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4.1. Valutare il merito

4.1.1. Che cos'è il merito?

Per comprendere come i ricercatori precari si relazionano ai temi della valutazione, è importante ripartire da come questi definiscono il concetto di merito. Nonostante all'interno della traccia di intervista fossero state inserite preventivamente alcune domande che avevano l'obbiettivo di interrogare i soggetti proprio su queste tematiche, la rilevanza della questione della valutazione in relazione alle differenti dimensioni su cui si struttura oggi il lavoro di ricerca è emersa in termini differenziati e complessi, come elemento che accompagna e sostanzia l'intera esperienza professionale all'interno dell'università neoliberale. Da questo punto di vista, infatti, se una domanda specifica chiedeva cosa pensassero i soggetti rispetto al merito, questi aspetti hanno innervato le narrazioni dei ricercatori precari intervistati nella loro interezza. Comparando le interviste, il concetto di merito presenta sfumature e accezioni molteplici, le quali da un lato mettono a critica i criteri attraverso cui i processi valutativi formali lo definiscono, e dall'altro mettono in luce come le dimensioni su cui questo concetto si struttura siano liquide e non definibili a priori. In questo senso, le definizioni generali che i ricercatori interrogati forniscono del merito fanno riferimento a una serie di fattori che esulano dai criteri oggettivati della valutazione anvuriana, legandosi profondamente alla propria esperienza incarnata e agli aspetti che di questa vengono ritenuti maggiormente spendibili per il proprio percorso professionale. Il primo elemento condiviso da un numero rilevante di intervistati riguarda la dimensione dell'impegno e della dedizione, considerata da molti come elemento sufficiente per stabilire se un soggetto possa o non possa essere considerato meritevole.

"Io mi sento di essermi impegnata tanto. Posso migliorare ancora di più, non pubblicherò mai in Nature sicuramente o nelle riviste top, non ho questa neanche l'ambizione, cioè non penso di rappresentare la nicchia dei super ricercatori. Io penso però di dare il mio valore aggiunto. Cioè penso che mi sono impegnata sempre tanto, non solo nella ricerca, ma anche per partecipare al dibattito accademico. Non ho lavorato con persone che mi hanno formato a fare certi tipi di esperienze internazionali e me le sono cercate da sola. Perché diciamo la vecchia guardia non ha manco il dottorato, quindi sinceramente nella mia formazione ero molto sola. Quindi tutte le mie esperienze me le sono cercate. Mi son cercata le scuole estive, mi sono cercata i contatti internazionali da sola. Nessuno mi ha presentato nessuno, nessuno mi ha presentato nessuno. Quindi è stato molto più faticoso perché non ero in un gruppo di ricerca forte, in un gruppo di ricerca avviato." (Intervista a CARLA)

167 "Che cosa rappresenta il merito? Alla domanda che cosa rappresenta il merito non so risponderti. Nel senso che secondo me è una parola, per lo meno come è stata declinata, è una parola abbastanza vuota. Ti posso rispondere chi è invece secondo me è una persona meritevole. Secondo me una persona meritevole è meritevole poi di che cosa? Di avere un contratto definitivo? Non lo so. Meritevole in generale? É una persona che si impegna nelle cose che fa. Si. Questa è la mia definizione di una persona meritevole. Indipendentemente dal numero delle pubblicazioni, anche se in questo momento sul merito parliamo solo del numero delle pubblicazioni e meno della qualità delle pubblicazioni. Quindi indipendentemente dal numero delle pubblicazioni. Una persona che si impegna in quello che fa. Mh, si." (Intervista a GIOVANNA)

