4.1. Valutare il merito
4.1.2. I criteri della valutazione e i poteri che li determinano
Quelle che abbiamo presentato fino a qui sono definizioni generali del concetto di merito che mettono in tensione le forme materiali entro cui agiscono le procedure formali della valutazione. Se potremmo dedurre che a essere messo fortemente a critica sia l'impianto ideologico a partire dal quale queste vengono praticate, in questo paragrafo ci concentreremo sulle contraddizioni e le aporie che i ricercatori e le ricercatrici precarie intervistate individuano sui criteri formali attraverso cui la valutazione in Italia viene praticata. Inoltre tenteremo di comprendere come questi da un lato abbiano trasformato le modalità pratiche attraverso cui viene svolto il mestiere del ricercatore mentre, dall'altro, questi subiscano l'azione performante dei poteri che tutt'oggi agiscono all'interno del sistema universitario italiano.
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Uno dei primi elementi di critica a emergere da un'analisi complessiva delle interviste riguarda la poca chiarezza e la dimensione mutevole entro cui i criteri formali della valutazione vengono oggi presentati dall'Anvur. Questa vaghezza, rilevata da molti degli intervistati rispetto ai requisiti richiesti per essere considerati meritevoli, determina nei soggetti precari l'impossibilità di immaginare strategie attraverso le quali poter aspirare a una posizione stabile. In questo senso è vero che oggi, per ogni ricercatore precario il tema della valutazione si lega in modo diretto all'Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN). In Italia infatti le possibilità di avere accesso a una posizione da strutturato passano per una valutazione positiva nell'ASN, la quale deciderà se il soggetto possiede i requisiti minimi per poter ambire a questa posizione. I parametri indicati dall’ASN fanno riferimento, in termini generali, al tema delle pubblicazioni, alla mobilità internazionale, alla partecipazione a un comitato scientifico di una rivista anch'essa abilitata, all’attività congressuale e a tutta una serie di altre dimensioni che si è deciso di assumere come indispensabili per poter concorrere ad una posizione permanente in accademia. Se, attraverso questa standardizzazione dei criteri necessari, i policy maker hanno nel tempo tentato di rendere il più oggettivo possibile questo processo, le narrazioni degli intervistati in questo senso raccontano di come questi, sebbene siano formalizzati, cambino continuamente a seconda delle propensioni e attitudini possedute dai membri della commissione che di volta in volta viene nominata.
"La meritocrazia nel nostro lavoro è questa roba qui secondo me. Produrre, però anche lì poi, produrre in quantità, produrre in qualità, produrre rispetto a quali indicatori? Non è facile, mi rendo conto, mi rendo conto che non sia facile, assolutamente. La cosa che conta è secondo me che le regole del gioco cambiano da commissione a commissione. Per cui ogni tanto l'articolo su una rivista diventa fondamentale, ogni tanto la monografia, e tu nel frattempo però il tuo curriculum è quello, non è che puoi rimodulare le cose che fai, riscriverle o pubblicarle da un'altra parte perché nel frattempo sono cambiati i parametri. Per esempio io ho scritto tantissimo a quattro mani. Quattro, sei, otto, mani. Allora anche lì, a seconda della commissione può essere interpretato, come per esempio all'estero di solito questo piace, perché dovrebbe essere indicatore di capacità di lavorare in team. Altre volte invece mi è stato detto questo titolo non te lo valutiamo neanche perché non c'è l'attribuzione specifica. Che poi anche lì l'attribuzione è veramente ridicola. Se scrivi un articolo e si dice: "fino a pagina tot è mio", che cazzo vuol dire? Però va beh, insomma. E si, quindi il problema è che sono anche regole del gioco che cambiano. Che sono giochi variabili con regole variabili." (Intervista a MATTIA)
Se, riprendendo le parole dell'ultimo stralcio riportato, la mutevolezza delle "regole del gioco" si presenta ai ricercatori come un ulteriore elemento che genera un senso di insicurezza rispetto alle proprie strategie di carriera, un'ulteriore questione che i ricercatori precari definiscono come problematica riguarda i processi materiali entro cui la loro produzione scientifica viene valutata. A essere al centro di questo ulteriore elemento di critica è il fatto che per loro il sistema valutativo sia in grado di guardare esclusivamente alla quantità della produzione scientifica di ogni singolo ricercatore, e non possa essere in grado di valutarne la qualità. Questa dimensione, che verrà approfondita maggiormente nel paragrafo in cui interrogheremo il tema specifico delle pubblicazioni, sembra riferirsi in particolare alla complessità di valutazione delle
