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Nel suo ultimo libro, Le strategie fatali, Jean Baudrillard adatta le sue considerazioni relative alla consuetudine vigente in ambito terrorista della «presa d’ ostaggi»17, alla

strategia nucleare moderna. Secondo il sociologo francese le popolazioni servono da ostaggi agli stati maggiori, la loro morte funziona da argomento di dissuasio ne.

Siamo tutti degli ostaggi. […] Ostaggi obiettivi: rispondiamo collettivamente di qualcosa, ma di che cosa? Una sorta di predesti nazione truccata, di cui non siamo nemmeno più in grado di indi viduare chi l’ ha manomessa, ma noi sappiamo che la bilancia della nostra morte non è più nelle nostre mani e che siamo in uno stato di suspense e d’ emergenza permanente, del quale il nucleare è il simbolo. Ostaggi oggettivi di una divinità terrifi cante, non sappiamo nemmeno da quale evento, da quale accidente dipende rà la manipolazione defi nitiva18.

16 Cfr. Th ompson, E.P. Opzione Zero, Torino, Einaudi, 1983, pp. 46-90.

17 Cfr. Baudrillard, J. Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 53. 18 Baudrillard, J. Le strategie fatali, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 32.

Capitolo 1 Il Medium nucleare

Il pensiero di Baudrillard sul rapporto fra l’ esistenza collettiva e il sistema nucleare si specifi ca nel signifi cato che attribuisce all’ e quilibrio del terrore: «il mondo è reso collettivamente responsabile dell’ ordine che vi regna – se qualcosa

dovesse infrangere questo ordine, il mondo dovrebbe essere distrutto»19. E qui

scatta una suggestiva e forse non del tutto casuale analogia, almeno sul piano degli oggetti di riferimento, con il nostro iniziale ragionamento: «E donde può

essere più effi cacemente distrutto il mondo, si chie de Baudrillard, se non da quei

luoghi fuori del mondo che sono i satelliti e le bombe in orbita? È da lì, da quel luo- go che non è defi nitivamente più un territorio, che tutti i territori sono ideal mente neutralizzati e tenuti in ostaggio. Siamo diventati satelliti dei nostri satelliti»20.

Il fascino letterario posseduto dal linguaggio del sociologo fran cese, la sua consueta capacità di “seduzione” non devono trarci in inganno sulla forza dell’ ar- gomentazione, sulla sostanziale verità della sua denuncia e sull’ importanza del monito deducibile. Essere divenuti satelliti dei nostri satelliti vuol dire esattamen- te che le possibilità di futuro della nostra specie dipendono da una realtà “esterna” al nostro territorio, la cui genesi si è però prodotta “internamente” a esso.

19 Ivi, p. 34.

20 Ivi, pp.34-35. Bisogna dire che la rifl essione di Baudrillard su questi temi non si presenta nell’ arco complessivo della sua produzione in termini univoci. Le consi derazioni che abbiamo richiamato qui si relazionano con diffi coltà a quelle espresse sulla stessa tematica in altri lavori, dove si ha la netta sensazione che lo studioso si lasci prendere, per così dire, la mano dalla «processione dei simulacri» (cfr. Baudrillard, J. Simulacri e impostura, Bologna, Cappelli, 1980, pp. 7-15), giungendo ad aff ermare il carattere puramente simulativo della situazione atomica, di cui sa rebbe prova la «coesistenza pacifi ca». Ora, che vi sia un’ elevatissima caratterizza zione in senso simbolico della realtà nucleare è fuor di dubbio; ma che questo dato sia la sua caratterizzazione esclusiva è probabilmente un azzardo. Ciò che va messo in discussione non è aff atto il concetto, sostenuto da Baudrillard, della dimensione globale di dominio espressa dall’ equilibrio del terrore. Anzi, sotto que- sto aspetto, le sue rifl essioni sono illuminanti. Ciò che appare per molti versi, invece, come riduttivo – dal punto di vista della comprensione globale del feno meno atomico – è la sua lettura in chiave semplicemente simulativa, «di gioco». Un’ impostazione che sembra rimanere sullo sfondo anche in un’ altra rifl essione sullo stesso tema; in cui, mentre si conferma la sua posizione sul rapporto situazione atomica-dominio planetario, si aff erma contemporaneamente e in termini perentori che proprio questa è la ragione per cui la catastrofe «non avrà luogo» (Le strategie fatali, cit., p. 165). Quel che sembra sfuggire a Baudrillard è la caratteristica pro cessuale e immanente della catastrofe; ovvero il fatto che la semplice esistenza di un tale dispositivo costituisce globalmente un fattore di attivazione della dinamica catastrofi ca. Aff ermare che la catastrofe non avrà luogo semplicemente perché non siamo ancora giunti alla «soluzione fi nale» vuol dire sottovalutare enormemente il signifi cato che riveste la possibilità di nullifi cazione che ci sovrasta. In realtà una catastrofe, sul piano della cultura, dei comportamenti individuali e collettivi, del senso, si è già prodotta. L’ indagine sulle caratteristiche immanenti della real tà catastrofi ca espressa dalla situazione atomica è esattamente lo scopo di questa ricerca. È superfl uo aggiungere che la comprensione di tali dinamiche è deci siva ai fi ni di una possibile inversione di tendenza, che scongiuri lo show-down conclusivo.

