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Diseguaglianze di genere e genitorialità in accademia

3.3. Le relazioni sociali nell'accademia neoliberale

3.3.3. Diseguaglianze di genere e genitorialità in accademia

L'insieme delle dinamiche che intervengono nell'esperienza lavorativa dei ricercatori precari che abbiamo fino a qui analizzato agiscono in modi differenziati in chi vuole sviluppare un percorso lavorativo all'interno dell'università contemporanea. Da questo punto di vista la precarietà radicale, l'imperativo della performance e i processi di domestication intervengono in modi specifici a seconda di diversi fattori che ogni persona incorpora. In questo senso, il genere si presenta come una delle dimensioni che più influiscono nel determinare questa differenziazione (Archer 2008; Falcinelli, Guglielmi 2014; Coin, Giorgi, Murgia 2017). In letteratura, una delle concettualizzazioni che ha avuto maggior influenza nell'analisi delle differenze di genere in accademia è quella proposta da Alper (1993), che attraverso la metafora della “leaky pipeline” descrive un processo che, in estrema sintesi, dimostra come il numero di donne che proseguono il proprio lavoro all'interno dell'università sia maggiore di quello degli uomini i quali, tuttavia, sono più rappresentati nelle posizioni apicali delle organizzazioni accademiche (Alper 1993). Rapportando questa proposta teorica alle trasformazioni incorse nei sistemi universitari globali in tempi recenti, potremmo affermare che dentro la dimensione di incertezza su cui si strutturano le carriere accademiche contemporanee, questi fenomeni hanno

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assunto una rilevanza ancora maggiore nel determinare asimmetrie e disuguaglianze di genere seguendo una logica di svantaggi cumulativi, non solo rispetto a scenari professionali futuri ma anche nella quotidianità del lavoro di ricerca (Coin, Giorgi, Murgia 2017). I processi e le dinamiche che intervengono in questo senso sono molteplici e dal materiale empirico raccolto emergono con una certa profondità e limpidezza.

Interessante da questo punto di vista condividere il dato che, di fronte a una domanda specifica che avevo inserito nella traccia di intervista per interrogare i soggetti rispetto a quanto avesse inciso il proprio essere uomo o donna all'interno dell'accademia, il 100% dei ricercatori uomini ha risposto che non ha influito, mentre il 100% delle ricercatrici donne ha risposto il contrario. In alcuni casi alcuni soggetti di sesso maschile hanno sottolineato come forse questa percezione fosse causata proprio dalla loro appartenenza di genere, senza tuttavia approfondire o mettere in discussione il fatto che nel loro specifico caso questa dimensione non abbia influito. Questo fatto si presenta già come una prima evidenza di come l'università contemporanea riproduca processi di differenziazione e gerarchizzazione a partire da quella che è stata definita come linea del genere (Pompili, Amendola 2018). Oltre a questa informazione che ho potuto verificare nel corso dell'analisi delle interviste, è proprio un'intervistata a confermare come per lei sia complesso confrontarsi su questi temi con colleghi o amici di sesso maschile.

"Ho fatto una fatica immensa da sempre a discutere della non neutralità della dimensione di genere all'interno dell'accademia con i miei colleghi o amici maschi. Cioè, questo è un tema. Nel senso, anche dove tutte le volte che si è provato a problematizzare la questione, sia in termini di presenza di donne nei luoghi dell'accademia, sia in termini di presenza sbilanciata rispetto agli invitati o alle invitate nei seminari. Sia rispetto a quanto è gendered un tema di ricerca, una tradizione di ricerca, questo con i miei colleghi maschi è un tema difficilissimo da affrontare. Anche quelli che hanno una visione critica della realtà, che magari su altri assi di potere riescono a vedere le contraddizioni eccetera, su questo molta fatica, molta molta fatica." (Intervista a ELISA)

