare le popolazioni civili, noi compresi, di apocalisse? Una civiltà rimane tale, quando ri schia consapevolmente la sua estinzione per sopravvivere? È questa la più fi losofi ca, la più seria, la più comune domanda che la bana le attualità formula, La risposta – non spiaccia alle coscienze trop po tranquille – è sì76.
La visione di Lasch, a questo proposito, è agli antipodi delle posizioni espresse da Glucksmann. Lo studioso americano, infatti, ritiene che ogni contestazione
74 Ibidem. 75 Ibidem. 76 Ivi, p. 261.
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alla mentalità della sopravvivenza è pienamente legittima, ma solo se espressa partendo da presupposti teorici e contenuti culturali coerentemente pacifi sti:
Le critiche alla mentalità della sopravvivenza negli anni Ottanta hanno diritto morale alla nostra attenzione solo se si identifi cano con il movi mento per il disarmo nucleare e per la conservazione dell’ ambien te. Altrimenti la difesa di una moralità che si pretende più elevata (onore nazionale, libertà politica, disponibilità ad assumere rischi e sacrifi carsi per una giusta causa) fi nisce di solito per rivelarsi, a un esame più attento, un’ altra variante della morale della so pravvivenza che sembra condannare. Coloro che motivano il rifi uto a escludere il ricorso alle armi nucleari con il fatto che un attacco sovietico all’ Europa occidentale non potrebbe essere respinto senza di esse hanno dovuto sostenere che gli Stati Uniti potrebbero com battere una guerra nucleare e vincerla realmente77.
È del tutto inaccettabile, insomma, che si riservi una condanna speciale al mo vimento per la pace in virtù del fatto che esprime al suo interno una mentalità della sopravvivenza.
Lasch ritiene che questo genere di critiche
ignorano delle espres sioni ben più sorprendenti dell’ etica della sopravvivenza. Deplora no la comprensibile ripugnanza dell’ uomo comune a morire per una causa che non ha signifi cato, solo per off rire la possibilità a individui superiori, quelli che hanno la lungimiranza di prepararsi al peggio e la fi bra morale per prevalere, di fare andare avanti il mondo dopo l’ apocalisse e persino di ricostruirvelo su nuove ba si, Oggi l’ etica della sopravvivenza si mostra nella sua forma più pienamente sviluppata non nei movimenti per la pace, ma nei preparativi fatti da coloro che si vantano della propria capacità di pensare all’ imprevedibile; preparativi che vanno da ricerche ad alto livello di un sistema di difesa impenetrabile78, che renderebbe pos sibile
77 Lasch, C. op. cit., p. 54.
78 A proposito di quelle iniziative per la difesa strategica (Sdi) che vanno sotto la comune dizione di “guerre stellari”, e a cui è evidente il riferimento di Lasch, Willy Brandt, dirigente socialdemocratico tedesco, ha scritto: «Nella logi ca nucleare, assicurare la difesa del proprio territorio equivale a comportarsi da aggressori potenziali, poiché signifi ca voler sfuggire alla certezza delle rappresaglie dell’ aggredito e acquisire così la possibilità di attaccare per primo i depositi e altri obiettivi avversari in tutta impunità» (cfr. Brandt, W. “Disarmo, sviluppo, sicurez za” in Avanti!, 30 giugno 1985). Si tratta di una considerazione tanto ovvia, che persino Richard Nixon l’ ha fatta sua quando ha sostenuto che «questi sistemi sarebbero destabilizzanti se fornissero uno scudo in modo da permettere di usare la spada» (citato da Gambino, A. op. cit., p. 275). Secondo Antonio Gambino la prospettiva di
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agli Stati Uniti di lanciare un attacco nucleare senza paure di rappresaglie, alla costruzione di rifugi privati, ben equipaggiati con fucili tedeschi ad aria compressa, balestre, abiti a prova di radiazioni, serbatoi per acqua e benzina, cibi liofi lizzati e pezzi di ricambio per automobili, con cui qualche individuo spera dis sennatamente di poter andare avanti mentre la civiltà gli crolla intorno79.
Lasch porta il suo ragionamento alle estreme conseguenze logiche senza trascu- rare nessuna implicazione; la sua analisi è un esempio di rara lucidità intellettuale.
A Charles Krauthammer, che accusa pacifi sti ed ecologisti di essere profeti di sventure incapaci di considerare l’ elasticità della natura uma na e la sua ca- pacità di adattamento, Lasch obietta che «la visione apo calittica si mostra nella sua forma più pura non nell’ opinione secondo cui la corsa agli armamenti e uno sviluppo tecnologico sfrenato posso no portare alla fi ne del mondo, ma in quella per cui un pugno di sal vatori sopravvivrà alla fi ne del mondo e ne ricostruirà uno migliore»80.