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Il barone e la promessa Strategie agite e subite

3.1. Le diverse dimensioni della precarietà

3.1.2. Precarietà lavorativa e strategie di carriera

3.1.2.2. Il barone e la promessa Strategie agite e subite

Per quanto riguarda l'analisi delle dinamiche materiali che intervengono nelle scelte strategiche che i ricercatori precari assumono per affrontare la dimensione precaria della loro esperienza professionale è necessario condividere una premessa. Da questo punto di vista, infatti, le strategie sono molteplici e in termini generali si collocano nel campo della costruzione di un buon CV e nella costruzione di network professionali, così come le scelte di mobilità internazionale sono comprensibili all'interno di una più complessiva strategia che, con Annalisa Murgia, potremmo definire antiprecarietà (Murgia 2010). Tuttavia, rimandando ad altre sezioni del presente lavoro un'analisi puntuale di questi fenomeni specifici, in questo paragrafo ci concentreremo maggiormente sulla necessità di definire, comprendere e analizzare quali microstrategie vengano messe in campo dal punto di vista della pratica quotidiana del lavoro di ricerca, e come questa dimensione sia profondamente connessa alla precarietà lavorativa e alla configurazione organizzativa dell'università neoliberale. Vi sono in questo senso alcuni elementi che incidono sulle scelte strategiche dei soggetti e che si pongono da un lato come regole implicite del campo accademico rispetto agli avanzamenti di carriera, mentre dall'altro si presentano come elementi governamentali che moltiplicano l'idea neoliberale del soggetto come imprenditore di se stesso.

Dal primo punto di vista è importante sottolineare come qualsiasi strategia di carriera all'interno dell'università italiana sia assunta dai soggetti all'interno di un quadro in cui i rapporti di potere e le dimensioni tradizionalmente definite dal concetto di “baronato” siano ancora strutturalmente presenti. Nonostante nella traccia dell'intervista non fossero presenti domande specifiche sul tema dei rapporti feudali all'interno delle accademie, nella totalità delle testimonianze raccolte questa dimensione emerge con una certe chiarezza, anche se con accezioni e attributi differenti a seconda delle caratteristiche anagrafiche e della collocazione geografica di ciascun soggetto. É infatti vero che chi ha sperimentato l'ingresso e i primi rapporti lavorativi e contrattuali nell'università italiana prima del 2010, anno in cui è stata approvata la riforma Gelmini, racconta di esperienze molto diverse rispetto a chi ha mosso i primi passi nel contesto professionale della ricerca scientifica in tempi recenti. Nel primo caso le ricostruzioni delle proprie esperienze raccontano come una relazione di potere con professori ordinari già incardinati nella struttura organizzativa di uno specifico ateneo fosse condizione necessaria e sufficiente per poter ambire ad una qualche forma di stabilizzazione contrattuale all'interno dello stesso, mentre per i ricercatori e ricercatrici più giovani questa dimensione rimane rilevante, ma non strategicamente sufficiente per raggiungere i propri obbiettivi.

"Sicuramente, ecco, anche qua, mi sembra di vedere nel corso degli anni che via via è cambiato, ma oserei dire tutto questo anche rispetto proprio alla figura del professore universitario. Diciamo che c'è stato un progressivo svilimento di questa professione. Nel senso che, appunto, sempre tornando all'epoca primitiva durante la quale io ad esempio andavo all'università il professore era una sorta di semi Dio che, bontà sua, scendeva sulla terra. Adesso magari esagerò un po', amplifico un po' ma per far capire che oggettivamente aveva una conoscenza, una cultura eccezionale e che, come dire, elargiva il suo sapere.

124 Graziosamente tu lo rispettavi diciamo appunto quasi come una sorta di venerazione per questa sua evidente eccellenza intellettuale. Con appunto tutta una retorica anche abbastanza così, ridicola forse, di andare a parlare col professore, era questa cosa così. Già all'epoca appunto l'ordinarione era ancora forse ancora così, c'erano poi questi professori di seconda fascia, i ricercatori, che avevano invece tutto un altro genere di atteggiamento. Nel corso del tempo ovviamente tutta questa retorica della sacralità del professore ordinario non c'è più stata e sicuramente c'è stato anche uno svilimento." (Intervista a VERONICA)

"E prima ancora di più, perché loro, ai tempi dell'indeterminato, facevano uno scritto, poi facevano l'orale, e quindi avevano proprio, così, quell'atmosfera da concorso eccetera. Poi quasi quasi per iniziare il dottorato non ci riesci quasi a entrarci, cioè non sono meritocratici gli esami, cioè dipende un po' dall'annata, però insomma comunque i telefoni continuano a squillare. Insomma, quando devono squillare squillano, non c'è un cazzo da fare. Continuano a squillare, e poi appunto, allora su questo insistono poteri." (Intervista a MATTIA)

Se, dunque, i primi raccontano come la dimensione della promessa di poter ambire a un posto da strutturato fosse un elemento strutturante della propria esperienza e della propria strategia in termini espliciti e diretti, i secondi rappresentano questa relazione con la formula, ripetuta da una molteplicità di soggetti, del "do ut

des".

