• Non ci sono risultati.

3.2. La passione per la ricerca e la missione dell'università

3.2.1. La trappola della passione

In generale, praticare il lavoro di ricerca all'interno dell'università contemporanea prevede una molteplicità di mansioni che si articolano comunemente nella quotidianità del processo lavorativo (Thompson 2002; Clarke, Knights 2015). É infatti vero che per i ricercatori intervistati è risultato complesso definire in termini chiari e puntuali come si suddivida la loro giornata lavorativa e quali pratiche quotidiane questi sviluppino in relazione alla propria posizione professionale. Se per alcuni essere un ricercatore o una ricercatrice significa studiare, scrivere, accedere ai diversi campi di ricerca e concentrarsi unicamente sulla propria produzione scientifica, per altri essere un ricercatore si lega anche alle pratiche di insegnamento e alla didattica. Per tutti, tuttavia, svolgere attività di ricerca all'interno dell'università neoliberale prevede il dover adempiere anche a tutta una serie di procedimenti burocratici e amministrativi che risultano particolarmente rilevanti in quei rapporti professionali che si articolano a partire da progetti di ricerca finanziati da enti esterni all'istituzione a cui afferisce il singolo ricercatore. Dalle parole degli intervistati, queste dimensioni si intrecciano e si

137

moltiplicano vicendevolmente soprattutto nel campo delle scienze umane e sociali, in cui le pratiche di ricerca e i differenti approcci metodologici ed epistemologici complessificano le forme e i modi con cui può essere oggi sviluppata una specifica ricerca.

"Il lavoro di ricerca, ora e soprattutto in Italia, è un lavoro di ricerca multidimensionale. Allora, che viene condotto all'interno di una polarità: da una parte tu cerchi di fare quello che ti interessa, cerchi di pubblicare le cose che ti interessano, di fare delle ricerche o comunque di studiare le cose che ti interessano; dall'altra parte tu fai tutta una serie di cose che hanno molto poco a che fare con il lavoro di ricerca ma paradossalmente è il lavoro fondamentale, perché poi tu possa avere una continuità e una presenza dentro all'università, per poter poi eventualmente avere una posizione che ti permette di posizionarti come ricercatore. Cosa vuol dire questa cosa qua? Vuol dire che fare ricerca significa destreggiarti tra una passione, dei desideri molto forti verso appunto lo studio, la comprensione, anche se vuoi la produzione di saperi che sappiano impattare in modo critico nella sfera pubblica, e dall'altra parte però invece una dinamica di forte auto-sfruttamento che, come dire, che è fare tutta una serie di lavori di carattere amministrativo, organizzativo, che paradossalmente, ed è quella la cosa assurda, che paradossalmente ti permettono di avere una posizione centrale dentro al tuo dipartimento e al tuo gruppo di ricerca." (Intervista a GIUSEPPE)

Se questa dimensione del dover sviluppare tutta una serie di adempimenti burocratici e amministrativi è definita da molti come un aspetto del lavoro accademico particolarmente stressante e che sottrae energie e tempo alle pratiche di ricerca, nelle narrazioni fornite dai soggetti intervistati questo aspetto assume un significato sottodimensionato rispetto all'amore e alla passione per quelle pratiche lavorative che mettono al centro lo studio e la costruzione di reti e network a partire da cui si sviluppano i processi di ricerca.

Innanzitutto, infatti, in molti definiscono la passione per il proprio lavoro a partire da una propensione, un’attitudine o un desiderio di continuare a conoscere, a scoprire, a imparare. Questo amore per lo studio viene evocato dai ricercatori precari come l'elemento che più li convince a resistere in questo mercato del lavoro particolarmente frammentato e con poche possibilità di stabilizzazione.