172 "Io soffro un po' nel pensare a una modalità scientifica di attribuzione del merito, è una cosa che trovo difficilissima e quasi inapplicabile in maniera equa e giusta per tutti. Adesso c'è un sistema bastato su dati e sulla quantificazione della ricerca assoluta. Penso che bisogna valutare il merito in termini di qualità, però il problema è sempre cos'è la qualità. É molto complicato, io penso ci sia sicuramente un merito percepito soggettivamente che riconosci nel momento in cui pensi di avere trasmesso delle cose, di aver diffuso delle idee positive che possono creare dibattito e crescita nell'ambito della ricerca. Da un punto di vista proprio di selezione quantitativa e di misurazione del merito penso che sia estremamente difficile e che dipenda da contesto a contesto." (Intervista a GIANNI)
"Il merito… però il merito di cosa? Nel senso che posso dirti che io ho pubblicato cinque cose, ho scritto cinque cose nel corso degli ultimi due mesi e se me le pubblicano tutte cosa sono, brava? No! Perché sono cinque cose scritte in due mesi in cui non sposto niente e quindi se il merito va insieme alla produttività, o insieme a quanto vai all'estero, o queste cose qua non so cosa dire. É la maniera in cui misurano il merito ad essere un discorso vuoto. È proprio la questione di come lo misuri il merito, di cosa stiamo parlando?" (Intervista a CINZIA)
"Poi riferito al mondo dell'accademia il merito come si può identificare? Sicuramente le pubblicazioni, la produttività scientifica. Anche se ogni tanto mi viene da dire "boh", a me se una scrive lo stesso paper in trecento salse diverse è veramente più produttivo? Non lo so, faccio un po' fatica." (Intervista a SILVIA)
All'interno di questo quadro interpretativo, negli stralci di intervista appena riportati emerge come la qualità di una determinata ricerca o di una determinata performance sia un requisito che difficilmente può essere valutato a partire da criteri standardizzati. Da questo punto di vista è interessante richiamare una vicenda che, nel periodo in cui stavo svolgendo questo lavoro di ricerca, ha avuto particolare risalto nel dibattito pubblico statunitense. Nell'Agosto del 2017 James Lindsay, Peter Boghossian ed Helen Pluckrose, tre accademici statunitensi, hanno dato vita ad un esperimento che era volto a delegittimare dal punto di vista simbolico quelli che vengono comunemente definiti in senso dispregiativo grievance studies o studi del rancore66. La pratica dell'hoaxing, ovvero una burla internazionale volta a colpire l'autorità e la reputazione di chi ne è vittima, consisteva in questo caso nel fatto che questi ricercatori avevano scritto venti articoli scientifici intenzionalmente viziati da tesi assurde e basi dati inventate per poi proporli a una serie di riviste da loro stessi definite "di alto rango" (Lindsay, Boghossian, Pluckrose 2018). Per citare solo alcuni esempi, in un primo articolo intitolato Our Struggle is My Struggle gli autori hanno rivisitato una trentina di pagine del
Mein Kampf di Adolf Hitler in chiave intersezionale con l'intento di dimostrare che il femminismo è una
battaglia collettiva e non individuale. Un secondo esempio particolarmente evocativo si riferisce a un articolo intitolato Human Reactions to Rape Culture and Queer Performativity in Urban Dog Parks in Portland,
Oregon, in cui gli autori sostenevano, a partire da un improbabile periodo di osservazione etnografica di
alcuni parchi per i cani a Portland, come questi fossero luoghi in cui era possibile individuare il persistere di una cultura maschilista negli Stati Uniti, considerato il diverso peso che i padroni assegnavano agli stupri omosessuali tra cani rispetto agli stupri eterosessuali. Tuttavia, prima che l'esperimento giungesse al termine, i controlli approfonditi di una rivista su uno degli pseudonimi che i ricercatori avevano utilizzato per firmare questi articoli hanno smascherato l'inganno e reso pubblica l'intera vicenda. Nell'Ottobre del 2018 il Wall
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In questa categoria si riuniscono approcci e oggetti di studio differenti, tra i quali il femminismo, la queer theory, i gender studies, i sexual studies, oltre a interi campi disciplinari come la sociologia e l’antropologia.
