4.2. Publish or perish L'economia politica delle pubblicazion
4.2.1. Pubblicazioni e valutazione: un approccio strategico
Nella traccia di intervista erano state inserite una serie di domande e interrogativi che facevano riferimento proprio al tema delle pubblicazioni. In questo senso, i ricercatori precari sono stati interrogati in merito al loro approccio rispetto alla presente questione, problematizzando se e in quale modo la valutazione agisse nel dare una certa forma agli output di ricerca condivisi attraverso una pubblicazione scientifica, e quali
69 La legge 240/2010 stabilisce che le discipline a cui non si applicano i criteri "bibliometrici" sono: Architettura (Area
CUN/VQR 8.a); Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche (Area 10); Scienze storiche, filosofiche e pedagogiche (Area 11.a); Scienze giuridiche (Area 12); Scienze economiche e statistiche (Area 13); Scienze politiche e sociali (Area 14).
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strategie questi utilizzassero per rendere più efficiente la loro produttività scientifica. É tuttavia importante sottolineare come nelle narrazioni proposte dagli intervistati e dalle intervistate questi temi siano stati elaborati lungamente anche in modo autonomo dalle soggettività al centro dell'indagine, indicando la particolare rilevanza che il tema delle pubblicazioni ha assunto nella dimensione quotidiana del lavoro di ricerca.
Da questa prospettiva, la prima informazione che emerge dall'analisi comparata delle interviste è che tutti i partecipanti all'indagine riconoscono come le forme e i modi con cui oggi viene prodotto e diffuso il sapere all'interno delle istituzioni accademiche siano profondamente legate all'imporsi delle procedure valutative. In questo senso, alcune ricercatrici e alcuni ricercatori sottolineano come questo legame tra produzione scientifica e valutazione incida sulle scelte dei ricercatori dal punto di vista della forma con cui questi restituiscono i propri percorsi di ricerca. Quella che viene espressa si mostra dunque come un'azione strategicamente riflessiva: se nei parametri con cui viene valutato il lavoro del ricercatore sarà gerarchicamente più efficace pubblicare in una rivista anziché sviluppare un libro o una monografia, i ricercatori sceglieranno la prima ipotesi anche nel caso in cui questi si ritrovassero costretti a ridurre la complessità della proposta scientifica che intendono condividere.
"La maggior parte delle persone che sono in Italia fanno ricerca nel modo che ti dicevo prima, quindi con tutta quella cooptazione, quello sfruttamento, eccetera. Però, anche se sei nelle migliori condizioni, che tu sia all'estero o che sia in Italia, ormai fare ricerca purtroppo è legato al problema della produttività scientifica. Quindi misuratori bibliometrici, pubblicazioni e in generale costruzione del proprio CV per poter ambire a una posizione permanente. E quindi di conseguenza questa roba qui si riflette nel modo in cui tu fai ricerca." (Intervista a MICHELE)
"Succede adesso, negli ultimi anni, che la valutazione, il modo in cui si valuta, cambia il tuo modo di pubblicare. Questo succede, è successo anche a me, devo essere onesta. Ti capita che pensi "questa cosa non la pubblico adesso, non la pubblico su questa rivista, ma la pubblico su quest'altra perché questa è fascia A e questa no". Pensi a quali pubblicazioni possono andare in fascia A, scrivi articoli per le riviste di fascia A. Pensi a questo. Cioè, la pubblicazione non è solo "ok, ho fatto questa ricerca quindi voglio comunicare i risultati di questa ricerca". Ma è "voglio comunicare i risultati di questa ricerca ma guardando a quale rivista mi fa punteggio". O a cosa mi fa punteggio. Si. Fai anche questo. Ti cambia il modo di decidere e quindi ti cambia anche la pubblicazione, perché ovviamente se tu pensi che su quello sia bello scriverci un libro, ma il libro poi non ti serve per il punteggio, allora ci fai un articolo, ci ragioni di più, fai un'altra cosa, capito? Cioè, dipende anche ovviamente, perché il contenitore fa anche il contenuto. Quindi modifica, modifica molto. Cioè, il modo in cui valutano modifica il tuo modo di fare le pubblicazioni. Si, decisamente." (Intervista a GIOVANNA)
Come si evince dallo stralcio appena riportato, la valutazione incide sia sulla forma che l'output della ricerca assumerà, sia sulla scelta del medium attraverso cui diffonderlo. Da quest'ultimo punto di vista, la gerarchizzazione delle riviste scientifiche a partire dal loro essere o non essere considerate di fascia A si presenta come un ulteriore elemento che induce i ricercatori ad agire attraverso processi strategicamente riflessivi. Queste strategie riflessive, come vedremo successivamente, si concentrano maggiormente sulla
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costruzione di una rappresentazione efficace della propria efficienza produttiva e del proprio capitale umano, piuttosto che concentrarsi sulla innovatività o sulla coerenza scientifica del prodotto presentato.
