• Non ci sono risultati.

I chiarimenti forniti dalla Corte di giustizia nel caso Part Service e il loro recepimento da parte del giudice nazionale I problemi relativi all’onere della

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 80-85)

LIMITAZIONE DEL DIRITTO ALLA DETRAZIONE IN IPOTESI DI ABUSO DEL DIRITTO.

3.1.5. I chiarimenti forniti dalla Corte di giustizia nel caso Part Service e il loro recepimento da parte del giudice nazionale I problemi relativi all’onere della

prova.

L’analisi sin qui condotta ci consente di trarre la conclusione che, la neutralità fiscale quale principio fondamentale del sistema comune dell’Iva osta, da un lato, a che la cessione di beni e la prestazione di servizi dello stesso tipo - che si trovano quindi in concorrenza gli uni con gli altri - siano trattati in maniera differenziata sotto il profilo dell’Iva; dall’altro, che operazioni economiche analoghe, che si trovano quindi in concorrenza le une con le altre, siano trattate differentemente riguardo all’Iva165.

Il riconoscimento della rilevanza sovranazionale del principio antielusivo determina due effetti, fra di loro concentrici: in primo luogo, avvicina la nostra legislazione, all’evidenza carente, per quanto innanzi osservato, ai sistemi giuridici degli altri Stati membri. In secondo luogo, la lettura (e l’utilizzo) della

Generalklausel antielusiva nell’ottica internazionale consente di superare alcuni dei

problemi che la dottrina ha dibattuto sui confini di influenza dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 e, in particolare, la questione del numerus clausus delle situazioni tipizzate dalla norma appena richiamata e dell’incidenza di altre figure civilistiche, segnatamente, la simulazione, nel contesto antielusivo. Si può ritenere che il riconoscimento della rilevanza della clausola generale anti-abuso nel sistema tributario nazionale, ancorché immanente rispetto ad esso, renda inutile prendere a prestito dal contesto civilistico i principi (e gli effetti) dell’istituto della simulazione166. Più chiaramente, di fronte ad un comportamento che abbia profili

165 Cfr. Corte di giustizia, 23 ottobre 2003, causa C-109/02 e Corte di giustizia, 16 settembre 2004, causa C-382/02.

166 Si ricorda che il contrasto agli atti elusivi ha portato inizialmente la giurisprudenza di legittimità a ricorrere a mezzi di tutela civilistici previsti dall’ordinamento quali: (i) la nullità del contratto per mancanza di causa (art. 1418 c.c.) quale scopo economico delle operazioni poste in essere solo per conseguire un risparmio fiscale; (ii) la nullità del contratto stipulato in frode alla legge (art. 1344 c.c.) e cioè per eludere norme imperative quali sono quelle tributarie poste a tutela dell’interesse generale del concorso paritario alla spessa pubblica ai sensi dell’art. 53 Cost. La Suprema Corte – dopo aver affrontato il problema dell’elusione nei primi anni 2000 unicamente alla luce del diritto interno, statuendo che il fisco era abilitato a contestare gli atti elusivi solo nella misura in cui ciò fosse stato previsto da esplicite norme di legge – con tre successive sentenze del 2005 (Cass. 21 ottobre 2005, n. 20398, Cass. 14 novembre 2005, n. 22932 e Cass. 26 ottobre 2005, n. 20816) veniva così ad applicare l’istituto civilistico della nullità negoziale per caducare transazioni compiute al solo fine di eludere l’imposizione fiscale.

81

(anche) simulatori, la ricerca del risultato, cioè, dell’aggiramento della norma tributaria per giungere ad un illecito (cioè, non ammesso) risparmio fiscale può prescindere dalla denunzia della simulazione operata il cui risultato, se mai provato, esplica i suoi effetti nell’ambito dei rapporti tutelati dal diritto civile e limitatamente ad essi167.

Fatte queste puntualizzazioni, l’esame comparato della giurisprudenza nazionale e comunitaria sul tema in rassegna può svilupparsi con il richiamo della sentenza resa dalla Corte di cassazione nel caso “Part Service”168, sulla scia del precedente intervento della Corte di giustizia169, riguardante l’applicazione del cd.

abuso di diritto nel sistema dell’IVA.

Nello specifico, il giudice domestico era stato adito per stabilire se una certa operazione a struttura complessa fosse da ricondurre alle pratiche abusive vietate dall’ordinamento europeo, alla luce anche dei principi sanciti con la sentenza Halifax.

La controversia era sorta in merito ad un accertamento rivolto ad una società operante nel settore della locazione finanziaria, la quale aveva ideato, insieme ad un’altra società del gruppo, un progetto imprenditoriale diretto a “scorporare” una prestazione di servizi di leasing, di per sé unitaria, in due prestazioni autonome, una delle quali avente ad oggetto la locazione di un’autovettura e l’altra riguardante la fase squisitamente assicurativo-finanziaria.