"Beh, innanzitutto per me vuol dire fare una cosa che mi piace moltissimo. Cioè, a me piace studiare, mi piace fare campo, mi piace fare le interviste, cioè avere proprio anche un contatto con l'oggetto che studi, diretto, non mediato. Quindi questa dimensione qui è la cosa che mi piace di più del mio lavoro, il fatto di poter continuare sia ad approfondire attraverso quello che altri ricercano e studiano, e sia attraverso proprio la ricerca diretta. Questa è la dimensione che mi piace di più." (Intervista a SILVIA)

"Significa da una parte comunque sentirsi di fare un qualcosa ... senza, premetto senza senso di superiorità con nessuno ne niente. Però ti senti di essere una persona che beh, da una parte fortunata, però comunque una persona che fa da una parte un lavoro sicuramente stimolante, che per certi versi da una marcia in più, ti consente di continuare a studiare continuamente, a leggere, a capire, a cercare, ad avere contatti con le persone, a girare. É fortunato insomma un ricercatore, nonostante tutto da quel punto di vista. É un lavoro bellissimo fare ricerca, e che ti dà delle soddisfazioni enormi, nonostante tutte le problematiche." (Intervista a DARIO)

Nonostante questa passione per lo studio sia un elemento che ricorre sostanzialmente in tutte le interviste come valore aggiunto di questa specifica professione, da questo punto di vista viene sottolineato da molti soggetti come la condizione di precarietà e le dinamiche legate allo sviluppo degli aspetti burocratici e amministrativi legati alla progettazione - nonché la progettazione stessa - siano tutti processi che non

138

permettono di avere del tempo da dedicare all'approfondimento. Questa dinamica viene assunta come problematica dai soggetti, i quali denunciano questa come una delle dimensioni più ambivalenti delle forme organizzative del lavoro di ricerca nell'università neoliberale.

"In tutto questo, la cosa che mi duole dire, è che nella mia esperienza, il ricercatore non studia. Cioè fondamentalmente non ha mai tempo o modo di studiare, e questo è un peccato pazzesco. Cioè, no so come dire, io non ho mai avuto una fase in cui dicevo:"Ecco, adesso sui grandi classici mi costruisco una base di competenze che io non ho". Ed è una roba che mi fa sentire fragilissimo, dal punto di vista scientifico. Grandi classici, ma ho anche tantissimi buchi, di … proprio di studio no? E questo è un po' … appunto, questo penso che non sia del tutto rappresentativo ma nel mio caso certamente è andata così." (Intervista a MATTIA)

Un secondo punto di vista espresso in molte interviste in relazione all'amore per la ricerca si riferisce al lavoro comune e alle necessità di scambio e relazione con altri ricercatori e ricercatrici nella costruzione di un sapere condiviso. Anche da questo punto di vista, il tema del networking, più che mostrarsi come una strategia specifica in termini di carriera, viene rappresentato dai ricercatori e dalle ricercatrici intervistate come un valore aggiunto per quanto riguarda la crescita e la soddisfazione personale e professionale. Lo scambio, la condivisione, e la costruzione di ricerche con diversi soggetti viene percepito come un elemento che costringe di per sé a mettersi in discussione continuamente e che, di conseguenza, permette di produrre saperi innovativi capaci sia di incidere nella società, sia di trasformare il loro sguardo soggettivo sul mondo che li circonda.

"Come dire, mi ha dato tanto, mi da tanto il mio lavoro, per quello che ti dico che lo amo. Non è solo la mera ricerca che posso fare anche da sola o con i miei colleghi, è tutto quello che ruota attorno, il condividere. Io ritengo che il nostro lavoro è uno dei più belli, perché ogni anno mi confronto con gente nuova, con giovani, con nuove generazioni. Cioè, è stimolante, ti costringono a mantenere la testa allenata. E non è noioso, ogni giorno cambia, non lo sento noioso per niente." (Intervista a CARLA) "Mah, allora, è qualcosa che mi piace, prima di tutto. E quindi l'idea, l'immaginario, cioè stando fuori dai limiti materiali del ruolo che in Italia questo ha, per cui in termini più generali, anche simbolici, mi piace anche l'idea della curiosità associata a questo ruolo della messa in discussione costante, dei piccoli raggiungimenti che si possono avere. Diciamo che è questa dimensione qua della non finitezza di un ruolo, che è qualcosa che non ha confini chiari e che appunto è costituente del ruolo l'interrogarsi, il cercare, il confrontarsi. Lo sforzo che richiede di non rimanere chiuse ma di comunque aprirsi. Questa dimensione qua la trovo bella e interessante, molto faticosa quando poi invece la confronti con i limiti materiali del ruolo." (Intervista a ELISA)