"Diciamo che chiaramente entrando nei meccanismi di valutazione REF, piuttosto che ANVUR, piuttosto che qualsiasi altro, purtroppo devo anche decidere dove devo pubblicare. Cioè non pubblico sempre nei luoghi dove vorrei pubblicare. Devo pubblicare nei luoghi che mi vengono riconosciuti. E questo è una limitazione che abbiamo nell'ambito della ricerca. Poi non sempre significa una buona scientificità dell'output, perché ci sono anche dinamiche politiche anche in questi journal. Però purtroppo è così, cioè ormai valgono molto di più, come dire, magari articoli di settemila parole, cinquemila parole, piuttosto che i libri o capitoli dove c'è un investimento di tempo più sostanzioso, cioè un investimento di tempo più forte." (Intervista a CARLA)
"Anzi devo dire che le cose che ho fatto che hanno avuto un riconoscimento pubblico non sono state tanto prese bene nell'ambito accademico puro. Cioè, per dirti, non so, ho scritto questo manuale, che è stato usato da parecchie università e tutto, e non mi è mai stato nemmeno contato come pubblicazione. Eppure è entrato in una collana scientifica di una casa editrice prestigiosa e tutte queste cose qua, però se vado a un concorso non mi conta. Sai, perché il manuale? Se tu non sei ordinario, perché scrivi il manuale? Ci sono un po' queste cose qua." (Intervista a VERONICA)
Un ulteriore elemento che da questo punto di vista lega la valutazione al tema delle pubblicazioni riguarda il contenuto di queste ultime. A essere criticato con forza da molti degli intervistati e delle intervistate è il fatto che questo processo induca i ricercatori a concentrarsi maggiormente sulla quantità delle pubblicazioni prodotte che sulla loro qualità. É vero infatti che una molteplicità di ricercatori e ricercatrici mettono in discussione i parametri quantitativi con cui il loro lavoro viene valutato. Nelle narrazioni raccolte, diversi soggetti denunciano come loro stessi - o i loro colleghi - utilizzino più volte gli stessi materiali empirici, confezionandoli in molteplici forme, per aumentare l’efficienza della loro produzione scientifica.
"Per esempio ripubblico la stessa cosa modificandola un po' tre volte, è proprio un approccio quantitativo legato poi moltissimo ai ranking delle riviste, per cui lì c'è anche un po' il gioco di potere del giro della rivista eccetera eccetera. Quindi è quantità, e qualità in termini di collocazione della rivista in cui tu cerchi di pubblicare. A me non mi sembra che anche i miei colleghi siano animati dal sacro fuoco della scienza, soprattutto in tempi di abilitazione." (Intervista a MATTIA)
"Però, diciamo che a volte mi chiedo "ma è la pagina in più che hai scritto che fa veramente la differenza?". Cioè, uno che ha scritto due cose ma assolutamente innovative vale veramente meno di uno che ha scritto dieci volte la stessa cosa? Io non credo. Però è così." (Intervista a SILVIA)
"Poi riferito al mondo dell'accademia il merito come si può identificare? Sicuramente le pubblicazioni, la produttività scientifica. Anche se ogni tanto, boh, mi viene da dire "boh", a me se una scrive lo stesso paper in trecento salse diverse è veramente più produttiva? Non lo so, faccio un po' fatica." (Intervista a ROBERTA)
Nel primo stralcio riportato, il ricercatore afferma in modo molto chiaro come l'atteggiamento che lui riconosce in se stesso, ma anche in gran parte dei suoi colleghi, sia di un sostanziale pragmatismo rivolto al proseguimento della propria carriera. Questa lettura viene proposta da diversi intervistati, che sottolineano allo stesso livello come la passione per la ricerca e il desiderio di sviluppare saperi innovativi siano attitudini subordinate alla necessità di rappresentarsi come un lavoratore efficiente e produttivo.