Se tutte le donne assumono come la questione di genere incida nelle relazioni sociali all'interno dell'accademia a tutti i livelli, a volte le stesse raccontano di come non abbiano avuto la percezione che questa abbia agito in una qualche forma nel loro specifico percorso professionale. In questo senso, le ricercatrici elaborano questa dimensione della loro esperienza a partire da una scelta strategica preventiva che hanno messo in campo fin dal loro ingresso nel mercato del lavoro accademico, momento in cui hanno scelto di costituire relazioni privilegiate solo con docenti o professoresse donne. Queste specifiche relazioni, se da un lato le hanno tutelate da tutta una serie di pratiche illegittime orientate sessualmente, dall'altro dimostrano come le riflessioni e le strategie che le lavoratrici mettono in campo nel rapportarsi ai mercati del lavoro contemporanei debbano tenere in conto la possibilità di doversi confrontare con dinamiche che raccontano una strutturale asimmetria rispetto a richieste lavorative e extralavorative e forme di riconoscimento che per i loro colleghi uomini non sono presenti.

"Guarda, fortunatamente non ha influito perché ho collaborato sempre prevalentemente con donne eterosessuali. Diciamo, ha influito solo nell'aspetto competitivo che comunque c'è tra ... cioè, come tra uomini tra donne. Non ho avuto nessun vantaggio per l'essere donna. Anzi, assolutamente no. Sarà perché

159 ho lavorato sempre con donne, anzi sono molto contenta perché poi si sanno purtroppo gli stereotipi delle donne che fanno carriera lavorando con uomini, ma nel mio caso non è stato così perché ho lavorato con donne." (Intervista a CARLA)

"Penso che abbia continuato a contare. Abbia continuato a contare, seppur abbia avuto delle alleanze molto forti con donne in accademia che mi hanno aiutato molto a capire anche quali strategie adottare. E questo è stato molto importante, nel senso che in entrambi i casi le mie supervisor sono state donne, molto in gamba e competenti, e che mi hanno anche insegnato delle cose importanti. Così come il confronto con altre ragazze che più o meno hanno la mia età, in termini di percorso accademico. Confrontarci tra di noi negli episodi di sessismo, provare a capire insieme quali strategie mettere in campo è una questione, tuttora è una questione in corso. So che in alcuni contesti partecipare a un concorso ed essere una donna o un uomo fa la differenza, perché ho sentito raccontare anche di storie. E quindi è una questione sicuramente rilevante, centrale, determinante e assolutamente non percepita spesso. É difficile costruire un discorso collettivo su questa cosa qua." (Intervista a ELISA)

Da questo punto di vista, anche un ricercatore uomo insiste sulla differente forma che la relazione con il proprio professore di riferimento si instaura a partire dal sesso biologico di quest'ultimo, evidenziando una differente postura che nella sua percezione caratterizza la generalità delle relazioni di potere in accademia.

"Io mi sono sempre trovato bene con professoresse donne, perché con il professore uomo nasce il conflitto. Tu prova a dire una cosa più intelligente di quella del professore. Con un professore, un tutor maschio. Io con tutte le donne con cui ho avuto a che fare questa cosa è fattibilissima. E io avevo come tutor una luminare della mia disciplina. Se gli dicevo "professoressa, non sono d'accordo su questa cosa, secondo me non è così per questo e quest'altro motivo", ci pensava, mi chiamava al telefono dopo tre giorni e ti diceva "forse hai ragione". E io credo che questo succede solo con professoresse donne e non con professori uomini. Perché poi, almeno per me, io non ce l'ho il conflitto di pene ecco." (Intervista a FABIO)

In letteratura, uno degli elementi che contribuisce a rendere la carriera delle donne in accademia maggiormente vulnerabile rispetto a quella degli uomini è stato individuato nella maternità, reale o desiderata, condizione che prevede una pausa o un rallentamento della produttività accademica, generando un deficit competitivo delle ricercatrici rispetto ai loro colleghi uomini. Inoltre, in una logica organizzativa segnata dalla totale dedizione, questa scelta può essere interpretata in termini di tradimento o come una affermazione di priorità differenti (Coin, Giorgi, Murgia 2017; Fuchs, Stebut, Allmendinger 2001; Lind 2008; Gaio Santos, Cabral-Cardoso 2008). Le interviste confermano questa proposta teorica a partire dal fatto che solo le ricercatrici donne hanno riflettuto su questi temi restituendoli in molti casi in relazione alle proprie strategie per proseguire il percorso professionale all'interno dell'accademia. In questo senso, in tutte le interviste rivolte a donne è stato evocato il tema della maternità, sia nei casi in cui le lavoratrici fossero già madri sia nei casi in cui questa questione fosse posta come elemento di riflessione rispetto al futuro.