In definitiva, secondo l’Amministrazione finanziaria attraverso il complesso di operazioni connesse appena tratteggiato si era realizzato lo scopo (abusivo) di sottrarre il contratto di leasing al suo regime fisiologico che comporta

Successivamente ulteriori pronunzie valorizzavano l’irrilevanza fiscale degli atti elusivi con disapplicazione incidenter tantum (o comunque con disconoscimento di effetti) di quegli istituti fiscali asserviti scopi non conformi alla ratio legis qauli la “detraibilità”, la “deduzione”, l’”inerenza” e la “competenza” (Cass., SS. UU., 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057). Le Sezioni Unite rimarcavano in proposito che non occorreva instaurare un preventivo giudizio per accertare l’eventuale simulazione e/o nullità del contratto in grado di pregiudicare la percezione del giusto tributo, bastando valutare le “ragioni economiche” che sorreggevano l’atto per verificare se fosse stato compiuto allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale non altrimenti consentito, in tal caso da considerare “inopponibile” al Fisco (Cass., 10 giugno 2005, n. 12353).

167 Sul tema cfr. CENTORE, Simulazione e abuso nel rapporto tributario, commento a Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, 13 giugno 2007, n. 360, in GT - Riv. giur. trib. n. 10/2007, pag. 879.

168 Cass., Sez. trib., sent. 17 ottobre 2008, n. 25374.

169 Corte di giustizia, sent. 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part Service, in GT - Riv. giur. trib. n. 9/2008, pag. 750, con commento di P. Centore.

82

l’assoggettamento pieno ad Iva dei canoni attivi in capo al concedente, giacché le prestazioni di locazione finanziaria costituiscono operazioni pienamente imponibili a norma dell'art. 3, 2° comma, n. 1, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Viceversa, nella fattispecie l’operazione unitaria di leasing risultava scorporata nelle sue due componenti locatizia e finanziaria, attribuendo la gestione del momento locativo ad una società del gruppo (in regime di imponibilità Iva) e del momento finanziario ad un altro operatore del gruppo (in regime di esenzione).

In altri termini, così operando il gruppo aveva ottenuto l’effetto di sottoporre i canoni di leasing ad imposizione sul valore aggiunto in termini inferiori rispetto all’ordinaria tassazione: il canone unitario di leasing risultava, difatti, frazionato in un canone di locazione sottoposto ad Iva e in un corrispettivo esente per prestazioni finanziario-assicurative.

La Corte di Cassazione, anziché decidere autonomamente, ha preferito rinviare la questione alla Corte di giustizia, ravvisando l’esistenza di una questione interpretativa irrisolta dai precedenti arresti di quest’ultima.

Secondo i giudici di ultima istanza, infatti, si poteva ravvisare una contraddizione nell’ambito dei requisiti fissati dalla giurisprudenza comunitaria nei suoi precedenti, necessari perché possa configurarsi un abuso delle forme giuridiche.

In particolare, un passaggio della sentenza Halifax richiedeva, oltre alla condizione che l’operazione contestata produca un vantaggio fiscale contrastante con le disposizioni della direttiva Iva, anche che tale operazione abbia “essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale” (punto 86).

Viceversa, un altro passo della decisione si riferiva ad operazioni “effettuate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, senza altro obiettivo economico” (punto 60).

In altri termini, a giudizio della Corte di Cassazione non risultava chiaro se l’abuso del diritto presupponesse che il fine di conseguire un vantaggio tributario debba costituire l’unico scopo dell’operazione, oppure se esso possa essere lo scopo essenziale, ma non esclusivo, eventualmente coesistente anche con ragioni economiche di contorno.

Per risolvere la questione interpretativa descritta, la Corte di giustizia ha innanzitutto richiamato alcuni passaggi ritenuti fondamentali della sentenza Halifax (punti 74 e 75), secondo cui ricorre l’esistenza di una pratica abusiva quando:

83

a) le operazioni contestate hanno il risultato di procurare un vantaggio fiscale contrario all’obiettivo perseguito dal diritto comunitario di “prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso” (art. 13 della direttiva Iva);

b) da un insieme di elementi oggettivi risulta che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale.

La Corte di giustizia ha quindi risolto la questione pregiudiziale nel senso che un’operazione abusiva si concretizza allorché il perseguimento di un vantaggio fiscale rappresenti lo scopo essenziale, non esclusivo, del progetto operativo.

Alla luce di tale sentenza, la clausola anti-abuso ha senz’altro dei contorni più ampi, in grado di ricomprendere anche comportamenti dotati di una pur marginale apprezzabilità economica. In sostanza, secondo l’ordinamento comunitario l’elusione nasce quando l’obiettivo di risparmiare le imposte costituisce il nucleo di un’operazione, a nulla rilevando la compresenza di fini imprenditoriali secondari e minori. L’utilizzo dell’aggettivo “essenziale” non è dunque fortuito: la volontà di eludere il diritto comunitario deve costituire la ”essenza” di un’operazione, l’elemento indispensabile e caratterizzante senza il quale essa (operazione) non sarebbe stata neppure realizzata.