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Street Journal se ne è occupato a partire da un editoriale intitolato Fake News Comes to Academia67 e a
questo punto gli autori dell'esperimento hanno deciso di interromperlo e restituire la dinamica da loro prodotta attraverso un articolo pubblicato da Areo Magazine (Lindsay, Boghossian, Pluckrose 2018). Al momento dell'interruzione dell'esperimento, tre articoli erano già stati pubblicati, sette erano "under review", mentre gli autori non avevano ancora ricevuto feedback rispetto ai dieci rimanenti. Se gli intenti su cui l'esperimento si basava erano a mio avviso problematici, nonché scientificamente poco sostenibili, è tuttavia vero che questo ha fornito elementi di riflessione più generali che si legano in modo profondo ai criteri che vengono oggi utilizzati per valutare la produzione scientifica dei ricercatori accademici. In questo senso, la questione si lega in modo diretto a come le procedure di valutazione non abbiano la possibilità di strutturare parametri oggettivi su cui valutare il lavoro dei ricercatori dal punto di vista qualitativo in quanto, come dimostrato precedentemente, ogni sapere è sempre parziale e situato (Haraway 2018; Terragni 1998). Questa dimensione emerge con una certa chiarezza anche nelle parole degli intervistati.
"Il merito è veramente una parola vuota in cui tu puoi fare una ricerca che nei parametri del merito ci sta perfettamente per dimostrare che i nazisti avevano perfettamente ragione a voler governare il mondo. Cioè a livello scientifico essere perfetto e impeccabile e il merito su questo non ha assolutamente nulla da dire. Per cui per me è proprio una retorica, che tra l'altro sento molto agitata, appunto, nell'accademia." (Intervista a CRISTINA)
"Io non credo che esista alcuna forma di merito all'interno dell'università. Nel senso che se il merito è saper scrivere...cioè anche il modo in cui funzionano le pubblicazioni, non è che pubblicano le persone più brave, i più bravi ricercatori, pubblicano semplicemente quelli che sanno come scrivere gli articoli. É una retorica, uno impara la retorica. Quelli un po' più svegli imparano la retorica, quelli un po' meno svegli la imparano dopo. Però non mi pare ci sia un grande merito. Cioè, è come quando ero bambino e mi portavano il giorno della befana a recitare la filastrocca in chiesa e mi davano dei cioccolatini. Cioè il fatto che io mi mettessi lì e imparassi la filastrocca non mi rendeva più meritevole di qualcun altro di ricevere il cioccolatino, rispetto a quello che non aveva imparato la filastrocca. E credo che nella produzione scientifica non ci sia tanto di diverso, non è la qualità del lavoro che sta dietro la produzione scientifica quello che si valuta, soprattutto nelle materie umanistiche. È la retorica attraverso cui si scrive l'articolo, la monografia, io lo noto tantissimo questa cosa. Nel modo in cui è concepito è quasi incomprensibile la qualità del lavoro che c'è dietro, si valuta quasi unicamente l'estetica del prodotto, del precipitato finale che secondo me non c'entra nulla con la qualità." (Intervista a GIORGIO)
Se quelle che abbiamo proposto fino qui sono teorizzazioni che potrebbero essere estese e generalizzate alle forme complessive entro cui si struttura l'università globale, vi sono degli elementi specifici che i ricercatori precari individuano nel contesto accademico italiano. Anche in questo caso, il tema che emerge con una forza particolare è legato a come i rapporti di potere di stampo feudale - che, come abbiamo dimostrato, i ricercatori intervistati percepiscono come ancora strutturalmente presenti - agiscano anche nei differenti livelli su cui si strutturano oggi i processi valutativi. In termini complessivi, viene innanzitutto messo in discussione il fatto che in Italia sia il "merito" il criterio che permette ai ricercatori precari un avanzamento di carriera, vista l'azione decisiva che le relazioni di potere sviluppano in questo senso.
174 "Devo dire, poi, in Italia con quel simpatico mix di agitare il merito e nello stesso tempo rivendicare una spartizione di potere che si muove invece, come dire, nella retorica sempre su categorie di merito, ma merito supportato da dinamiche di potere che poi non vengono espresse nel dibattito pubblico quasi mai, ma che rimangono solo nel dibattito tra di noi. E in questo senso anche secondo me il merito poi è una categoria che complica maggiormente tutta questa dimensione di intreccio tra appunto ricerca e tutto il resto." (Intervista a CRISTINA)
"Che poi va insieme al fatto che, nonostante come lo misuri, poi sappiamo che non è nemmeno questo fantomatico merito che guida l'avanzamento in carriera, chi va a vanti. Va avanti chi c'ha il prof. fondamentalmente. Non lo so, ci sono svariati livelli su cui la questione del merito è problematica..." (Intervista a CINZIA)
Dalle narrazioni sviluppate dagli intervistati e dalle intervistate emergono due particolari processi valutativi in cui la retorica del merito si scontrerebbe con l'azione dei poteri baronali. La prima questione è relativa all'abilitazione scientifica nazionale. In questo caso, la denuncia che in diversi soggetti presentano si riferisce alla discrezionalità con cui, nonostante la teorica presenza di criteri standardizzati, i giudizi rivolti ai ricercatori che tentano di abilitarsi mostrano una dimensione aleatoria che induce i candidati a mettere in dubbio la legittimità dei giudizi che ogni commissione presenta per ogni caso specifico.