"Ha inciso il mio essere madre, più che il mio essere donna. Nel senso che prima della maternità essere donna o uomo no. É l'essere madre ha cambiato tutto, perché ovviamente tutte le energie e il tempo che tu dedichi al tuo lavoro diminuiscono notevolmente. Se fatturi la competizione forte che c'è in campi come il nostro, che è quello accademico, beh quello si, ti limita." (Intervista a SIMONA)

160 "Cioè è una questione che si pone perché oggettivamente l'età in cui tendenzialmente fai un figlio è corrispondente esattamente all'età in cui ci troviamo in questa empasse post dottorale. Quindi è una scelta forte, cioè è una scelta coraggiosa. Io conosco tante mie amiche che l'hanno fatta e che, come dire, poi sono andate avanti. Io al momento, per esempio, questa cosa qua non l'ho fatta. Ed è una cosa che nella vita vorrei fare, cioè non è una cosa che escludo. Né che ci tengo tantissimo, ma che neanche escludo. Mi seccherebbe molto, come dire, doverci rinunciare per la carriera. Cioè questo mi darebbe fastidio, cioè trovarmi in un conflitto tra pubblico e privato, o lavoro e lavoro materno. Questo mi seccherebbe molto viverlo nella mia pelle. Assolutamente si. Questo assolutamente si." (Intervista a ELEONORA)

"E poi c'è un aspetto che a me non tocca particolarmente perché in questo momento della vita non sento particolarmente il desiderio di fare dei figli. Però, per esempio, la professoressa con cui lavoro, sempre nel sottile crinale della battuta, parlava di una precedente assegnista e diceva: "comunque io non capisco perché questa ha voluto fare un figlio adesso, tutto sommato è ancora giovane, poi ti fermi perché non hai più tempo di fare niente". E io dicevo "ok, ho ricevuto questo messaggio". E ora, appunto, a me non tocca particolarmente, però è un segnale del fatto che comunque questo tipo di discorso io credo venga fatto essenzialmente soltanto alle femmine e non ai maschi. Quindi si, c'è una dimensione di genere che un po' pesa." (Intervista a CRISTINA)

Un altro elemento che emerge si lega alle differenti mansioni che vengono richieste a uomini e donne all'interno della quotidianità lavorativa. Anche da questo punto di vista sono soltanto le donne a sottolineare il fatto che vengono richieste performance e attività differenti dal punto di vista del genere del singolo lavoratore o della singola lavoratrice. Diversi studi hanno dimostrato come questa sia una dimensione diffusa e presente, con gradi differenti, in tutti i sistemi universitari globali (Bocchiaro, Boca 2002; Palomba 2008). Le ricercatrici affermano come a loro sono richieste particolari competenze, come per esempio quella di avere una determinata postura accogliente nelle relazioni tra personale accademico, oppure quella che in letteratura è definita “housework of academia”63 (Brabazon 2014), cosa che non accade ai loro colleghi uomini. Importante sottolineare come queste competenze abbiano nei sistemi valutativi globali una incisività minore, generando uno svantaggio strutturale di genere all'interno della competizione nel mercato globale della ricerca.

"Mah, allora, per certi versi, nel nostro ambito disciplinare nessuno mai direbbe che ci sono problemi di genere, perché comunque ovviamente chi fa il nostro lavoro su questo sembra sempre molto aperto e così via. In realtà il discorso del soffitto di cristallo c'è ed è anche abbastanza forte, quantomeno nel mio ambito specifico, così come in altri ambiti. Non è dappertutto così. Chiaramente quando si è in una situazione di subalternità, con un capo maschio, questo diciamo accentua tutta una serie di aspetti. Cioè, la tendenza a, come dire, fare la parte della segretaria con qualche neurone da utilizzare secondo me è abbastanza forte." (Intervista a VERONICA)

