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Un meccanismo complesso: critiche alla pratica materiale della pubblicazione

4.2. Publish or perish L'economia politica delle pubblicazion

4.2.3. Un meccanismo complesso: critiche alla pratica materiale della pubblicazione

Per completare le riflessioni sul tema delle pubblicazioni è necessario rivolgere l'attenzione alle difficoltà che i ricercatori intervistati incontrano nella pratica del lavoro necessario per restituire sotto la forma di un elaborato scritto i risultati dei propri processi di ricerca. In questo senso, dall'analisi comparata delle interviste emerge una molteplicità di ragionamenti critici che, se da un lato si riferiscono a delle dimensioni soggettive che ogni ricercatore esprime nel corso della propria esperienza, dall'altro fanno riferimento a quei parametri materiali a cui una pubblicazione deve attenersi per essere considerata scientifica. Entrambi gli aspetti, come vedremo, contribuiscono a rendere il meccanismo delle pubblicazioni particolarmente complesso.

La questione del tempo appare come particolarmente determinante nel generare una certa difficoltà per i ricercatori precari nel riuscire a rincorrere gli standard di produttività connessi al tema della pubblicazioni. Nelle narrazioni degli intervistati questo tema emerge in modo diffuso, e diversi soggetti sottolineano come la necessità di pubblicare quanto più possibile generi una sorta di accumulo di lavoro che, tendenzialmente, non avrà mai fine. Questo fenomeno è in certi casi vissuto nei termini di una auto-colpevolizzazione implicita: non è l'eccesso di lavoro da svolgere a determinare questo accumulo, ma l'incapacità soggettiva nel sapersi organizzare.

"A volte, anche se tu pensi che siano un'infinità, sono molte meno rispetto a quelle che avrei potuto pubblicare. Perché quello che succede invece è che spesso passi da un lavoro all'altro e non riesci a concludere il tuo lavoro con una pubblicazione degna di essere pubblicata. Perché non la scrivi proprio, perché scrivi solo il report di ricerca e il report di ricerca andrebbe rimasticato per fare una pubblicazione, perché la metti lì e poi te la dimentichi. Cioè, te la dimentichi, poi la metti lì e dopo ci sono tante altre cose e quindi passa in cavalleria diciamo. Cioè, per dirti, io c'ho una parte della mia libreria che è "lavori in corso". Che sono tipo fascicoli con dentro articoli che mi sono letta per fare quella ricerca, roba anche ammezzata che ho scritto e che non ho mai pubblicato." (Intervista a GIOVANNA)

"Chiaramente avrei potuto scrivere centomila volte di più, ho in cantiere libri da parecchio tempo, chiaramente facendo un lavoro come quello accademico è molto difficile scrivere, perché da un lato non

195 hai la rete che ovviamente è fondamentale stando dentro l'accademia. Nel mio caso un po' di rete ce l'ho però non ho il tempo materiale per farlo. E scrivere come tu sai non è una cosa che tu fai "Va beh, ho cinque minuti, scrivo tre righe e poi domani ne scrivo altre cinque". Per scrivere c'è bisogno di tanto tempo e quindi è abbastanza difficile quando devi ottemperare tutti i giorni a scadenze, impegni che sono inevitabili quando ti occupi di ricerca. Devo dire che chi sta dentro l'ambito accademico ha molti impegni e responsabilità altre che lo portano altrove. " (Intervista a VERONICA)

Nell'ultimo stralcio riportato, la ricercatrice intervistata evoca insieme alla questione del tempo un'altra dimensione rilevante, riferendosi a come l'essere inseriti in reti più o meno forti determini la possibilità o meno che una data pubblicazione possa essere accolta da una rivista scientifica. Il tema del networking come elemento determinante emerge in una serie di interviste, con significati e accezioni parzialmente differenti. In primo luogo, una ricercatrice sottolinea come l'accesso a quelle riviste scientifiche considerate di fascia A dall'Anvur sia profondamente legato alle conoscenze che un determinato soggetto riesce ad avere nel comitato scientifico ed editoriale di quella specifica rivista. Quel che appare è che i rapporti di potere che abbiamo definito “baronali” incidano profondamente anche su queste dinamiche. Tuttavia, è la stessa ricercatrice a sottolineare come non necessariamente in questa dimensione si mostrino processi eticamente discutibili ma, differentemente, come questa possa dimostrare che tendenzialmente per un ricercatore più giovane che non è in possesso di reti professionali "forti" sarà più complesso pubblicare in riviste prestigiose.