"E poi c'è un terzo livello, che è, per la mia l'esperienza finora, lavorare per qualcuno. Quindi fare delle cose. Tendenzialmente nel mio caso rispetto magari ad altri ambienti non mi è mai capitato di dover scrivere delle cose per altri, anche perché non è molto in uso nel mio campo, però stare dietro all'organizzazione pratica della vita di qualcuno, questo si. Per cui fai la segretaria essenzialmente, cioè una parte del mio tempo è dedicata ad occuparmi appunto delle cose della mia prof, capire le aule del suo corso quali sono, gli orari, gestire ogni tanto il ricevimento dei suoi studenti, fare gli esami. Tutte cose che non stanno ovviamente in nessuna parte di contratto ma che stanno nel ... così, nel do ut des. Cioè, do e basta ancora." (Intervista a CRISTINA)

"Allora è successo già nell'ultimo anno del dottorato, con il mio relatore abbiamo iniziato a fare dei discorsi sulla possibilità di continuare a collaborare in maniera diversa. Lui ci ha girato un po' intorno e poi ci è andato un po' più ... ha fatto vedere un po' le carte su quelle che erano le proposte e mi ha fatto un discorso molto onesto da parte sua, sul fatto che lui aveva investito su una persona che poi l'aveva mollato fondamentalmente per altri interessi, e aveva a disposizione dei fondi, anzi che avrebbe avuto a disposizione dei fondi visto che ancora non ce li aveva in quel momento, e che la sua intenzione era quella di farmi continuare con quelli. E che questo implicava un rapporto di "do ut des" all'interno del quale lui non mi chiedeva di fargli da segretario e di fare il lavoro suo però, visto che avevamo dei campi di ricerca simili, mi ha detto "per me è utile che tu lavori su temi attinenti, lo stai già facendo, continua con quello che è il tuo lavoro ma questa cosa a me serve perché mi da feedback, possiamo fare dei progetti assieme, delle cose così". "Sappi che se tu ci stai, sappi anche che devi lavorà", fatto che io avevo tentato di evitare fino a quel momento e ho detto "va beh, ci sto, grazie di avermi dato questa opportunità perché altrimenti non saprei cosa fare." (Intervista a MARCO)

L'interpretazione del rapporto con il proprio professore viene dai secondi rappresentato in termini di scambio orizzontale in cui la predisposizione ad assecondare le sue esigenze anche al di fuori del rapporto contrattuale diviene elemento su cui è possibile immaginare uno scambio tra lo svolgimento di una parte di lavoro extra e la possibilità di accedere a una posizione stabile. Da questo punto di vista, è possibile argomentare su come, all'interno di un contesto in cui le possibilità di accedere a una posizione stabile all'interno delle strutture organizzative delle università italiane sono esigue, le relazioni tra soggetti in

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posizioni gerarchicamente differenti vengano presentate come un imperativo da cui è impossibile sfuggire. Tuttavia, a differenza della percezione dei soggetti con maggiore esperienza delle relazioni di potere all'interno dell'accademia, questi ultimi non rivolgono a queste relazioni tutte le energie necessarie per poter perseguire i propri obbiettivi, ma le assumono come uno dei vari tasselli che ogni soggetto deve avere in dotazione per costruire quel mosaico di opportunità su cui abbiamo precedentemente argomentato. In altri termini, l'idea dell'economia politica della promessa che abbiamo presentato nel capitolo teorico del presente lavoro di ricerca non sembra essere sufficiente per comprendere le strategie che i soggetti subiscono e agiscono all'interno delle relazioni lavorative che questi pongono in essere (Bascetta 2015).

Da quest'ultimo punto di vista infatti non emerge in nessuna delle interviste una rappresentazione delle relazioni interne all'accademia che effettivamente riproduca lo schema feudale entro cui spesso vengono narrate le relazioni di potere interne all'accademia. In un contesto in cui circa un ricercatore precario su venticinque avrà la possibilità di accedere a una posizione da strutturato (Burgio 2014), l'idea di una promessa etero-fornita dal proprio professore di riferimento si trasforma in una promessa auto-generata dal soggetto stesso il quale, attraverso la progettazione e la messa a disposizione del proprio tempo di lavoro e delle proprie energie nello svolgimento di diverse forme di lavoro gratuito, agisce secondo i dettami delle teorie del capitale umano e si muove seguendo l'imperativo dell'essere imprenditore di se stesso (Bascetta 2015; Dardot, Laval 2013). In coerenza con la logica neoliberale secondo la quale ognuno è responsabile del proprio futuro e deve concentrarsi nella costruzione del proprio capitale umano, la possibilità di individuare fondi per continuare a svolgere il lavoro di ricerca accademico è strutturalmente collegata alla necessità di costruire o implementare progetti di ricerca da presentare ai più disparati enti finanziatori. La "progettazione" si presenta in questo modo come una delle pratiche lavorative dei ricercatori precari che più riesce a rappresentare l'idea di quel Self Neoliberale su cui si è argomentato in precedenza, e si lega in modo diretto al tema della rappresentazione del ricercatore come imprenditore di se stesso, in cui il "rischio d'impresa" è totalmente individualizzato.

