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Globalizzazione e migrazioni altamente qualificate

1.2. Università neoliberale nel capitalismo cognitivo

1.2.2. Globalizzazione e migrazioni altamente qualificate

Con l'incedere della globalizzazione e con l'imporsi dell'economia della conoscenza, a partire dagli anni Ottanta si presentò all'attenzione dei ricercatori sociali un nuovo fenomeno particolarmente rilevante e innovativo: il moltiplicarsi delle migrazioni dei soggetti altamente qualificati.

Per comprendere dunque lo spazio epistemologico in cui il presente contributo si colloca risulta interessante ricostruire genealogicamente il dibattito teorico che, dal dopoguerra in avanti, ha tentato di analizzare e comprendere questo fenomeno.

L'idea del Brain Drain è stata formulata per la prima volta nei primi anni '60 dalla Royal Society (1963) per definire l'emergere di un nuovo flusso che vedeva un numero sempre maggiore di studiosi e ricercatori inglesi migrare verso gli Stati Uniti per svolgere il proprio lavoro. Nel corso degli anni seguenti il fenomeno delle migrazioni dei soggetti altamente qualificati è stato al centro di ampi e importanti filoni di studio che hanno tentato di analizzarlo dal punto di vista economico, politico e sociologico (Beltrame 2007).

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Nonostante l'eterogeneità e le differenze epistemologiche che hanno caratterizzato questo campo di studi, a partire dagli anni settanta si possono rintracciare due macroapprocci egemoni, i quali sono stati definiti in anni recenti come standard view (Beltrame 2007) o come neo-classical approach (Cairns et al. 2017). Si tratta da un lato delle teorie legate al concetto di capitale umano (Becker 1964; Schultz 1971), dall'altro delle teorie marxiste legate al rapporto tra centro e periferia (Commander et al. 2003).

Il primo approccio, quello che sembra aver resistito con più forza nel determinare l'evoluzione degli studi sociologici sulle migrazioni di soggetti altamente qualificati, è parte sostanziale delle teorie che dagli anni sessanta in avanti sostenevano la nascita di quella che è stata definita come Società della Conoscenza (Sennet 1998; Drucker 1994; Castells 2002). All'interno di un contesto in cui le forme di produzione industriale tipiche del modello fordista si andavano trasformando, con l'emersione di nuove forme di organizzazione della produzione, di flessibilizzazione diffusa e generalizzata dei rapporti di lavoro e della centralità assunta dal settore terziario e dalla produzione immateriale (Hardt, Negri 2010; Fumagalli, Bologna 1997; Gorz 1998; Lazzarato 1997), le teorie del capitale umano definiscono ogni singolo soggetto come un individuo che acquisisce nel tempo il proprio bagaglio di competenze formative, relazionali ed esperienziali, le quali saranno il suo personale valore aggiunto da spendere nell'arena competitiva del mercato globale (Dardot, Laval 2013; Boltanski, Chiapello 2014). Conseguentemente, secondo gli studiosi che si riferiscono a questo approccio, le migrazioni di soggetti altamente qualificati sarebbero il risultato di scelte autonome, razionali e ottimizzanti degli individui che si muovono verso luoghi in cui il proprio capitale umano possa essere maggiormente valorizzato dal punto di vista della produttività (Beltrame 2007; Brandi 2001; Grubel, Scott 1966).

Il secondo approccio, come accennato in precedenza, è legato ad una lettura marxista della relazione centro- periferia, la quale definisce il centro come l'insieme dei paesi sviluppati e la periferia come i paesi in via di sviluppo appartenenti a quelli che sono stati definiti come terzo o quarto mondo (Sauvy 1952). Secondo questa teoria, i flussi migratori dei soggetti altamente qualificati avrebbero una direzione univoca dalla periferia verso il centro, con la conseguenza di espropriare gli stati periferici del valore aggiunto che i soggetti che si sono formati e hanno ottenuto un alto grado di competenze all'interno degli stessi potrebbero portare alle economie dei paesi di origine (Commander et al. 2003; Doquier, Rapoport 2005; Bhagwati, Hamada 1974; Hamada, Bhagwati 1975).