"C'è anche un altro aspetto, che nel corso del tempo mi sono accorta che venivano richieste cose diverse a me e a dei miei colleghi maschi. Non in termini di prestazione intellettuale, questo no e c'è anche sempre stata una certa dose di stima e di riconoscimento totalmente indipendente dal mio essere donna. Cioè in questo senso non è stato svantaggioso. Ma di tutto quel contorno di lavoro/non-lavoro, di relazione, che nell'accademia conta molto, mi sono resa conto quando poi mi confrontavo con pari maschili anche nelle relazioni con le stesse persone, che a me veniva richiesta più cura. Anche gestire appunto una serie di di relazioni fatte di attenzione, fare delle cose insieme, cioè costruire dei legami più amicali che non

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Con questa definizione si intende la gestione delle pratiche amministrative e burocratiche che richiedono un investimento rilevante nella strutturazione del lavoro di ricerca contemporaneo.

161 professionali, che ai maschi invece non veniva tantissimo richiesto, non veniva proposto." (Intervista a CRISTINA)

"Poi chiaramente ci sono una serie di meccanismi, ti faccio un esempio molto banale. Per esempio quando c'è un gruppo di ricerca e si organizza un convegno spesso le donne vengono inserite nel comitato organizzativo e gli uomini in quello scientifico, che come sai hanno un prestigio un po' diverso. Questi possono essere i meccanismi discriminatori che ho rilevato da alcune testimonianze durante il mio percorso." (Intervista a SILVIA)

Un'altra questione che emerge esclusivamente nelle interviste rivolte alle donne si riferisce a un certo senso di inadeguatezza che queste esprimono rispetto alla posizione raggiunta in accademia. Da questo punto di vista, in letteratura alcune autrici sostengono che l'accademia mantiene a tutt'oggi un modello organizzativo maschile in cui le capacità delle donne vengono sistematicamente sminuite (Bocchiaro, Boca 2002; Palomba 2008). Questa dimensione, sembra essere stata introiettata da alcune ricercatrici, le quali tuttavia riconoscono che questa autopercezione sia indotta proprio dalla forma organizzativa della propria struttura di appartenenza.

"Va beh, allora, ci sarebbe poi tutto un discorso secondo me che possiamo aprire anche dopo, se ti va, della dimensione di genere in tutta questa dinamica. Che noi, potrei dire, noi perché mi confronto con tante colleghe insomma, c'abbiamo un po' questa idea che è un miracolo che abbiamo vinto un dottorato, è incredibile che abbiamo vinto un dottorato, che abbiamo vinto un post-doc. Come se non meritassimo assolutamente nulla, no? E quindi, tutto questo per dire che io non mi aspettavo che questa cosa continuasse nelle forme che poi ha preso. Mantengo, possiamo dire, un po' la paura della fine. Cioè nel senso che nonostante la stratificazione esperienziale, perché comunque ne ho fatte diverse di esperienze, ogni volta mi sembra un po' la prima volta. Cioè come se quello che avevi studiato non è abbastanza e come se avessi tanto ancora da imparare." (Intervista a ELEONORA)

"Allora, parrebbe che alle donne non sia concesso dire questa cosa, però io ritengo che sia nel mio diritto vedere riconosciuti i risultati del mio lavoro, si. E non capisco perché, come l'altro giorno, se entrano nel mio studio due colleghi, si mettono a parlare di soldi, di stipendi e di soldi, loro lo possono fare. Sono due colleghi del mio livello, diciamo così, con cui io sono anche molto amica, cioè insomma sono in confidenza eccetera. Non capisco perché per loro sia perfettamente normale, sia ritenuto perfettamente normale parlare di soldi, di ambizioni di stipendio diciamo, mentre per me, in quanto donna questa cosa sembrerebbe, o sembra, di solito strana. [...]. Mah, è che semplicemente non lo fai. Semplicemente sei tenuta a non farlo, ma ne abbiamo discusso con dei colleghi anche qua da poco. Qualcuno dice che ci dovrebbero essere modi diversi di fare carriera all'interno dell'università che siano più consoni rispetto alle ambizioni di ognuno. Cioè, che non ci debba essere un unico modello dominante in qualche modo, che poi è quello maschile. Però, le persone che dicono questa cosa sono in realtà sempre donne, che si auto-collocano, prima che le collochino gli altri, fuori da percorsi che siano ascensionali, in modo più o meno diretto." (Intervista a STEFANIA)

