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La terza missione dell'università

3.2. La passione per la ricerca e la missione dell'università

3.2.2. La terza missione dell'università

L'idea della terza missione dell'università si sviluppa in tempi recenti e si connette in modo diretto alla relazione strutturale che si è instaurata tra il diffondersi di quella che abbiamo definito come economia della conoscenza e lo sviluppo della forma organizzativa dell'università neoliberale (Susa 2014). Si parla di terza

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missione dell'università per sostenere che le accademie contemporanee devono aggiungere un ulteriore obbiettivo strutturante alle proprie funzioni, a fianco di quelli tradizionali legati alla didattica e alla ricerca scientifica, ovvero l'obbiettivo di entrare in dialogo con la società (Susa 2014). Tuttavia, la definizione di questa mission risulta ambigua e può richiamare attitudini specifiche molto differenti tra loro. Infatti, questa definizione viene applicata sia a "quelle attività di trasferimento tecnologico finalizzate alla valutazione, alla protezione, al marketing e alla commercializzazione di tecnologie sviluppate nell’ambito dei progetti di ricerca condotti dal mondo accademico e, più in generale, alla gestione della proprietà intellettuale in relazione con gli stessi progetti." (Susa 2014), sia a quella che l'Anvur ha definito come "terza missione culturale e sociale", la quale fa riferimento alla "produzione di beni pubblici che aumentano il generale livello di benessere della società, aventi contenuto culturale, sociale, educativo e di sviluppo di consapevolezza civile" (ANVUR 2013).

Per quanto riguarda il contesto della presente ricerca, ovvero il confronto e l'analisi delle narrazioni di ricercatori e ricercatrici che sviluppano la propria conoscenza nel campo delle scienze umane e sociali, sembra sufficientemente intuitivo comprendere il perché la totalità degli intervistati si riferisca alla seconda delle due definizioni proposte. Da questo punto di vista, infatti, il tema della funzione del sapere e della conoscenza è stato uno degli elementi maggiormente evocati in relazione alla passione o all'amore che le persone intervistate rivolgono al proprio mestiere.

Vi sono tuttavia differenti approcci e differenti definizioni assegnati dagli intervistati a questa dimensione. La prima distinzione nasce dal modo in cui ciascun ricercatore precario pensa al ruolo delle università e a come questi concepiscono la relazione tra i saperi prodotti nella società e quelli prodotti dalle istituzioni accademiche. In questo contesto, infatti, alcuni ricercatori riconoscono nell'università un ruolo privilegiato e gerarchicamente superiore rispetto alla produzione di conoscenza che nasce dalla cooperazione sociale e dal

General Intellect. Da questo punto di vista, il fatto di lavorare per un'istituzione ritenuta fondamentale per

trasformare la società genera un senso di orgoglio e di riconoscimento degli sforzi profusi durante il proprio percorso formativo e professionale.

"É che io ... allora, c'ho questo problema. Io credo proprio nell'istituzione universitaria tantissimo. Cioè, io penso che l'istruzione, l'educazione, la ricerca, possono migliorare la società. Cioè, io penso che l'università sia una delle istituzioni più importanti, non so come dire. Quindi mi piace pensare di lavorare, anche se non viene riconosciuto, perché poi c'è tutta invece la retorica del riconoscimento pubblico dell'università e della ricerca, però io invece ci credo tanto, e quindi mi piace pensare di lavorare per un'istituzione così importante. Decisamente, cioè proprio una cosa che mi rende contenta no? Alzarsi la mattina e pensare "che cosa sto facendo? Sto andando a lavorare per un'istituzione super importante". Cioè, io ci credo nell'università tantissimo, nell'università pubblica, aperta, si. In un'istruzione superiore di livello, in un'attività di ricerca che migliori, ecco le condizioni sociali, ecco, questo." (Intervista a GIOVANNA)

Vi sono, tuttavia, altre voci tra quelle degli intervistati che mettono in discussione questa posizione privilegiata che l'istituzione universitaria dovrebbe avere dal punto di vista dei saperi e delle conoscenze. Alcuni associano questa trasformazione del ruolo dell'università all'imporsi dei paradigmi della valutazione e

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del merito, che portano i ricercatori a privilegiare la dimensione della produttività rispetto alla costruzione di saperi utili nel fornire strumenti per trasformare la società.