Tuttavia i due approcci proposti non sono antitetici ma, anzi, si completano fornendo una lettura coerente dei fenomeni migratori dei soggetti altamente qualificati:

"Il risultato è quella che chiamiamo standard view: le migrazioni qualificate si compongono di movimenti unidirezionali da paesi in via di sviluppo a paesi sviluppati, causate da scelte autonome degli individui che cercano di ottimizzare il rendimento della loro istruzione, detratti i costi del trasferimento in un altro paese." (Beltrame 2007, p. 11)

Seppur queste impostazioni teoriche mantengano il proprio riconoscimento all'interno del contesto degli studi sui processi migratori contemporanei (Brandi 2001; Cairns et al. 2017), a partire dagli anni Novanta

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l'osservazione empirica di movimenti di rientro, di scambio di personale altamente qualificato e di nuove direttrici migratorie che vedevano un nuovo polo di attrazione nei paesi emergenti del Golfo Persico e del Sud-Est asiatico hanno messo in discussione alcuni degli assunti con cui si era sostanziato questo filone di studi (Boulier 1999; Rudolph, Hillmann 1997; Boussaid 1998; Brandi 2001). Innanzitutto, le teorie legate al concetto del capitale umano sono state criticate rispetto alla presunta autonomia soggettiva con cui si tentava di raccontare la scelta migratoria degli individui: alcuni studiosi affermavano che le dinamiche migratorie in questione erano determinate in modo radicale da differenti istituzioni politiche ed economiche, tra le quali gli stati, gli organismi sovranazionali, globali e di area17, nonché le multinazionali (Iredale 2001; Meyer 2001). In secondo luogo, sono state le dinamiche legate all'imporsi dei processi di globalizzazione e allo sfumare della dicotomia centro-periferia a determinare dei limiti alla lettura classica delle migrazioni qualificate: non è più individuabile una direttrice chiara e definita dei flussi migratori in analisi, ma, differentemente, questi si presentano come "policentrici, circolatori, temporanei e soggetti a fenomeni di scambio tra i paesi" (Beltrame 2007, p. 9). L'insieme di queste teorizzazioni strutturano un nuovo paradigma nella lettura di questi fenomeni definito come approccio circolazionista (Gaillard, Gaillard 1997; Johnson, Regets 1998). Nonostante l'evoluzione dello studio dei fenomeni in oggetto abbia modificato lo sguardo stato-centrico che sostanziava l'idea della standard review con una attitudine cosmopolita e sovranazionale legata alle teorie circolazioniste, le due ipotesi teoriche non paiono essere antitetiche ma bensì complementari (Beltrame 2008).

Nell'economia del presente percorso di ricerca è dunque importante sottolineare almeno due livelli di problematicità che l'insieme di queste letture presentano rispetto alla attuale fase storica, politica ed economica. Innanzitutto è l'assunto che vede nella competitività il motore della crescita economica tra diverse istituzioni economiche e anche il presupposto a partire dal quale anche le condizioni materiali degli individui miglioreranno ad essere esposto ad una critica radicale. Le teorie del capitale umano, che rimangono dominanti anche nell'evoluzione teorica che presentano l'insieme degli approcci analizzati, assumono come il mercato e le relazioni sociali che questo istruisce siano elementi scontati, auto-evidenti, che non necessitano di essere sostanziati anche dal punto di vista empirico. In secondo luogo, nel contesto di quella che abbiamo definito come economia della conoscenza, il lavoro dei soggetti altamente qualificati non appare più essere come un'eccezione nella complessità con cui oggi si struttura il mercato del lavoro globale: le condizioni di precarietà, di svalutazione materiale e di gerarchizzazione intersezionale che intervengono anche nelle biografie dei knowledge workers costringe chi vuole concentrarsi nello studio dei processi migratori che li vede coinvolti a problematizzare e ad aggiornare le letture sociologiche in questo ambito (Davis 1983; Fumagalli, Bologna 1997; Armano, Murgia 2012).