"Va beh, a parte che la progettazione in sé è lavoro gratuito. Ragionavo poco tempo fa, alla chiusura di uno dei mille progetti a cui sto lavorando, che in effetti la progettazione, soprattutto quella di ricerca, è la sublimazione dell'economia politica della promessa. Cioè tu auto-produci la stessa promessa che in altri ambiti produce il sistema, diciamo così. Qua tu costruisci il tuo progetto, costruisci la tua speranza e la tua promessa, e ovviamente se poi non va, nel mondo meritocratico che è diventato appunto quello accademico, è tutta colpa tua. É merito tuo se vinci, però è colpa tua se perdi. É tutto molto autoreferenziale, diciamo così." (Intervista a ROBERTA)

Un ultimo elemento di critica che emerge dal punto di vista delle relazioni di potere all'interno dei dipartimenti è rintracciabile principalmente nelle testimonianze di quei soggetti che hanno avuto una maggiore esperienza professionale all'interno di università extraitaliane. Secondo questi, infatti, il persistere di relazioni di potere particolarmente gerarchiche e feudali mette in discussione anche i tentativi di implementare le retoriche governamentali del merito e della competizione all'interno dei meccanismi di

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molteplici ricercatori alle dinamiche legate all'attribuzione del valore di una specifica rivista in relazione ai meccanismi valutativi. Il meccanismo di gerarchizzazione di queste ultime, infatti, in Italia assume dinamiche particolari che, come abbiamo visto, non trova corrispondenze in altri sistemi valutativi internazionali. Secondo molti degli intervistati, ciò contribuisce a riprodurre quelle dimensioni di potere che agiscono tutt'oggi nel governo delle università italiane e che intervengono in modo determinante nei processi di reclutamento.

"É tutto il sistema che secondo me è da rivedere. Io sinceramente penso che ci sono ottimi ricercatori in Italia, ma da tutte le parti ci sono. Però il problema è che valutare l'eccellenza, secondo me con questo sistema attuale ... e non lo salverà questa abilitazione, perché comunque son sempre coercizioni, ci sono sempre, come dire, dinamiche politiche comunque. Se uno vuole farti passare o non farti passare può fare un giudizio ad hoc. Veramente. Poi gli accademici devo dire che sono bravissimi a fare questo, molto molto bravi. Imparano col tempo ma soprattutto i baroni sono molto bravi a farlo. Quindi tu puoi essere un asino però puoi prendere l'abilitazione, oppure puoi essere molto bravo però gli stai sulle palle e non te la prendi." (Intervista a CARLA)

"Si usano in Italia, si adottano strumenti tendenzialmente assurdi, come vengono da altri da altri paesi, sulla valutazione e tutto però poi succede che se vai a vedere nessun altro paese ha le riviste di Fascia A e non di Fascia A. É una cazzata, è una cosa che abbiamo inventato noi. In se potrebbe essere anche giusto, qual è il problema? Il problema è che c'è stata una commissione, la commissione subisce pressioni, come succede sempre in Italia. Per cui la rivista che magari non ha padri e padrini ma è oggettivamente una buona rivista, eh cavolo, si presume che magari diventi di fascia A effettivamente. Però diventa di fascia A anche la rivista vergognosa, dove non fanno referaggi, dove pubblicano articoli che fanno schifo, ma va in fascia A perché è molto sostenuta. E c'è dentro la commissione chi fa parte di quella cordata. Poi cambiano le commissioni, cambiando le commissioni chi magari non aveva l'amico o gli amici la volta prima ce li ha la volta dopo. Per cui te dimmi, ma che senso ha una cosa del genere? Quando sai poi che ci sono delle riviste di fascia A che però tecnicamente te lo sai che fanno schifo." (Intervista a DARIO)

Come vedremo successivamente, dunque, il persistere di queste dimensioni di poteri forti che agiscono e determinano in modo poco trasparente le traiettorie organizzative e i processi di reclutamento è uno degli elementi che i ricercatori precari intervistati evocano per mettere in discussione la centralità che i paradigmi del merito e della competizione rivestono nelle dinamiche organizzative dell'università neoliberale globale e soprattutto italiana.