Un ultimo tema che emerge dall'analisi trasversale delle interviste rispetto alla passione che i ricercatori rivolgono al proprio mestiere è quello legato alla didattica e all'insegnamento. In termini generali, nei dibattiti pubblici che ruotano intorno al mondo dell'università e della ricerca questa sembra essere una questione marginale, che tuttavia viene rappresentata nei racconti degli intervistati come particolarmente rilevante rispetto alle priorità che il sistema universitario dovrebbe essere in grado di strutturare. La didattica, infatti, nel sistema organizzativo italiano è una mansione che può essere sviluppata o da personale strutturato, o, in alternativa, da quei soggetti che firmano un contratto di collaborazione con un'università per

139

gestire uno specifico corso di insegnamento. Da questo punto di vista i post-doc o gli assegnisti di ricerca non hanno la possibilità, dal punto di vista contrattuale e formale, di assumere la nomina per sviluppare questi corsi. In molte situazioni, tuttavia, i soggetti riportano come tra le loro attività sia di fatto presente anche questa mansione, la quale tuttavia non può essere riportata formalmente tra le esperienze professionali sviluppate. La sostituzione del proprio professore di riferimento in un intero corso di studi o solo per alcune lezioni sembra essere una pratica che la maggior parte dei soggetti ha vissuto nel proprio percorso. Importante sottolineare come, da questo punto di vista, la didattica e l'insegnamento non siano considerati dal sistema valutativo delle performance del singolo ricercatore come un elemento rilevante per determinare la qualità di un determinato lavoratore della ricerca. É qui che, dalle parole degli intervistati, è possibile assumere come per questi il tema dell'insegnamento sia per loro di rilevante importanza, e come in questa pratica questi soggetti ritrovino il senso del proprio lavoro dal punto di vista identitario.

"Quello che ti spinge a, o che mi ha spinto, ma che spinge il precario a continuare a fare questo mestiere, è che proprio ti piace e una delle cose che ti piace, oltre a fare ricerca, o che mi piace oltre a fare ricerca, è tantissimo insegnare. Cioè, io dico sempre che io ho capito come fai a superare tutti questi anni di precariato e continuare a dire "io voglio continuare a lavorare all'università", qual è la cosa che mi ha fatto dire "io voglio continuare a stare qua e non voglio mandare curriculum da nessuna parte". Che io entro in classe, o quando entro in classe, la prima volta che sono entrata in classe ho pensato "questo è il mio posto nel mondo". Una sensazione di "questo è il mio posto nel mondo", cioè dove mi sento bene, in una classe." (Intervista a GIOVANNA)

"E spero sinceramente di farlo in condizioni finalmente ... o meglio, di poterlo fare pienamente, perché il discorso che facevo prima, per esempio, della didattica. A me è sempre piaciuto, l'ho fatta e a me tendenzialmente è sempre piaciuto. Ho sempre avuto un fantastico rapporto con i ragazzi. Ma non perché sono un professore tra virgolette buono. Però io avevo fatto a un certo punto un corso ed ero pieno di tesi, e qui dove sono ogni tanto me lo vengono a chiedere "professore, posso fare la tesi con lei?". Io dico "no, non posso, non ho neanche un corso."" (Intervista a DARIO)

"E poi questa esperienza di insegnamento che mi ha fatto capire, forse per la prima volta, che a me in realtà il lavoro universitario, proprio anche l'insegnamento mi piaceva. Quello fu un momento importante. La prima volta che entrai in classe me lo ricordo come se fosse ora, perché lì capii che questo poteva diventare un lavoro." (Intervista a ELEONORA)

Se, dunque, fino a qui abbiamo tentato di comprendere quali siano le specifiche mansioni e le specifiche circostanze del lavoro quotidiano nel mondo della ricerca a essere vissuti con passione e amore dai soggetti intervistati, nelle prossime pagine analizzeremo in termini più generali come anche il ruolo dei saperi prodotti nel campo delle scienze umane e sociali contribuisca a rappresentare una questione che genera passione e riconoscimento identitario nei ricercatori e nelle ricercatrici precarie italiane.