"Detto questo la ricerca non è solo in un'università, soprattutto per le condizioni che ci sono ora. Per cui è qualcosa che va anche oltre, cioè il ruolo della ricercatrice, cioè l'immaginario che ho associato al ruolo della ricercatrice va oltre all'accademia. In questa sua componente appunto di interrogazione, di messa in discussione del sistema in cui ci si trova, di decostruire e mettere in discussione i margini, e costruire immaginari. Questa dimensione qua del ruolo della ricercatrice, però che appunto è un'entità individuale fino ad un certo punto, in realtà forse è anche quello che mi interessa che è comunque un soggetto che si deve relazionare, e questo è un altro elemento che mi piace." (Intervista a VERONICA)

"Perché poi appunto non considero l'università l'unico luogo dove si può fare ricerca, in Italia è uno dei pochi che ti paga per farlo, questo è un discrimine non indifferente però non è l'unico, e quindi, come dire, se poi questa mia esigenza di stabilità e di indipendenza si deve barattare tendenzialmente con, ad esempio, cioè, appunto la mia richiesta di indipendenza sottostare a delle pressioni di altro tipo e doverci fare i conti allora non lo so se ne vale la pena." (Intervista a CRISTINA)

"Nel senso pensavo che ancora l'università fosse il luogo in cui la prima missione era produrre sapere, trasmettere il sapere, confrontarsi, insomma alla fine era il ruolo sociale dell'università. Poi ho capito che effettivamente non era così. Però insomma fondamentalmente questa cosa qui era svincolata intanto da un certo tipo di produttività, che poi anche questa si è rivelata sbagliata, però soprattutto era svincolata dal fatto che io in quel momento lì non facevo guadagnare un cazzo di nessuno col mio lavoro, che a me ovviamente questa roba qua … ovviamente, come puoi benissimo capire, è una roba che cioè, comunque, non lavoro per fare accumulare ricchezza a qualcun altro ma invece lavoro per aumentare, va beh, la conoscenza umana in senso lato, però insomma di ricercare per fare delle … che poi dopo si, per quello che dovrebbe essere il ruolo sociale dell'università, che appunto sta diventando sempre meno." (Intervista a MICHELE)

Quei soggetti che non vedono nell'istituzione universitaria l'unico luogo in cui poter produrre saperi capaci di incidere nelle trasformazioni della società a loro avviso necessarie affermano anche di non avere un attaccamento emotivo particolarmente profondo con questa istituzione. Differentemente, è la possibilità di approfondire e fare ricerca su alcuni temi specifici raccogliendo una qualche forma di reddito a convincerli a insistere nel gestire e organizzare al meglio la loro presenza all'interno di questo specifico mercato del lavoro.

"Perché tutto l'interesse del dottorato e della ricerca per me ha a che fare con le tematiche di cui mi occupo. Quindi diciamo l'amore e la passione, quello che mi spinge non è tanto l università ma è la tematica, quindi questo è stato fondamentale. C'è la curiosità, quello che ti dicevo prima. A me interessa studiare, a me interessa capire chi sono. Cioè nel senso trovo il senso di questo lavoro in quello che studio, non tanto nel mondo accademico per il mondo accademico, e penso di poterlo sopportare anche, o comunque di trovarmici bene, perché quella in cui mi muovo è una nicchia strana di gente idealista che pensa che possiamo o dobbiamo cambiare le cose, che prova a fare interventi in un campo che per me è estremamente rilevante." (Intervista a MARCO)

Vi è, infine, un'ultima accezione che i soggetti assegnano al significato di terza missione, che comporta un differente modo di pensare come il sapere prodotto possa incidere sulle trasformazioni della società. Da questo punto di vista, aldilà delle discipline a cui afferiscono, alcuni intervistati affermano che la passione per il loro lavoro torni a farsi sentire in modo evidente quando alcune ricerche che questi hanno sviluppato si

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dimostrano utili per aprire delle relazioni con i policy maker. In questo senso, in diversi lamentano come oggi sia molto difficile essere ascoltati da chi poi pragmaticamente prende le decisioni politiche.

"Di sicuro corrispondeva a un'esigenza che io ho sempre avuto e che ho tuttora, di cercare di combinare la ricerca con l'applicazione pratica. Per cui io devo dire che da quando ho fatto l'università fino ad ora ho sempre fatto ricerca, e ho sempre anche sempre cercato di lavorare in modo da poter applicare la ricerca che ho svolto. Quindi cercare di combinare questi due mondi, cosa che io credo ... nella quale io credo anche tutt'ora, anche se so benissimo che da un punto di vista professionale è qualcosa che mi si è rivoltato contro parecchio. Perché oggettivamente portare avanti questi due mondi fa si che non si riesca magari a stare completamente dentro le logiche che soprattutto il mondo accademico richiede, in termini relazionali, in termini di costruzione di reti che diciamo vanno completamente aldilà rispetto al fatto di scrivere o costruire delle teorie che possano avere poi una applicazione. Però ecco, diciamo che aldilà del fatto che questa cosa mi si è abbastanza rivoltata contro, tutto sommato continuo a pensare che non sia la strada sbagliata ecco, che ci sia bisogno di combinare questi due mondi. Anche le teorie apparentemente più astratte però in qualche modo necessitano, così, di trovare un'esemplificazione nella vita ecco. Quindi di vivere totalmente nel mondo accademico io non ce la potrei fare. E anche forse vivere soltanto nella concretezza, senza ogni tanto appunto tirare su la testa e riflettere in modo un po' più ampio, ecco forse io ho proprio bisogno di queste due parti. [...]. Sicuramente c'è stato anche uno svilimento da parte ad esempio della componente politica no? Appunto, mandi una ricerca, o fai una serie di suggerimenti e tutto, tranquillamente i politici ti dicono: "no va beh, ma voi vivete nell'iperuranio!", cioè, non so come dire." (Intervista a VERONICA)