187 "Cioè, nel senso, purtroppo io sono molto cinico rispetto al mio lavoro. Nel senso che le pubblicazioni le faccio perché bisogna farle per andare avanti sostanzialmente. E questo è anche il risultato negativo di come è l'accademia oggi capito? Perché se io pensassi di dover fare delle pubblicazioni perché il risultato della ricerca è più o meno utile, è illuminante, eccetera, molto probabilmente, anzi quasi sicuramente, il contenuto sarebbe uguale, perché io poi effettivamente lo faccio in quell'ottica lì, però lo sbattimento che ci sta dietro nel fare una pubblicazione non te lo accolli con l'idea di fare del bene all'umanità o alla società, o al progresso economico, sociale, di chissà che gruppo o categoria umana, lo fai con l'ottica di andare avanti nella carriera universitaria. Questo mi pare sia valido per più o meno tutti." (Intervista a EMILIO)
Dall'insieme delle riflessioni proposte emerge dunque con una certa chiarezza come l'azione pervasiva della valutazione rispetto al tema delle pubblicazioni venga percepita in modo molto netto dai ricercatori e delle ricercatrici precarie. Da questo punto di vista, nel corso dell'analisi delle interviste appare inoltre chiaro come le soggettività che hanno partecipato all'indagine si relazionino in modo differente a questo tema. É possibile dunque dividere i ricercatori e le ricercatrici precarie in due categorie differenti: da un lato ci sono quei lavoratori della ricerca che affermano di avere già coperto i parametri necessari affinché il proprio lavoro venga valutato positivamente, mentre dall'altro ci sono quelli che non hanno ancora sviluppato tutte le prerogative valutative a loro richieste.
Per quanto riguarda il primo gruppo di ricercatori, questi affermano che, avendo già svolto tutto il lavoro necessario per rispondere ai criteri della valutazione, non riconoscono più nella questione delle pubblicazioni l'elemento che potrebbe agevolare il proseguimento della loro carriera. É tuttavia importante sottolineare come nelle narrazioni proposte da questo tipo di lavoratori questo approccio rispetto alle pubblicazioni venga contestualizzato all'interno della loro specifica situazione. In questo senso, i ricercatori che riconoscono questo loro posizionamento situato non negano che in tutta probabilità in altri momenti del loro percorso avrebbero fornito risposte diverse, avendo in passato preso decisioni pragmaticamente orientate all'efficienza.
"Però poi aspetta, io adesso ti ho detto che c'ho l'articolo di fascia A perché io so che per le mie mediane devo coprire almeno un articolo di fascia A, e quello ce l'ho in progress. Quindi ti posso dire una rivista qualunque abilitata. Però invece io sono tre mesi che faccio aspettare una rivista di una docente che stimo, di un intervento che sono andato a fare, che mi hanno detto di scrivere il pezzo, perché è una pubblicazione online che non è registrata e quindi non gliel'ho fatta. Piuttosto mi sono messo a fare altre cose. Quindi in realtà è A, alla fine dei conti. Perché se vuoi pensare a quanti step mettere nelle tue possibilità di progredire in questo percorso tu devi pensare a queste cose." (Intervista a MARCO)
"Non sono ossessionato dagli articoli in fascia A, ma questo banalmente perché sono tanti anni che scrivo e ne ho. Francamente averne sette o otto, nove, dieci non penso che decida quello sul fatto che poi io entri o meno. Per cui, monografie ce l'ho, articoli al kilo ce l'ho. Quindi, si mi interessa sicuramente scrivere per un pubblico più ampio, su riviste prestigiose, ma non prestigiose perché di classe A, prestigiose perché sono riviste appunto molto importanti. Però diciamo che ora prevalgono i criteri tra virgolette scientifici. Ma è una questione legata appunto alla contingenza. Se avessi bisogno di scrivere articoli in fascia A, come per molti, sarebbe la priorità, basta. No, è pragmatico l'atteggiamento da quel punto di vista. Perché se ci vogliono gli articoli in fascia A, ci vogliono. E dal momento che sai che ci sono riviste di fascia A che però in realtà non sono selettive eccetera eccetera, in certe fasi ci sta benissimo che uno