"Ora, non è che tutte le riviste sono facilmente accessibili. Cioè, io ad esempio contatti con riviste di fascia A non ne ho. Credo che ci siano anche delle relazioni che pesano su questo. Però, non posso dirti "è così", però chiaramente per un giovane può essere più difficile pubblicare in una rivista di fascia A. Ma chi sei? Ma chi ti ha mai sentito? O in riviste internazionali, anche lì non è semplicissimo. Io ho amici di altri settori scientifico disciplinari che sono riusciti a pubblicare in riviste importanti, ma anche perché magari collaboravano con delle persone che erano nel comitato editoriale. Non è che la cosa mi scandalizzi eh, non mi scandalizza per niente. Cioè non dico "è sbagliato", dico semplicemente che c'è anche questa dimensione qua che incide." (Intervista a SILVIA)

Nel merito di questo argomento, poi, un altro ricercatore si concentra sul processo comunemente definito di

peer review, attraverso il quale viene stabilità la scientificità e la pubblicabilità di un articolo. Secondo Fabio,

il meccanismo della revisione tra pari – che teoricamente dovrebbe garantire la trasparenza dei processi di valutazione degli articoli - nella realtà risulta essere l'espressione di quanto la rete professionale in cui la maggior parte delle soggettività accademiche è inserito sia forte in quel determinato settore scientifico. In questo senso, sostiene ancora Fabio, non è tanto la revisione cieca e la qualità dell'articolo proposto a garantire la pubblicazione di un articolo ma, al contrario, la considerazione che il comitato editoriale di una determinata rivista rivolge alla rete a cui l'autore fa riferimento.

"Tu ragioni sul discorso neo liberista sulla trasparenza, la peer review. La peer review non è un meccanismo oggettivo, non solo perché lo sguardo del ricercatore è soggettivo. Allora, io sono una rivista, e questo è un discorso che mi faceva il mio professore l'altro giorno. Tu mi hai mandato un articolo su l'urbanistica, mandi un articolo in peer review a Tal dei Tali, mandi l'articolo a Pinco Pallo. É lì che hai fatto la scelta se il tuo articolo viene pubblicato o no, non sul giudizio del reviewer, perché a seconda di chi lo mandi sai già quello che ti dirà, e questo vale sia per la prospettiva scientifica sia per la prospettiva politica. E questo è importantissimo da dire, e quindi a me sembra che ci sia tutto un grande meccanismo anche di pubblicazioni che in realtà non è che tu pubblichi perché scrivi l'articolo bello e la

196 rivista te lo pubblica. Scrivi l'articolo bello perché sei l'allievo di X, e l'allievo di X sulla rivista Y pubblica. E questo, poi ci sta anche la capacità del professore di dire: "si io ho lo attivato, questo si è dottorato con me e quindi è bravo". Però dall'altra parte diventa pure che ci sta un sacco di immondizia. Secondo me il ragionamento sull'esclusione deve essere fatto in parallelo al ragionamento sull'inclusione." (Intervista a FABIO)

Un ultimo elemento soggettivo che interviene in questo contesto nel moltiplicare le difficoltà riguarda il fatto che in diversi soggetti dichiarano di sentirsi in uno stato d'ansia nel momento in cui attendono il giudizio che verrà fornito dai revisori in merito a un loro articolo. La lunghezza dei tempi della pubblicazione, le modifiche che i revisori hanno la facoltà di richiedere all'autore per autorizzare la pubblicazione e un senso di inadeguatezza complessivo che molti ricercatori percepiscono nel confrontarsi con la diffusione dei propri prodotti di ricerca sono tutte dinamiche che appesantiscono il processo di pubblicazione.

"Mah, me la vivo con tanta ansia e preoccupazione di non essere mai al livello. Cioè, arrivo a sperare che nessuno le legga mai. Cioè, "speriamo che comunque poi alla fine non la leggeranno in tanti", questo. Poi io arrivo da un'esperienza devastante di organizzazione di una special issue da zero, nel senso che avevo incontrato una ragazza che faceva cose simili in una conferenza, che mi propone "facciamo una special issue, qui siamo in Italia, dai portiamo le nostre ricerche, troviamo altre ragazze giovani che studiano queste cose". Io stavo facendo ancora il dottorato, mai esperienze del genere, "va bene!". É stato abbastanza massacrante e difficile, in cui abbiamo coinvolto persone che lavorano su questi temi, precarie eccetera. Mi sono sentita spesso in colpa di non essere in grado di gestire questo lavoro." (Intervista a ELISA)