La catastrofe culturale. Teoria e saperi dopo Hiroshima Capitolo 1

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Uno dei problemi di maggior rilievo che la situazione atomica pone sul piano teorico e culturale è proprio relativo al fatto che il potenziale di nullifi cazione,

l’ onnipotenza raggiunta dal sistema nucleare – dato che legittima l’ attribuzione di divinità di cui vie ne gratifi cato – è esattamente una variabile dipendente dell’ azio-

ne cosciente di individui «mortali», il risultato forse più elevato sul piano scien- tifi co e tecnologico mai raggiunto dal lavoro uma no. Ciò che si off re alla nostra rifl essione è un moderno paradosso in cui, partendo da una realtà fi sica tangibile, si giunge al sovru mano, ossia a una situazione limite sul piano teorico, nella quale dall’ operare concreto, materiale, produttivo, scaturisce una forma di terribile tra- scendenza. Eppure è proprio un paradosso di questo genere quello immaginato, già nel 1920, da Karel Čapek.

In quell’ anno l’ autore ceco, famoso per aver coniato il termine “robot”, dava alle stampe La fabbrica dell’ assoluto21. Vi si narra la fantastica vicenda di un uomo

che inventa una straordinaria mac china in grado di risolvere tutti i problemi ener- getici. Inutile ag giungere che la macchina impiega una procedura che ci è oggi molto familiare, «lo stesso che dire sfruttare l’ energia atomica, op pure bruciare la materia». L’ invenzione ha però un solo “difetto”: fabbrica Dio.

Anche la “macchina tecnologica” che sovrasta oggi la specie sem bra aver fab- bricato Dio, mentre, più probabilmente, ha semplice mente umanizzato la sua on- nipotenza in senso distruttivo. Forse è per questo che Borges, rifl ettendo intorno a quel «crepuscolo degli uomini» che minaccia la nostra epoca, ci ha invitato a

vivere come se fossimo tutti immortali22, guardando al futuro e lavoran do per

organizzarlo. Si tratta di agire dentro il presente per abolire le minacce che vi in- combono, e così costruire un avvenire migliore. Ma senza nostalgia per il passato. Forse anche noi, come l’ Angelo di Benjamin, vorremmo trattenerci, magari solo un attimo, ancora a contemplarlo. Ma la tempesta spira troppo forte e l’ angelo della storia non può chiudere le sue ali. «Questa tempesta lo spinge irresistibil- mente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo progres so, è questa tempesta»23.

21 Čapek, K. La fabbrica dell’ assoluto, Roma, Th eoria, 1984.

22 Borges, J.L. “Dobbiamo agire come se fossimo immortali” in Corriere della Sera, 19 settembre 1984.

Capitolo 1 Il Medium nucleare