188 dica "guarda, mi rivolgo a quella", non la vedo come una cosa sbagliata. É un problema di chiarezza insomma, di formalismo, è un problema di formalismo che spesso diventa una questione di formalismo e non di qualità. Dopodiché ognuno poi in base ai suoi interessi del momento si muove. E d'altra parte, capisci, se ci vogliono due o tre articoli in fascia A per avere la benedetta abilitazione, è chiaro che se uno non ce l'ha si pone quello come obbiettivo, è normale." (Intervista a DARIO)
Come vedremo nel prossimo paragrafo, se questi ricercatori assegnano alla loro produzione scientifica significati che non si legano al tema della valutazione, non si può dire lo stesso dei ricercatori più giovani che devono ancora dimostrare le perfomance produttive a loro richieste per tentare di proseguire il loro percorso professionale. Dalle narrazioni di questi soggetti affiorano una molteplicità di strategie che questi utilizzano per massimizzare il proprio lavoro in chiave efficientista, aspetto che è interessante comprendere e analizzare in quanto conformato alle modalità concrete con cui oggi vengono prodotti il sapere e la conoscenza nel contesto dell'università neoliberale.
Il primo elemento che emerge da questo punto di vista si riferisce in modo diretto ad alcune pratiche cooperative che vengono esercitate dai soggetti rispetto al tema delle pubblicazioni. In questo senso - ma anche in termini più generali - il tema del networking si presenta come centrale, in quanto permette di rimanere connesso a quegli spazi di discussione accademici da cui in molti casi scaturiscono proposte e idee rispetto a eventuali future pubblicazioni.
"Allora, la strategia di sopravvivenza o di vita accademica secondo me è composta da tante cose. Da un lato sicuramente appunto la formazione, la teoria, la metodologia, eccetera eccetera. Però ci sono anche delle strategie che vanno aldilà di quello che però sono davvero, anche direi esplicitamente non soltanto implicitamente, fondamentali e necessarie per potersi ritenere parte del mondo accademico. Da un lato per esempio la costruzione di network no? Cioè il fatto di costruirsi dei contatti, ovviamente dei contatti che nascono da interessi di ricerca, da pubblicazioni, da collaborazioni no? Quindi avere un professore, o una serie di professori, che ti possono orientare sul come si fa questa cosa qui, a quali convegni partecipare, che promuovano la tua produzione di paper, di presentazioni, di articoli, eccetera eccetera." (Intervista a ROBERTA)
Questo approccio cooperativistico al tema delle pubblicazioni è stato presentano tuttavia in modi diversi in ragione delle diverse strategie che i ricercatori mettono in campo. Una ricercatrice per esempio racconta come nel progetto di ricerca a cui stava partecipando al momento dell'intervista fossero state pensate in modo preventivo alcune pubblicazioni “interne” che, se da un lato sarebbero state presentate come un modo per condividere i risultati della ricerca, dall'altro lato, grazie all'azione di alcuni suoi colleghi con maggiore esperienza nell'ambito accademico, queste sono state fin da subito pensate come un patrimonio comune da cui tutti i partecipanti al progetto avrebbero potuto trarre dei benefici. L'idea, da questo punto di vista, si è costruita attorno al fatto che non tutti avrebbero compartecipato alla scrittura di un determinato paper o di un determinato articolo, mentre tutti avrebbero firmato ogni singolo output prodotto dal gruppo di ricerca. In questo modo tutti i soggetti che partecipavano a questo accordo informale avrebbero visto accrescere la propria produttività scientifica, recuperando contemporaneamente molto tempo da dedicare ad altre mansioni lavorative legate alla ricerca che stavano sviluppando in collaborazione.