"E poi hanno invece dal punto di vista proprio più personale un carico di ansia ingestibile, che tutte le volte mi fa dire "non voglio mai più scrivere nessuna cosa, voglio solo fare dei video su Youtube in cui racconto, così, parlando a braccio le cose che volevo dirti". Perché poi invece tutta la parte di gestazione della pubblicazione per me è molto faticosa. É faticoso il lavoro di mandarla, attendere i referee che ti mandano i loro commenti, cercare di capire cosa voleva dire con quelle correzioni. Peggio di tutto fare le correzioni, io se potessi non rileggerei mai neanche quello che ho scritto. Quindi, doverci lavorare di nuovo sopra. Quindi a un certo punto questo senso di dire qualcosa di significativo si perde in questo percorso, e poi magari lo recupero dopo." (Intervista a CRISTINA)

Come vedremo nel prossimo capitolo, questa auto-percezione di inadeguatezza e il continuo presentarsi di stati d'ansia diffusi sono alcuni degli elementi più problematici che riguardano in modo profondo le soggettività accademiche precarie, e che generano in molti casi dinamiche di burnout che in letteratura sono spesso legate al costrutto del "publish or perish" (Coin 2017; Cooper 2012; Neill 2016).

Infine, nel ragionare su quali elementi di criticità individuassero nel meccanismo delle pubblicazioni, gli intervistati si sono concentrati sulla standardizzazione delle forme in cui un articolo deve essere redatto per avere accesso ad una qualsiasi rivista scientifica abilitata. É infatti vero che, nel panorama mondiale della produzione scientifica, per essere definito tale, un articolo scientifico deve innanzitutto rispettare una struttura del testo stabilita a priori. In questo senso, un articolo deve essere così organizzato: introduzione; stato dell'arte; metodologia; domande di ricerca; risultati della ricerca; conclusioni71 (Grech 2017). Le

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Quella proposta è una schematizzazione generale, dopodiché a partire dalle discipline a cui l'articolo si riferisce ci possono essere alcune modifiche, anche se generalmente se non si rispetta questa struttura difficilmente un articolo

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critiche che i ricercatori rivolgono a questo format sono molteplici. Innanzitutto, sono le parole di una ricercatrice a sottolineare come la standardizzazione delle forme della scrittura di un articolo incidano in negativo sul piacere dello scrivere, che dovrebbe essere una delle pratiche lavorative in cui i lavoratori accademici si riconoscono maggiormente. Secondo Eleonora, infatti, la struttura standardizzata con la quale si devono scrivere gli articoli costringe gli autori a limitarsi a compilare un format prestabilito, contenendo l’elemento della creatività nella scrittura, aspetto che, generalmente, sarebbe una fonte di soddisfazione e appagamento.

"La scrittura è più difficile, perché ovviamente sai che poi verrai giudicata dai colleghi, c'è un meccanismo di valutazione anche contestabile dal mio punto di vista. Siamo costretti anche a stare in degli schemi che sono sempre gli stessi voglio dire. Cioè anche la creatività della scrittura noi in realtà ce la giochiamo a carte, perché in un articolo quello è il format e là devi stare. Cioè, quindi in realtà compili una struttura che ormai è lo standard internazionale, devi pubblicare su alcune riviste. Cioè, a me piace l'idea di scrivere e così via, però mi rendo conto che anche la maniera in cui siamo costretti a produrre gli articoli snatura quel piacere che ci può essere dietro a una scrittura. Questa è un'altra cosa." (Intervista a ELEONORA)

In secondo luogo, alcuni ricercatori sottolineano come il meccanismo di omologazione a cui sono sottoposti gli articoli scientifici mina la possibilità di proporre approcci innovativi che potrebbero far avanzare il dibattito scientifico su un determinato argomento. Nello specifico, sono due i ricercatori che si concentrano lungamente su questa questione. Entrambi assumono come particolarmente problematica la dinamica secondo la quale, per affermare una determinata idea attraverso un articolo, gli editor delle riviste pretendono che sia presentata una ricostruzione precisa del dibattito scientifico su quel determinato argomento. Gli intervistati denunciano il fatto che questo meccanismo della citazione sottrae energie, tempo e spazio che l'autore potrebbe utilizzare per sostanziare in modo ancora più approfondito la proposta scientifica che ha deciso di condividere attraverso il meccanismo della pubblicazione.

"Poi c'è un'altra questione molto più complessa. Allora, a livello internazionale non esistono le riviste di fascia A, così come le abbiamo fatte noi, però esistono le riviste che hanno maggiore prestigio, maggiore impact factor eccetera eccetera. Cosa succede in queste riviste? Che quando tu vai a pubblicare, a presentare un articolo, ti fanno spesso i referaggi che tendono a essere omologanti. Per cui te proponi una cosa su un certo tema? Se su quel tema non hai citato la letteratura per loro più importante non va bene. Per cui, la devono mettere tutti. Dopodiché devi avere, il che a volte è anche giusto, devi avere introduzione, metodo, ipotesi, eccetera. Deve avere tutta la struttura così. Tendenzialmente devi fare, e questo è tutto un dibattito aperto, fare ricerca quantitativa perché se no non sei scientifico. E allora, a volte, a me è venuto il dubbio che veniamo costretti in articoli tutti uguali, perché le richieste sono omologanti. Devi dire tutto quello che hanno detto gli altri, e quindi è uguale per tutti, devi mettere il tuo piccolo contributo, e alla fine è veramente, boh, un'omologazione totale." (Intervista a DARIO)