Dagli stralci di intervista riportati è possibile sviluppare ulteriori riflessioni rispetto a questa specifica concezione del merito. Se in entrambe le testimonianze la critica ai criteri formali della valutazione appare esplicita, le definizioni di merito proposte da queste due ricercatrici sembrano fare riferimento a quella di “imprenditore di sé stesso” emersa nel corso di ciò che alcuni studiosi definiscono come una più generale trasformazione antropogenetica dell'umano (Consigliere 2014; Chicchi, Simone 2017). É infatti vero che se da un lato nelle parole delle intervistate questa idea di merito esula dai criteri legati alla produttività scientifica, dall'altro l'attenzione rivolta alla propensione che un ricercatore esprime nella relazione con il proprio lavoro sembra rimandare a un ragionamento secondo cui, in ogni caso, è il livello di adesione valoriale che questo rivolge al campo accademico a determinare una sua valutazione positiva. In questo caso, dunque, non è messa in discussione l'idea che un soggetto debba essere valutato in relazione al proprio lavoro, ma sono i criteri formali attraverso cui questa valutazione è sviluppata a non essere in grado di comprendere quanto il soggetto si sia impegnato nel praticare la ricerca. Risulta sufficientemente evidente come il criterio dell'impegno sia difficilmente misurabile se non a partire da una confessione che il soggetto deve consegnare al proprio valutatore (Butler 2006; Foucault 1976). In questa lettura è possibile intravedere come il meccanismo individualizzante della valutazione abbia agito anche in quelle soggettività che mettono a critica questa definizione. Inoltre, come il concetto di merito non definisca la valutazione della produttività scientifica come un valore eticamente rilevante.

Una seconda definizione di merito emersa dalle interviste si riferisce in modo diretto alla capacità del soggetto di comprendere le regole del gioco accademico e saperle sfruttare a proprio vantaggio. Nuovamente, queste regole non si riferiscono ai criteri formali della valutazione ma, differentemente, alla capacità strategica di ogni ricercatore o ricercatrice di utilizzare un linguaggio specifico e di relazionarsi in modo adeguato con i differenti poteri che agiscono all'interno del sistema universitario. Il merito in questo senso assume una definizione che sembra riferirsi più alle capacità adattive del soggetto nel mondo sociale in cui è inserito, a discapito di parametri oggettivamente misurabili come le pubblicazioni o la più generale produttività scientifica.

"Mah, allora, secondo me il merito rappresenta il fatto di avere capito come funziona un determinato mondo e di comportarsi in modo da conoscere il linguaggio e i meccanismi che questo mondo prevede. Quindi rispetto alla mia esperienza personale sicuramente tra virgolette sono stata sfortunata, ammesso

168 che esista la fortuna o cose di questo tipo. Però è anche vero che io tutto sommato ho fatto una serie di cose perché mi andava di farle, perché mi piaceva farle quando in realtà non erano le cose che dovevo fare. O se non altro non dovevo farle in quel momento. E quando, come dire, si sentono quelli che magari adesso sono dentro il sistema dire "no no io sono sempre stato libero", "io ho scritto quello che volevo", secondo me appunto sono balle perché se non stai dentro il sistema, il sistema non ti accoglie. Quindi il merito secondo me, aldilà di tutte le balle che si sentono dire in giro, che ci si racconta eccetera, le riviste di classe A, di classe B, di classe C, cioè il merito secondo me è questa cosa qua. Che è comunque qualcosa che riconosco come importante eh, perché comunque hai imparato come funziona, hai imparato quella lingua e ti esprimi in quella lingua, chapeau. Non dico che sia meglio come sono io, anzi io di certo ho sbagliato da questo punto di vista." (Intervista a VERONICA)

"Cioè il merito significa capire quali sono le regole e cercare di adattarsi il più possibile senza farsi menare. Questo sostanzialmente. Credo che il merito sia questa cosa qua. E altrimenti, come dire, come si fa a valutare il merito? Il merito mi sembra una costruzione molto retorica no? Che cosa significa merito più io o più lui? Dipende da quelli che sono gli indicatori che consideri." (Intervista a IVANA)

Il ragionamento che sottende questa definizione di merito riguarda il fatto che la misurazione delle

performance, anche quando praticata seguendo standard formalizzati, sia un processo sostanzialmente

discrezionale in cui l'elemento determinante non si rintraccia nella capacità del ricercatore o della ricercatrice di rispondere all'imperativo della produttività scientifica ma, differentemente, nella capacità del ricercatore o della ricercatrice di strutturare network e relazioni privilegiate con quei soggetti che mantengono il potere di valutare le sue performance. Come vedremo successivamente, quando all'interno del primo stralcio la ricercatrice sostiene in modo diretto che per entrare nel sistema bisogna necessariamente cedere almeno una parte della propria indipendenza e della propria libertà, si riferisce alle dimensioni feudali che, secondo molti intervistati, persistono anche all'interno delle strutture organizzative istituite per svolgere le procedure di valutazione.