189 "Allora, per la prima volta con questo assegno che ho ora, sono state parte del lavoro pagato. Nel senso che come output del progetto all'inizio il team di lavoro si è detto "abbiamo un anno finanziato, in quest'anno c'è un tempo per il lavoro di campo, un tempo per l'elaborazione e un tempo per la restituzione". Anche in modo abbastanza strategico, non veniva da me perché io venivo dall'esperienza un po' più naif del dottorato. Invece persone che lavoravano da più tempo dicevano che in quest'anno qua ci deve stare che ci siano almeno tot pubblicazioni che restituiscono il lavoro di ricerca, e che avremmo firmato tutti tutto. Perché è stato considerato fin da subito come fondamentale, soprattutto per noi assegnisti, forse meno per chi è strutturato, per poi sperare di avere un altro assegno. Per cui per la prima volta è stato considerato un prodotto della ricerca, ma questo vuol dire che però le pubblicazioni io non sono il primo nome, ma il primo nome è della persona responsabile del progetto." (Intervista a ELISA)
Allo stesso livello, un'altra ricercatrice racconta di un processo molto simile in cui questo accordo cooperativistico è stato strutturato ancora più nello specifico per evitare eventuali tensioni e permettere a tutti i soggetti che vi partecipavano di conoscere preventivamente la mole di lavoro che avrebbe dovuto svolgere nei mesi successivi.
"Ecco, per esempio nel mio caso, siccome io lavoro con due persone, quindi con il mio collega post-doc e con il mio supervisor, quando siamo arrivati abbiamo raggiunto un accordo. Cioè l'accordo, visto che siamo in tre, era pubblicare non mi ricordo se tre articoli all'anno o sei articoli ... no, mi sembra tre articoli all'anno. Uno tirato da me, uno tirato dal mio collega e uno tirato dal mio supervisor. Tirato significa che appunto poi nell'articolo in cui io sono primo nome, il coordinamento ce l'ho io, strutturo io appunto l'articolo e gli altri collaborano con la scrittura e viceversa. Cioè quando tocca a loro io scrivo e non mi preoccupo di nulla. E mi sembra, diciamo, un obbiettivo abbastanza umano, anzi assolutamente umano perché tre articoli l'anno essendo in tre, significa che io mi devo preoccupare in maniera sostanziale solo di un articolo. Tant'è vero che stiamo pubblicando di più." (Intervista a IVANA)
Un ultimo elemento strategico che emerge dalle parole di alcuni intervistati si riferisce alla questione linguistica, e a come nei sistemi valutativi italiani e globali siano gerarchicamente più importanti quei prodotti scientifici scritti in inglese. Se questo tema verrà ripreso successivamente in riferimento alle critiche che i ricercatori scientifici rivolgono alle modalità con cui oggi vengono pensate le pubblicazioni, in questo contesto è importante sottolineare come questa dimensione porti i ricercatori a privilegiare questo aspetto. Una intervistata racconta di mandare alle riviste italiane solo articoli e paper che ritiene non particolarmente spendibili dal punto di vista qualitativo nel mercato internazionale delle riviste scientifiche.
"Ma soprattutto è un grandissimo errore, e te lo dico anche a te che sei più giovane di me, pubblicare cose che tu ritieni possano essere forti in posti dove non saranno mai lette da nessuno. Proprio perdita di tempo totale, da non fare. Cioè non ha proprio nessun senso, se non per la valutazione. In realtà nelle riviste di fascia A è pieno di articoli mediocri, per cui uno dice va beh, ce ne metto uno anche mio e chi se ne frega. Io l'ho fatto, ho fatto questo ragionamento, avevo un pezzo mediocre che ho mandato ad una rivista di fascia A italiana, mediocre ma in fascia A, ed è stato preso. Ma lo sapevo. Se avessi avuto per le mani una cosa forte non gliel'avrei mandata." (Intervista a STEFANIA)
Per comprendere le dinamiche che questi processi producono nel modo in cui si fa ricerca oggi, è interessante infine sottolineare come le dinamiche che si riproducono in questo specifico ambito non sempre siano inserite entro criteri in qualche modo legittimi e legali. Tra i soggetti intervistati è infatti percezione comune che i criteri di gerarchizzazione del sapere e della produzione scientifica che determinano il sistema
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della valutazione accademica vengano spesso riprodotti attraverso pratiche eticamente discutibili e, in alcuni casi, palesemente fraudolente. In un caso specifico, uno dei soggetti intervistati racconta come i dati