"Si ma poi non è assoluto, nel senso che non è che in riviste importanti ho scritto stronzate, però c'è molto da fare questo gioco ogni volta. É un po' una presa per il culo, nel senso che tu devi utilizzare magari dei metodi quantitativi in aggiunta a quelli che hai utilizzato per interrogare quella cosa per potere entrare sulla rivista, perché la rivista X ti da una forza accademica nettamente superiore. Quindi in realtà magari in un articolo ci sono tre pagine che sono veramente quello che volevi dire, poi ci devi mettere 17 pagine per poter arrivare a dire quella cosa e obbedire ad una serie di prescrizioni precise. Per esempio tutte le

198 grandi introduzioni alla letteratura, dove si nominano 40 persone per poter dare legittimità a quello che vuoi dire mi sembra veramente una cosa senza senso. Però lo facciamo." (Intervista a GIANNI)

Un ultimo tema particolarmente problematico in questo contesto si lega all'esplosione del mercato editoriale delle riviste scientifiche. Negli ultimi anni, infatti, sono apparse nella scena del campo accademico una molteplicità di case editrici private che hanno istituito il fenomeno delle pubblicazioni a pagamento. Da questo punto di vista, alcuni ricercatori contestano questi processi denunciando come, a fronte delle richieste pressanti nate dall'implementazione delle procedure valutative, la dinamica delle pubblicazioni a pagamento metta in discussione l'intero assetto degli imperativi entro cui si struttura oggi l'università neoliberale e globale. Pagare per una pubblicazione garantisce l'esito positivo di un eventuale processo di revisione paritaria, e quindi lo mette anche in discussione, dato che non è sostanzialmente pensabile l'ipotesi di un rifiuto. In questo senso, un ricercatore sottolinea come anche il meccanismo dei convegni e delle conferenze che prevedono una iscrizione a pagamento - e attraverso le quali in molti casi vengono anche proposte e organizzate pubblicazioni - si configuri come una sorta di mercato, in cui la produttività scientifica di ogni singolo ricercatore può aumentare non per la sua capacità di stare nel dibattito scientifico o di proporre ragionamenti innovativi, ma sostanzialmente perché questo paga monetariamente l'irrobustimento del proprio CV72.

"Io non mi sono mai auto-pagata niente di quello che vedi nel mio curriculum. Perché a volte c'è anche la cosa di auto-pagarsi le pubblicazioni. Non me le sono mai auto-pagate, ho pensato sempre che non era una cosa da fare auto-pagarsi le pubblicazioni." (Intervista a GIOVANNA)

"Poi ci sono le pubblicazioni pagate, quindi quelle dei convegni no? Grande convegno eccetera. Io sono andato a diversi di questi, mi sono sempre rifiutato di pagare e alla fine non ho neanche pubblicato il paper, quindi sono anche uno stronzo. Perché mi da fastidio questa roba, cioè questa cosa l'ho fatta mentre stavo al dottorato, adesso probabilmente non me lo potrò più permettere perché ho bisogno di farle. Però quelle lì sono robe che fai... cioè è un mercato anche quello dei convegni, in cui poi c'hai gli atti del convegno di 1600 pagine che non si leggerà mai nessuno. E le persone che ti ascoltano mentre parli sono solo quelle che aspettano di presentare il loro paper, ma che cazzo lo fai a fare? Sono delle cose abbastanza ridicole, e che, quelle si, rendono misero un lavoro in realtà molto bello. Perché tu non stai lavorando per accrescere la conoscenza, dire qualcosa di nuovo, per intervenire sul mondo che ti circonda. Stai lavorando in una cosa totalmente senza senso, come un criceto nella ruota, per alimentare la macchina che sostiene la possibilità che forse un giorno scriverai una cosa interessante che ti sta a cuore. É una roba ridicola, cioè chiedessero i soldi farebbero prima." (Intervista a MARCO)

Come premesso nelle prime righe del presente capitolo abbiamo fino a qui analizzato empiricamente i paradigmi del merito e della competizione, concentrandoci in queste pagine sul tema delle pubblicazioni scientifiche. Nel terzo e ultimo paragrafo approfondiremo il tema dell'internazionalizzazione, rivolgendo una particolare attenzione ai processi di mobilità che riguardano i ricercatori precari italiani.

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