"Però il problema è che valutare l'eccellenza, secondo me con questo sistema attuale, e non lo salverà questa abilitazione, perché son sempre coercizioni, ci sono sempre, come dire, dinamiche politiche comunque. Se uno vuole passare o non farti passare può fare un giudizio ad hoc. Veramente. Poi gli accademici devo dire che sono bravissimi a fare questo, molto molto bravi. Imparano col tempo ma soprattutto i baroni sono molto bravi a farlo. Quindi tu puoi essere un asino però puoi prendere l'abilitazione, oppure puoi essere molto bravo però gli stai sulle palle e non te la prendi." (Intervista a CARLA)
"E anche, banalmente, adesso nel pensare al proseguo della carriera, uno dice "perfetto, cosa c'è dopo?Fare il ricercatore? Cosa c'è dopo? Fare il professore?". Che poi si tratta ad esempio di sottostare alla valutazione, e quando guardi i criteri dell'abilitazione è tutto un criterio aleatorio, in cui se leggi i giudizi di quelli promossi o bocciati alle abilitazioni, se poi vai a guardare i curricula non sempre corrisponde il giudizio con quello che uno ha fatto." (Intervista a CRISTINA)
Il secondo tema - che approfondiremo successivamente ma che interviene in modo fondamentale nell'economia del presente ragionamento - si riferisce ai sistemi con cui oggi vengono classificate le riviste scientifiche in relazione al loro peso nei processi valutativi. Anche in questo caso, a essere sotto accusa è il sistema delle commissioni che di volta in volta hanno la facoltà di decidere se una determinata rivista può essere considerata o meno come di “alto rango” o di “fascia A”. Considerato che tra i criteri formali attraverso cui viene conferita l'abilitazione scientifica nazionale sia incluso anche il fatto di aver pubblicato alcuni articoli in questo tipo di riviste, per i ricercatori e le ricercatrici intervistate l'attribuzione del valore di uno specifico progetto editoriale scientifico risulta un processo particolarmente incidente in relazione alle traiettorie di carriera che questi vorrebbero sviluppare.
"Eh, che domanda complessa. Perché che qualcosa non va indubbiamente c'è. Si usano in Italia, si adottano strumenti tendenzialmente assunti da altri paesi, sulla valutazione e tutto, però poi succede che se vai a vedere nessun altro paese ha le riviste di Fascia A e non di Fascia A. É una cazzata, è una cosa che abbiamo inventato noi. In se potrebbe essere anche giusto, qual è il problema? Il problema è che c'è
175 stata una commissione, la commissione subisce pressioni, come succede sempre in Italia. Per cui la rivista che magari non ha padri e padrini ma è oggettivamente una buona rivista, eh cavolo, si presume che magari diventi di fascia A effettivamente. Però diventa di fascia A anche la rivista vergognosa, dove non fanno referaggi, dove pubblicano articoli che fanno schifo, ma va in fascia A perché è molto sostenuta. E c'è dentro la commissione chi fa parte di quella cordata. Poi cambiano le commissioni. Cambiando le commissioni, chi magari non aveva l'amico o gli amici la volta prima ce li ha la volta dopo. Per cui te dimmi, ma che senso ha una cosa del genere? Quando sai poi che ci sono delle riviste di fascia A che però tecnicamente te lo sai che fanno schifo." (Intervista a DARIO)
Nel prossimo paragrafo analizzeremo le interviste tenendo in considerazione le diverse definizioni che i ricercatori precari hanno fornito del concetto di merito e del tema della valutazione. In questo senso, proveremo a comprendere se e come queste dimensioni intervengano nel riprodurre un certo grado di individualismo e competizione nelle relazioni sociali che queste soggettività attraversano all'interno del campo accademico. Proveremo inoltre a capire quali ragionamenti sono stati attivati rispetto a una auto- valutazione soggettiva di ogni singolo ricercatore intervistato, la quale è stata stimolata da una specifica domanda della traccia di intervista.