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3.1. Le diverse dimensioni della precarietà

3.1.2. Precarietà lavorativa e strategie di carriera

3.1.1.1. La strategia del mosaico

Dal primo punto di vista le strategie che i soggetti mettono in campo per rispondere alla condizione di precarietà strutturale che innerva la loro esperienza professionale sono riconducibili alle dinamiche che molti studi hanno già analizzato interrogando le scelte e i significati che gran parte dei lavoratori precari sviluppano all'interno di diversi contesti del mercato del lavoro (Murgia 2010; Bauman 2003; Armano, Murgia 2012). Bauman, ad esempio, per rappresentare le strategie e le esperienze dei lavoratori e delle lavoratrici precarie utilizza la metafora di un puzzle che deve essere composto senza che il soggetto sia a conoscenza di quale debba essere l'immagine finale, e senza essere sicuro che tutti i pezzi del puzzle siano presenti (Bauman 2003). Allo sesso livello, in diversi momenti di confronto con diversi colleghi precari questa dimensione di ricomposizione del quadro è stata rappresentata con l'idea del mosaico, opera che aggrega diversi tasselli che permettono di giungere a un'immagine tendenzialmente coerente e compiuta. La precarietà, dunque, non permette di immaginare un'adesione completa alle diverse professioni che un

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soggetto può affrontare nel corso della sua biografia lavorativa, ma costringe gli individui a strutturare diverse prospettive e diverse traiettorie per il proprio percorso professionale, anche in ambiti molto diversi tra loro. Questo succede anche ai ricercatori precari, e nel corso delle interviste in molti sostengono che hanno dovuto, o devono ancora, tenersi aperte altre porte in grado di sostenerli economicamente nei tanti momenti di sospensione che una biografia professionale precaria vive ciclicamente. É in questo senso che le strategie messe in campo possono essere definite come esogene al mercato del lavoro accademico.

"Allora io l'anno scorso per esempio ho fatto la baby-sitter, oltre che ho avuto un periodo di tre o quattro mesi in cui facevo due ricerche, cioè ero pagata per fare due ricerche che duravamo pochi mesi per cui anche là avevo delle scadenze, però mi avrebbero pagato alla fine, quindi non avevo soldi, e quindi nel frattempo facevo anche la baby-sitter tre giorni alla settimana. Cioè fai quello che puoi. Ovviamente tra una cosa e un'altra… va beh poi io faccio molta didattica, molta formazione che viene pagata molto bene, paradossalmente..cioè vengo pagata 200 euro all'ora quando faccio una lezione, però per il resto non ho niente no? Quindi un po' mi arrabatto con questa cosa, un po' subaffitto una stanza del mio appartamento, e un po' chiedo i soldi a mia madre perché altrimenti non potrei sopravvivere, o alle reti affettive amicali per le piccole spese, così spesso queste reti di mutualismo, per cui prestiti, anche a fondo perduto spesso, così insomma. [...]. Comunque, se posso dire una cosa è pazzesco che … cioè per me è difficile, anche quando scrivo i curriculum, ricordarmi quello che faccio, o le cose che ho fatto, cioè mettere insieme i pezzi. Va beh, è molto interessate perché poi parlandone invece mi viene in mente, "ah ho fatto anche questo". Tante traiettorie diverse insomma." (Intervista a ROBERTA)

Da questo punto di vista, è rintracciabile come nella gran maggioranza dei casi i soggetti sviluppino diverse professionalità e diverse relazioni contrattuali e lavorative anche all'interno delle accademie e delle università. Sono infatti individuabili differenti strategie che i soggetti mettono in campo per proseguire il proprio percorso professionale in termini coerenti. L'idea del mosaico, o del puzzle, oltre a rappresentare la necessità per i lavoratori precari di tenere aperte differenti opportunità salariali e di carriera data la dimensione di incertezza che accompagna qualsiasi biografia precaria, in molti casi si presenta immediatamente come una strategia salariale utile anche nel proseguire il proprio percorso nel campo della ricerca. Nel contesto dell'università italiana, infatti, è posta in essere una molteplicità indefinita di possibilità contrattuali che, in molti casi, non assicura comunque ai soggetti il reddito necessario alla sopravvivenza.

"Con università diverse, nel senso che chiunque mi chiedesse di fare ... perché con la cosa che io ho fatto la metodologa, io mi sono venduta in questi anni così. Cioè avevano bisogno di costruire un questionario, io costruivo il questionario. Avevano bisogno di fare un'analisi dei dati, io facevo l'analisi dei dati. Avevano bisogno di costruire una traccia di intervista, io costruivo la traccia di intervista. Io sono stata pagata da metodologa per tanto tempo, cioè io ho fatto consulenza metodologica praticamente. Un sacco di contratti io li ho avuti così, contratti di collaborazione li ho avuti così. Diciamo che l'idea era "a fine anno io devo avere minimo mille euro al mese", e ci sono sempre riuscita però, quindi questo era il mio ... quando anche mi domandano il consiglio "dopo il dottorato che faccio?", "io adesso non ho un assegno che faccio?", io dico comincia a prenderti contratti di collaborazione e vedi se riesci alla fine dell'anno, perché ovviamente i contratti di collaborazione lo sai com'è? Ti pagano ... fai il lavoro, e poi ti pagano dopo che hai fatto il lavoro, quindi i soldi ti arrivano tanto tempo dopo tutti quanti insieme. Io facevo il calcolo alla fine dell'anno: se alla fine dell'anno ero riuscita ad ottenere lo stipendio da dottoranda allora continuavo. E ci sono riuscita sempre, quindi è stato quello diciamo la spinta, la cosa." (Intervista a GIOVANNA)

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