La Corte di Cassazione – quale giudice a quo – andava così a statuire che il frazionamento di un’operazione in distinti contratti, il cui contenuto era quello di far ottenere contemporaneamente l’utilizzazione di un bene, il procacciamento della provvista finanziaria necessaria e l’assicurazione contro i rischi di perdita o deperimento economico, superava la “soglia minima” della pratica abusiva perché aveva come scopo principale quello di realizzare un risparmio d’imposta attraverso una diminuzione del corrispettivo soggetto ad Iva senza che concorressero altre plausibili ragioni economiche170.

Questa pronunzia allarga, dunque, il solco tracciato dalla sentenza Halifax. La conclusione che si ricava è che l’abuso del diritto è suscettibile di connotare, sia le operazioni compiute al solo scopo di realizzare un vantaggio fiscale senza altra convenienza economica, sia le operazioni compiute allo scopo di realizzare un vantaggio fiscale “predominante” rispetto a quella convenienza economica.

84

Le ombre di questo assetto non sono tuttavia secondarie e riguardano, in particolare, i profili applicativi.

Non si possono nascondere, infatti, le difficoltà che reca la necessità di accertare la volontà degli operatori commerciali, al fine di stabilire se in concreto ricorra il fine essenziale di eludere le imposte. Tale accertamento non potrà che essere condotto avendo di mira elementi oggettivi delle condotte dei contribuenti, come d’altronde avviene anche nelle indagini di ordine penale necessarie per appurare l’integrazione dell’elemento soggettivo del reato (tema che approfondiremo nei prossimi capitoli).

Ma non occorre scomodare necessariamente l’esperienza penalistica per accorgersi con immediatezza della gravosità e complessità di tali approfondimenti: basterebbe richiamare in proposito l’esperienza relativa al sistema sanzionatorio amministrativo tributario, come radicalmente novellato per la parte generale dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

Le vicende relative all’applicazione in concreto dei criteri d’imputabilità e di colpevolezza (di cui, rispettivamente, agli artt. 4 e 5 del menzionato decreto) dimostrano, infatti, l’assoluta farraginosità delle procedure attuate dalla finanza per ricercare la capacità d’intendere e di volere dell’autore, nonché il dolo o la colpa del trasgressore. Tant’è che ben presto gli uffici finanziari hanno rinunciato a qualsiasi approfondimento in materia, trasformando sostanzialmente il canone di responsabilità soggettiva del trasgressore in responsabilità oggettiva da condotta. D’altro canto, le caratteristiche spiccatamente documentali dell’istruttoria amministrativa tributaria mal si conciliano con la necessità di individuare l’intima volontà dell’autore di una violazione tributaria.

Il pericolo che tale situazione si verifichi anche in materia di operazioni potenzialmente elusive è innegabile.

Nella prospettiva proclamata dalla Corte di giustizia, infatti, l’Amministrazione finanziaria che intendesse contestare l’abusività di un’operazione non dovrà limitarsi a verificare la volontà elusiva del contribuente, ma dovrà anche preoccuparsi di dimostrare che il fine di eludere le imposte costituisca il fine “essenziale”, ancorché non “esclusivo”, dell’operazione. E per provare il requisito di “essenzialità” occorrerà procedere ad un vero e proprio bilanciamento dei fini, certamente di non piana attuazione.

85

Ecco dunque emergere un problema di prova, che avrà sicuramente rilevanti ricadute processuali, dovendo il giudice tributario ricorrere alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c. nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria non fornisca la prova richiesta.

Il problema della caratterizzazione elusiva o meno di un’operazione diventa, dunque, in ultima analisi, una questione di fatto, in quanto tale tendenzialmente rimessa - salva l’applicazione dell'art. 384 c.p.c. per il giudizio tributario di cassazione - alla cognizione delle Commissioni tributarie.

Non vi è dubbio che una clausola anti-abuso diversamente strutturata, quanto all’elemento soggettivo, avrebbe prodotto minori difficoltà applicative sia nell’istruttoria amministrativa sia in quella giurisdizionale. Qualora si fosse affermato che il fine abusivo deve costituire l’unico scopo dell’operazione per integrare la fattispecie elusiva, ebbene ci saremmo trovati di fronte ad una clausola certamente di ben più rara applicazione, ma almeno di più semplice attuazione e maggiormente rispettosa del principio di certezza.

L’Amministrazione finanziaria sarebbe stata autorizzata a contestare l’elusività di un’operazione nei soli casi in cui vi fosse la prova positiva che il fine abusivo rappresentava il solo scopo dell’operazione; e, correlativamente, il giudice tributario avrebbe potuto più agevolmente accertare il positivo assolvimento dell’onere della prova da parte dell’ufficio impositore.

Nel documento Il diritto alla detrazione e le frodi Iva (pagine 80-85)

Outline

Documenti correlati