Un'ultima definizione che emerge in modo trasversale in diverse delle interviste somministrate fa riferimento alla condizione di precarietà che i ricercatori esperiscono nel corso della loro esperienza professionale. Questi infatti mettono in luce come sia particolarmente fuori luogo evocare la dimensione della meritocrazia in un contesto in cui il mestiere del ricercatore non solo subisce l'effetto di un mancato riconoscimento sociale da parte dell'opinione pubblica, ma anche una svalutazione monetaria e contrattuale che rende caricaturale l'evocazione di questa dimensione se relazionata alle forme entro cui si struttura oggi il mercato del lavoro accademico.

"Per me il merito rappresenta la possibilità di aver riconosciute delle competenze e che queste competenze corrispondano a una posizione professionale adeguata. Cioè, per me il merito è già riconoscere che io delle competenze, e riconoscere anche che queste competenze hanno un valore di mercato e un valore di slancio in un eventuale percorso. Cioè, voglio dire, comunque per me non può esistere l'idea di merito, per esempio, in un sistema in cui vengo pagata duemila euro per un semestre. Cioè non è un sistema di merito quello. Cioè il merito non è soltanto il riconoscimento scientifico. Quindi la possibilità di pubblicare in un certo giornale eccetera, ma è anche un riconoscimento di professionalità e quindi questo è il merito." (Intervista a ELEONORA)

169 "Cioè, perché se lo assurgiamo a categoria che permette di premiare alcuni e lasciare indietro altri dobbiamo anche capirci su che cosa intendiamo. Perché per esempio se un lavoratore decide di lavorare dieci ore anziché otto per farsi vedere, per rendersi visibile agli occhi del datore di lavoro, forse quello non è merito e non andrebbe neanche incentivato. Però poi dipende chiaramente dagli ambiti. Nell'ambito accademico sicuramente, cioè secondo me non è che l'abilitazione scientifica nazionale sia totalmente da buttare, anzi. Però far coincidere il merito con le mediane non lo so, forse è un po' riduttivo per quanto necessario, ti ripeto. Cioè anche un po' andava disciplinata questa cosa qua eh." (Intervista a SILVIA)

Anche quest'ultima elaborazione, se da un lato critica le condizioni materiali entro cui la retorica del merito agisce, dall'altro non mette in discussione la necessità di valutare le performance prodotte dal ricercatore nel corso della sua esperienza lavorativa. Vi sono, tuttavia, altre definizioni che mettono in discussione la centralità di questo assunto all'interno dei paradigmi governamentali dell'università neoliberale. In questo senso, diversi intervistati e intervistate denunciano come la valutazione, e quindi la meritocrazia, non tenga conto né delle caratteristiche sociali dei soggetti, né delle condizioni materiali differenziali in cui oggi i ricercatori svolgono il loro lavoro.

Dal primo punto di vista, gli elementi che vengono maggiormente evocati sembra si riferiscano in modo diretto alle diverse linee che compongono una soggettività e che vengono utilizzate dalle forme del controllo sociale contemporaneo per creare delle gerarchie sociali utili a riprodurre quei processi che abbiamo definito di inclusione differenziale (Mezzadra, Neilson 2013; Pompili, Amendola 2018). In altre parole, secondo queste intervistate, le condizioni di partenza e la dimensione identitaria del soggetto intervengono nel determinare la possibilità che le proprie performance lavorative siano valutate come eccellenti o come meritevoli. Le dimensioni che maggiormente vengono richiamate a proposito di questa asimmetria di partenza sono legate da un lato al genere e alla razza del soggetto, dall'altro alle condizioni materiali della propria famiglia di origine.