Infine, se quelli presentati sono tutti elementi discriminatori generali che le ricercatrici hanno elaborato nel corso della propria esperienza, vi sono nelle loro testimonianze la ricostruzione di eventi in cui le intervistate hanno subito forme di discriminazione diretta da parte dei loro superiori uomini. In nessun caso si tratta di episodi gravi e penalmente rilevanti, ma si tratta tuttavia di forme relazionali che esulano il rapporto lavorativo e che mostrano una concezione dei rapporti di genere che valorizza non solo le capacità professionali delle ricercatrici, ma anche la loro corporeità, dimensione che non interviene nelle relazioni tra uomini o tra donne in una posizione gerarchicamente superiore rispetto ai loro sottoposti uomini.

162 "Poi si, ci sono state piccole ... sai, boh, queste piccole ... come si dice, piccole storielle in dipartimento, per cui magari ricevi un complimento che non si riferisce alla tua ricerca o alla tua professione da parte di un docente, però ti parlo di uno, due episodi nell'arco quasi di quattro anni. Poi se ti devo la verità, ripeto, io comunque il mio dipartimento lo vedevo comunque come molto chiuso, molto in cui c'erano delle dinamiche che non mi appartenevano, dove c'era sicuramente poca trasparenza. E quindi, non voglio dire che c'era sessismo, perché ti ripeto, non lo so, però visto che io ho avuto questa percezione mi sono tirata fuori da tutto. Cioè, quindi, ho evitato in qualsiasi modo che episodi di discriminazione di genere potessero succedere, ecco." (Intervista a IVANA)

"L'ultima volta mi ha chiesto un numero di telefono un professore molto importante, un ordinario, è stato un po' strana come cosa. "Mi è piaciuto così tanto l'intervento, dammi il numero di telefono". Però glielo dai perché sai che è un potere forte. Io non so cosa lo spingesse, però mi stava effettivamente dietro ed è una persona che io odio, la cui ricerca odio e che odio politicamente all'interno dell'accademia. Il fatto è che però non potevi far niente." (Intervista a CINZIA)

"Ma aldilà di questo, c'è anche una dimensione in cui comunque nel corso degli anni ti vengono fatte battute, il professore che la butta lì, ci prova. Cioè questo mi pare che nell'esperienza dei maschi non sia così frequente. Poi, come dire, nulla di eclatante che non capiti in qualsiasi altro ambiente. É chiaro che forse fa un po' impressione, perché anche quando lo racconti all'esterno quello che traspare è più incredulità, perché ti dicono "ah, ma persone così colte". Ma che proprio non c'entra una cippa, cioè non c'entra niente. Però in questo si, c'è stato uno svantaggio." (Intervista a CRISTINA)

"Oppure un'altra volta un docente, che dovevo partecipare a una conferenza, e mi dice: "visto che vai a quella conferenza dove ci sono anche persone che arrivano da università molto più ricche della nostra, sbatti i tuoi occhioni azzurri e fatti dare dei finanziamenti". Gelo mio, di tutti gli altri partecipanti alla riunione, lui mi guarda, si tira una botta in testa e dice: "no, merda, l'ho detto proprio alla femminista". Secondo momento di gelo da parte di tutti. Io ero tipo al primo anno di dottorato, cioè, non sapevo cosa dire, imbarazzo. Però battute di questo tipo." (Intervista a ELISA)

In conclusione, nel presente capitolo abbiamo dunque analizzato i significati che i soggetti assegnano alla loro condizione precaria e le strategie che questi agiscono per affrontarla; la dimensione emotiva e politica che spinge i ricercatori a insistere in questo percorso professionale; come si strutturano le relazioni sociali quotidiane all'interno dei dipartimenti. Nel prossimo capitolo interrogheremo le concezioni e le interpretazioni che le soggettività al centro della presente indagine restituiscono in relazione a quelli che abbiamo definito come paradigmi organizzativi dell'università neoliberale.

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4. I paradigmi dell'università neoliberale

Quando ci si appresta a sviluppare un percorso di ricerca sociologica con un approccio metodologico qualitativo accade che il ricercatore interpreti tutti i fatti e gli eventi che si presentano nella sua esperienza situata attraverso una sorta di filtro, attraverso il quale egli riconosce quali elementi espliciti o impliciti