In un breve saggio pubblicato nel 1981, Alberto Boatto indicava nello «spaesa- mento ecumenico»1 il tratto peculiare della condizione di esistenza dell’ uomo
contemporaneo. La tesi, suggestiva e in quietante al tempo stesso, dello studioso traeva spunto dall’ avve nuta collocazione di un occhio meccanico esterno al no- stro piane ta, quello dei numerosi satelliti in orbita permanente intorno alla Terra2.
Dal giorno, cioè, in cui l’ uomo ha iniziato la sua conquista dello spazio, «esiste un punto di vista tecnologico-militare che scruta il pianeta con un’ aria di distacco, quasi di diffi denza nei suoi con fronti»3.
Questa immagine della Terra vista dall’ esterno è divenuta fami liare, dai sa- telliti essa è giunta ai terminali televisivi collocati fra le mura domestiche di ogni parte del mondo. È così che anche la Terra, come il bambino della psicoanalisi, è entrata nello “stadio dello specchio”; ovvero, anche per il nostro pianeta il ver- bo vedere si sta coniugando nella forma rifl essiva. Non solo vedere, bensì anche vedersi. Metaforicamente. Ma si tratta di una metafora gra vida di potenzialità. Proviamo a seguire ancora, e magari sviluppa re, il ragionamento di Boatto.
L’ immagine di questa sfera azzurrognola a chiazze sui nostri schermi televi- sivi induce lo stato di «spaesamento», poiché la Terra «che è il qui, che sta sotto le nostre scarpe, si è ora spostata, spiaz zata; è diventata il là»4. Un territorio, lo
1 Cfr. Boatto, A. Lo sguardo da fuori, Bologna, Cappelli, 1981, pp. 10-11, 20.
2 A poco meno di trent’ anni dal lancio del primo Sputnik, vi sono oggi in orbita attorno alla Terra ben 3.500 satelliti. Di questi solo 1.075 sono però destinati a uso civile e pacifi co; tutti gli altri vengono controllati dai militari. Cfr. Ros sella, C. “Il grande aff are dello spazio” in Il Mondo, allegato al n. 995 di Panora ma, maggio 1985.
3 Boatto, A. op. cit., p. 7.
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spazio del nostro quoti diano, per la prima volta ci sorprende, giungendoci dal di fuori. Ma vi è di più; mentre il qui resta uno spazio materiale e frammentario, uno spezzone assai limitato del terrestre, il là esibisce connotati del tutto opposti: è uno spazio potenzialmente esausti vo, unitario. Quella che viviamo, dall’ interno, è una parzialità; quella che ci giunge dall’ esterno è una totalità.
Torneremo sulla portata simbolica di questo processo; prelimi narmente, è necessario rifl ettere sul signifi cato di quella “ecumeni cità” che Boatto attribui- sce allo stato di spaesamento. Oecumene, “(terra) abitata”, era, nella lingua latina, quella parte della Terra dove l’ uomo trova condizioni ambientali che gli permet- tono di fi ssare permanentemente la sua dimora e di svolgere normalmente le sue attività. Il concetto risale all’ antichità classica, quando alla porzione conosciuta di terre abitate erano contrapposti oceani e regioni deserte. Oggigiorno, eviden- temente, il concetto di oecume ne ha perso quel suo signifi cato ristretto per esten- dersi pressoché a tutta la superfi cie terrestre, poiché l’ uomo, alterando profonda- mente l’ ambiente naturale originario, è riuscito a creare condizioni di vita anche là dove teoricamente queste non sarebbero realizzabili.
È per questa via che l’ idea di ecumenicità ha fi nito con colli mare, o addirittu- ra coincidere, col concetto di universalità. Ciò no nostante, credo che se traduces- simo “spaesamento ecumenico” con “spaesamento universale” renderemmo un cattivo servizio all’ auto re. Penso invece che una globale e articolata compren- sione del con cetto richieda proprio l’ assunzione di tutta la sua portata evocati va, signifi cante. In questo senso, non è assolutamente sottovalutabile il signifi cato e la valenza religiosa del termine “ecumenismo”, che anche nell’ uso corrente desi- gna proprio un’ universalità tesa al superamento delle divisioni fra le confessioni cristiane e al recupe ro dei comuni valori di fede, in coerenza con l’ impostazione po stconciliare della Chiesa cattolica5.