"Cioè, se nella vita quello che fai è decostruire la realtà, come è possibile che tu consideri che ci sia qualcosa che stia sopra a tutto? Sopra la differenza di classe, sopra la differenza di genere. Cioè è l'unico concetto che è monolitico. Cioè che prescinde da dove tu sia cresciuto, da quale educazione tu abbia avuto, da qual è il colore della tua pelle. Mentre su tutto il resto ci sono delle differenze, il merito è tipo un'entità divina che ti viene conferita. Per cui, non lo so per me che cos'è il concetto di merito. Cioè, per me non esiste, è veramente qualcosa che non ha nessuna legittimità di esistere, perché è quanto di più razzista, sessista, classista che possa esistere, in ogni contesto. Perché non si nasce uguali, e per quanto possano cambiare i privilegi e le discriminazioni nel corso della propria vita, non si nasce uguali e non si rimane uguali. E quindi non lo capisco, ammetto che proprio non la capisco questa cosa del merito. Cioè che cosa voglia dire mi è proprio difficile da comprendere. Se non riprodurre delle disuguaglianze che ci sono da sempre, dalla nascita." (Intervista a ELISA)

Dal secondo punto di vista, invece, a essere al centro delle testimonianze degli intervistati sono le differenti condizioni delle scuole o degli atenei a cui ognuno di loro fa riferimento. In questo senso, a essere contestata è la dimensione neutralizzante del concetto di merito che non tiene in considerazione né la qualità delle strutture organizzative in cui i ricercatori svolgono il proprio mestiere, né la rilevanza delle reti sociali in cui questi sono inseriti.

170 "Cioè è più faticoso, a volte ti arrabbi perché dici "Perché? Perché ci devono essere queste differenze così grandi tra due atenei dello stesso paese?". E poi questo ateneo deve essere valutato come eccellente no? Questa università deve stare sopra nelle classifiche. Le condizioni sono diverse, le condizioni territoriali sono diverse e bisognerebbe tener conto di queste cose nelle classifiche, per dire. E a proposito del merito no? Delle eccellenze e quelle robe così. Cioè è molto diverso. Cioè, è proprio diverso. Anche le condizioni materiali sono diverse no?" (Intervista a GIOVANNA)

"Infatti secondo me la meritocrazia dovrebbe essere considerata in relazione alle scuole. Cioè è molto più facile per un ricercatore che è inserito in gruppi di ricerca grossi, con grossi fondi, con ricercatori che hanno un curriculum internazionale, pubblicare, anche come secondo, terzo, quarto nome. Però diciamo fanno solo le rilevazioni o comunque la loro vita è più facile rispetto ai ricercatori che stanno in atenei più piccoli dove il loro settore disciplinare è veramente minimale, che non si possono confrontare costantemente con altri ricercatori. Quindi questo significa che anche questo deve essere considerato in termini di valutazione meritocratica." (Intervista a CARLA)

"Diciamo, i centri accademici meno centrali, soprattutto quelli del SUD Italia, è per lasciare indietro alcuni aree disciplinari, alcuni dipartimenti. Quindi non penso per esempio a tutto il dibattito su scienze della comunicazione, sul fatto che lauree come scienze della comunicazione e tutte le aree umanistiche non servissero a nulla perché c'è questa idea che l'università debba servire a trovare lavoro, cosa a cui io davvero mi oppongo totalmente. E quindi, anche lì, la retorica del merito rimane in realtà un'arma per portare avanti non i più meritevoli ma le persone che hanno più mezzi economici o che provengono da centri accademici più prestigiosi." (Intervista a IVANA)

Le differenti definizioni di merito presentate nel presente paragrafo possono essere suddivise in due macrocategorie che si riferiscono alla legittimità o meno di utilizzare questa misura, retorica ma anche materiale, per valutare il lavoro dei ricercatori universitari. Se le prime testimonianze assumono questa necessità e non la criticano di per sé, le seconde mettono in discussione la legittimità dell’utilizzo del concetto di merito in un contesto in cui le condizioni di partenza e le condizioni materiali creano gerarchizzazioni che incidono profondamente sulle performance del personale accademico. Da questo punto di vista, nel prossimo paragrafo analizzeremo le interviste a partire dalla critica che i soggetti al centro dell'indagine hanno rivolto ai criteri formali con cui i sistemi valutativi agiscono nelle loro funzioni e dalla problematizzazione di come la valutazione abbia inciso nel trasformare le pratiche di ricerca.