"Io considero un po' la ricerca accademica molto interessante, molto stimolante, però quello che a me sarebbe piaciuto fare sarebbe qualcosa che abbia un impatto più ... più rilevante, che secondo me facendo ricerca puramente accademica non riesci a fare. Cioè quindi io ho sempre voluto lavorare per un Think Thank come aspirazione, anche per poter poi avere un impatto, un contatto diretto con chi fa le politiche pubbliche. Però, sai, dico purtroppo in questo senso insomma. Spesso la ricerca accademica rimane molto a se stante, rimane molto orientata alla pubblicazione però non ha questo risvolto più, non so, di impatto, più pratico. Questo è un po' quello dico, che voglio dire quando ti dico purtroppo." (Intervista a RICCARDO)

A differenza di questi ultimi, altri ricercatori non pensano che i processi trasformativi che potrebbero generarsi dalla produzione di un determinato sapere possano agire attraverso un rapporto diretto con i policy

maker ma, differentemente, sostengono che uno degli elementi capaci di essere insieme stimolanti, incisivi e

corrispondenti ai propri desideri sia una relazione diretta con le soggettività che questi incontrano nel corso della ricerca. Da questo punto di vista, il tema della restituzione del proprio lavoro ai soggetti che hanno partecipato alla ricerca risulta essere fondamentale per produrre quel mutamento sociale che anche in questo caso viene assunto come obbiettivo prioritario del mestiere del ricercatore.

"Nel mio specifico significa studiare i fenomeni che studio, quindi fare ricerca che però abbia un impatto sociale. Cioè per me è molto importante, e tutte le ricerche con cui ho collaborato oppure che continuo a implementare, che implemento con i miei colleghi, significa studiare dei fenomeni che poi hanno un impatto, che possano determinare delle buone pratiche a livello comunitario, o che possano arrivare a un approfondimento del fenomeno nuovo, diciamo. Quindi che possa apportare qualcosa dal punto di vista dell'innovazione. E per me è anche molto importante l'aspetto della restituzione alla comunità. Cioè, io cerco sempre ... mi piace molto per esempio fare ricerca-azione perché, diciamo, ho l'opportunità davvero di coinvolgere le persone che effettivamente si confrontano con l'aspetto che sto studiando, che quindi sono testimoni privilegiati. E al contempo so che tramite ... se ho costruito bene una ricerca, se raccolgo bene le loro esigenze, se diffondo non solo in ambito accademico ma anche in ambiti più sociali, posso in qualche modo contribuire positivamente a un cambio." (Intervista a CARLA)

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Dalla ricostruzione fin qui presentata è possibile affermare che l'ipotesi teorica della "trappola della passione" abbia trovato dei riscontri particolarmente incisivi nell'analisi del materiale empirico raccolto per la presente ricerca. Seppur con tonalità e accezioni differenti, il tema dell'amore per la ricerca o per i significati che il fare ricerca può assumere è presente in tutti i racconti dei ricercatori precari, mostrando quanto di soggettivo ogni persona investa sul proprio lavoro, sia in termini di energie, che in termini emotivi e sentimentali. In altre parole, quello che le interviste ci comunicano è che effettivamente chi lavora nel contesto della ricerca scientifica nel campo delle scienze umane e sociali vede nella propria professione qualche cosa di più di una semplice strategia salariale. Differentemente, questi si riconoscono come soggetti che - nonostante le difficoltà che nascono dalla condizione materiale in cui viene sviluppato il loro lavoro - si sentono privilegiati perché hanno la fortuna di lavorare in un ambito che amano e in cui possono riversare la propria passione per lo studio e per nuove conoscenze. Inoltre, la responsabilità che i soggetti sentono di avere rispetto al desiderio di produrre saperi utili al cambiamento e alla trasformazione ripaga dal punto di vista del riconoscimento intimo e personale le difficoltà e le sofferenze generate dalla condizione strutturalmente ed esistenzialmente precaria in cui si trovano a vivere la loro biografia.