Infatti, lo spaesamento di cui è preda la soggettività in era postmoderna è intimamente collegato, indissolubilmente connesso, a quella crisi generale di va- lori tanto cara alla pubblicistica con temporanea. Ma questa crisi, più che deri- vare soggettivisticamente dall’ insorgenza di nuovi individualismi, ripiegamenti narcisistici, edonismo, rifl usso, è il logico portato di un’ evidente inadegua tezza dei referenti “classici” di fronte alla “sostanza” delle trasfor mazioni attuali, degli sconvolgimenti in atto sul piano tecnologico, sociale, culturale.
5 Cfr. Scuderi, G. “Il concilio e i cristiani evangelici in Italia” in Quaderni di azione sociale, n. 25, 1983, p. 77. Cfr. anche, nello stesso fascicolo, Martini, C.M. “Il concilio un segno di speranza e di contraddizione”.
La catastrofe culturale. Teoria e saperi dopo Hiroshima Capitolo 1
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L’ apparizione del pianeta nella sua “totalità” sui nostri tele schermi non è sol- tanto il segnale del grado di sviluppo raggiunto dalla tecnologia attuale; questa immagine della Terra vista dall’ e sterno è anche un importante dispositivo di “crisi” per l’ immagina rio contemporaneo. “Lo sguardo da fuori” è, palesemente, il cam po visuale sovra-umano, la prospettiva divina, fi nalmente conquistata da- gli uomini. Per millenni la profondità del nostro campo visivo si è arretrata alla curva dell’ orizzonte; ancora pochi anni fa l’ idea dello sguardo sul mondo nella sua “totalità” era esattamente una proiezione metafi sica, una possibilità dislocata esclusivamente in contesto extraumano, una prerogativa coerentemente attribu- ita a Dio. Lo sguardo “celeste” sulla Terra – facoltà divina proprio perché negata agli uomini – era fi no a ieri una “certezza”, tale nella pur intricata trama del no- stro immaginario; essa si è dilegua ta quando i nostri teleschermi hanno mostrato l’ immagine della “totalità”, almeno quella di cui siamo immediatamente parte.
L’ immagine del pianeta, scomposta e ricostruita, alla maniera divisionista di un Seurat, in un reticolo puntiforme elettronico, da inconoscibile è apparsa bana- le. La televisione, «osservatorio for midabile» capace, come l’ Aleph di Borges, di essere «un punto dello spazio che contiene ogni punto», fi nanche la posizione di
chi osserva6, ci ha fi nalmente mostrato l’ immagine della nostra totalità, ed essa
abbastanza rapidamente è divenuta scontata, oleo grafi ca, si è rivelata Kitsch. Era un processo prevedibile; introdotta nel mondo della rappre sentazione
spettacolare, affi data ai meccanismi della circolazione se miotica, anche la “tota-
lità” ha dovuto soggiacere alle leggi implaca bili che governano il mercato degli oggetti e dei segni. L’ immagine dall’ esterno del nostro pianeta ha esercitato fasci- no, ha conquistato larga diff usione; infi ne, preda di un naturale avvicendamento, è stata dimenticata; per essere affi data, in attesa dell’ immancabile re vival, alla museifi cazione scientifi ca o semplicemente al cattivo gu sto. Ma, come ogni im- magine “alla moda”, anch’ essa era destinata a lasciare, all’ esaurirsi del ciclo, le sue tracce. Lo spaesamento, la crisi, sono esattamente le impronte, il portato residuale, che lo sguar do da fuori ha lasciato sulla soggettività postmoderna7.
6 Di particolare signifi cato, a questo proposito, è quel che scrive Alberto Abruzzese (“Il letterato nell’ era tecnologica” in Letteratura italiana, vol. II, Produzione e consu mo, Torino, Einaudi, 1983, p. 465): «I dispositivi televisivi realizzano la coincidenza tendenziale fra movimento e immobilità, tra grande distanza fi sica ed enorme pre senza corporale: l’ evento non si scompone più in luogo della sua azione e luogo della sua comunicazione (la poderosa forbice tra rappresentazione e consumo attiva ta dalle tecniche della riproducibilità tecnica), ma si scompone di una localizzazione emotiva in uno stesso punto, dove si concentrano territori e corpi fi sicamente, spazialmente e temporalmente distanti».
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