Alcuni studiosi hanno recentemente proposto di definire le dinamiche migratorie di questi soggetti come "mobilità riflessiva" o come "spatial reflexivity" (Cairns et al. 2017; Krings et al. 2013). Queste teorie nascono da una critica alle forme entro cui questi fenomeni sono studiati in ambito economico e sociologico.

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L'idea di fondo è che per strutturare delle ricerche teoriche ed empiriche che sappiano cogliere i significati profondi di questi processi sociali non sia sufficiente analizzare la produttività che queste dinamiche migratorie producono negli stati o nelle aree di riferimento (ad esempio la UE) ma che, differentemente, l'attenzione dovrebbe essere rivolta maggiormente a cosa accade alle soggettività durante le esperienze di mobilità. Ad essere contestata con più forza è quella che abbiamo definito come teoria del capitale umano, la quale si struttura a partire dal fatto che all'interno dell'economia globale neoliberista i soggetti devono mettere in campo delle scelte esistenziali e professionali utili a incrementare il proprio livello di "employability" (impiegabilità)18. Secondo la lente proposta dai teorici della mobilità riflessiva invece, nel contesto di carenza e di destrutturazione del mercato della ricerca europeo conseguente alla crisi economica, la mobilità dei ricercatori scientifici sarebbe determinata dalla possibilità di trovare un posto di lavoro nell'ambito in cui hanno scelto di strutturare il proprio progetto di vita più che dalla necessità di migliorare il proprio livello di impiegabilità (Cairns et al 2017). Questi fenomeni sembrano essere prodotti e sostanziati da quelle che sono state definite come "logiche di opportunità" (Cairns 2014): non solo i soggetti scelgono sulla base di un calcolo costi-benefici legato al presente, ma le scelte di mobilità sono determinate innanzitutto dall'analisi di come queste possano presentare possibilità future di nuove relazioni professionali, in quei luoghi o in territori differenti. In questo senso, è la stessa "logica di opportunità" entro cui si producono le scelte esistenziali e professionali del precariato universitario a rendere questi soggetti ancor più vulnerabili: se una persona decide di spostarsi all'estero per lavorare nell'ambito della ricerca con l'idea di provare a costruire ulteriori possibilità di lavoro future, durante questa esperienza si ritroverà nella condizione di accettare forme di sfruttamento radicale per non minare il progetto di vita messo in campo. Il fatto che queste forme migratorie siano temporanee e circolatorie rende la riflessività un elemento strutturante e costante nelle scelte performate potenzialmente durante l'intera biografia di questi soggetti (Cairns et al. 2017).

Nel concludere questa ricostruzione teorica è possibile dunque affermare che l'implementazione del paradigma della valutazione e l'imporsi di quella che abbiamo definito come università neoliberale ha assunto una duplice funzione: una funzione esogena in relazione alle necessità produttive del capitalismo cognitivo e alle funzioni di controllo sociale necessarie alla riproduzione di relazioni sociali strutturate sulla base delle leggi dell'economia di mercato; una funzione endogena legata alla ristrutturazione delle forme organizzative, delle pratiche e degli obbiettivi delle accademie in relazione alla necessità di strutturare nelle soggettività che attraversano in varie forme questo ambito produttivo quella nuova antropologia neoliberale che abbiamo iniziato ad analizzare nelle pagine precedenti.

Nel proseguire l'elaborazione teorica del presente lavoro di ricerca, nel prossimo paragrafo ricostruiremo le trasformazioni giuridiche e organizzative che hanno attraversato il sistema universitario italiano.

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L'idea dell'employability si riferisce alle teorie del long-life learning e alla competizione come paradigma entro cui i soggetti devono strutturare le proprie scelte e le proprie relazioni sociali.

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